Gli X Japan sono senza dubbio il gruppo rock più celebrato ed influente che il Giappone abbia mai avuto. Molte altre band giapponesi a seguire si sono ispirate allo stile visuale e musicale degli X, ed il rock in Asia non sarebbe lo stesso senza di loro. La loro popolarità raggiunse un livello tale che nel 1999 l’imperatore Akihito affidò al leader del gruppo, Yoshiki Hayashi, la composizione di un brano per il decimo anniversario della sua incoronazione (che si intitola, appunto, “Anniversary”).

Gli X Japan hanno avuto ed hanno ancora un impatto emotivo molto forte sui propri fan, che vi sembrano legati da una sorta di cordone ombelicale. Molti di questi furono assaliti da sconforto e disperazione quando nel 1998 Hideto “Hide” Matsumoto, uno dei due chitarristi del gruppo, morì prematuramente in circostanze mai del tutto chiarite. Alcuni di questi arrivarono addirittura al suicidio. Nel mondo occidentale, reazioni così estreme si sono verificate probabilmente solo alla morte di Michael Jackson, in seguito alla quale dodici persone si tolsero la vita, impossibilitate a convivere con il dolore derivante dalla sua perdita. In una società estremamente rigida e conservativa come quella giapponese degli anni ’80, gli X Japan hanno rappresentato un fenomeno di rottura attraverso esibizioni musicali rivoluzionarie per l’epoca, dando origine al “Visual Kei”, un movimento che attribuisce al lato visuale di una performance musicale un’importanza pari quasi a quella della musica stessa, in maniera non troppo dissimile da quanto fatto sul finire degli anni ’70 dal movimento glam in occidente, portato avanti da artisti del calibro di David Bowie, Alice Cooper e Kiss. A livello musicale, le composizioni degli X Japan in alcuni casi si avvicinano al power-metal sinfonico e allo speed-metal (un sottogenere dell’heavy-metal particolarmente rapido ed aggressivo), in altri prendono la forma di ballads melodiche, che vertono su semplici e malinconici giri di piano. Il loro brano più lungo, “Art of Life” (29 minuti di durata), è considerato uno dei pezzi più importanti della storia del rock asiatico grazie al suo trascendere qualsiasi convenzione di genere musicale, fondendo power-metal sinfonico, musica classica, heavy-metal e prog-metal in un unico calderone, il cui risultato è un mix di sensazioni contrastanti che spaziano dalla malinconia alla speranza, dalla follia alla rinascita. Alla luce di queste premesse, descrivere nel dettaglio la storia degli X Japan necessiterebbe di molti approfondimenti, e sintetizzare più di vent’anni di carriera in un’opera cinematografica è operazione di una certa complessità.

“We Are X”, documentario musicale diretto da Stephen Kijak, si propone di narrare la storia del gruppo giapponese, partendo dal presupposto che la stragrande maggioranza del pubblico occidentale non ne ha mai sentito parlare. Lo fa sia attraverso uno sguardo ravvicinato sulla vita di Yoshiki Hayashi, fondatore degli X Japan nonché batterista, pianista e compositore della quasi totalità dei pezzi del gruppo, che per mezzo di una serie di interviste rilasciate non solo agli attuali membri della band, ma anche a produttori discografici, ex-componenti del gruppo ed altri artisti che hanno avuto a che fare in certa misura con gli X, come David Bowie e Marilyn Manson. Ad essere al centro di questa pellicola è quasi interamente la figura di Yoshiki, che nei vari spezzoni di intervista espone il suo dolore e la sua sofferenza, raccontando per filo e per segno i drammi interpersonali che hanno caratterizzato la sua esistenza e quella della band stessa. Nell’ osservare una rappresentazione del dolore così esplicita e senza filtri, si potrebbe avere la sensazione di trovarsi di fronte ad una messa in scena quasi artificiosa delle vicissitudini personali del compositore giapponese, come se il documentario cercasse volutamente di suscitare compassione nello spettatore ed i drammi fossero solo uno strumento per attirare la sua attenzione. Quest’impressione viene meno soltanto se si prende consapevolezza della particolare attitudine con cui i componenti degli X Japan vivono la propria vita ed il modo diretto in cui incamerano ed esternano le proprie emozioni: nei loro show capita infatti non di rado di vedere Yoshiki piangere durante uno dei suoi giri di piano oppure Toshi intonare un pezzo tra i singhiozzi, seguito puntualmente dal boato della folla. Queste situazioni in Occidente non sono affatto comuni, soprattutto in concerti heavy metal, in cui le lacrime sul palco rappresentano un fenomeno più unico che raro. L’ attitudine teatrale, a tratti melodrammatica, con cui gli X Japan conducono i loro show si riflette coerentemente anche nel modo in cui la loro storia viene raccontata dal leader del gruppo. Yoshiki non trattiene il pianto quando parla della scomparsa di Hide, e, nel descrivere il proprio dolore fisico derivante dai ripetuti sforzi nel suonare la batteria, mostra dinanzi alle telecamere le radiografie delle varie parti del corpo danneggiate. A questa messa in scena quasi patetica della propria sofferenza si accompagna un’attitudine invece riservata, che si evince dalla scelta del compositore di non aprirsi su questioni interne alla band (come la cacciata dal gruppo del talentuoso bassista Taiji Sawada) e dalla totale omissione della propria sfera interpersonale e relazionale, che non trova alcuno spazio in questo documentario. Ciò che viene invece messa a nudo è la sua interiorità, che si barcamena tra due poli apparentemente distanti, ma in realtà complementari: rabbia da un lato, incarnata da colpi di batteria tirati a velocità supersoniche, e malinconia dall’altro, che si materializza in giri di piano melodici che compongono i pezzi più lenti del gruppo. Non si può fare a meno di notare che nel lavoro di Kijak la carriera musicale degli X Japan assume un ruolo di secondo piano rispetto alla messa in scena delle loro vicissitudini: si parla infatti poco della composizione dei singoli brani (solo qualche menzione ad “Art of Life”) e non viene mai neppure citato il titolo di un album.

Nel corso di questa pellicola musicale non viene rivelato quante copie i cd degli X Japan abbiano venduto in terra natia, né quando hanno raggiunto l’apice del successo e della popolarità. Inoltre, ad essere esplorate sono soltanto la vita di Yoshiki e quella di Toshi. Heath, attuale bassista degli X Japan (subentrato a Taiji Sawada nel ’92), compare solo in qualche breve intervista, così come Tomoaki “Pata” Ishizuka, chitarrista e membro storico degli X Japan. I contorni della figura di Hide, carismatico chitarrista del gruppo, personalità enigmatica e complessa, vengono sapientemente delineati, ma mai approfonditi. Nonostante l’incompletezza e la parzialità della prospettiva assunta, “We Are X” ha il merito di introdurre a dovere la band al pubblico occidentale, offrendogli la possibilità di lasciarsi colpire da una storia incentrata non sul successo, sulla gloria e sulla popolarità della band, bensì su un profondo senso di perdita e sofferenza scaturito dalle vicende interpersonali dei membri del gruppo. E’ proprio da queste sensazioni che muove la necessità compositiva e l’attitudine romantica del compositore Yoshiki Hayashi, per cui l’arte rappresenta l’unico modo per colmare quel senso di vuoto che da sempre lo accompagna. Se “We Are X” per certi versi non è che il riepilogo della storia degli X Japan, per altri rappresenta invece il preludio della parabola della band in Occidente, che è appena agli inizi. In quale misura riusciranno a far presa in Europa ed America non è dato saperlo.  Quel che è sicuro è che Yoshiki Hayashi proverà in tutti i modi ad esportare la sua creatura anche qui da noi, cercando di realizzare i sogni incompiuti di successo overseas di Hide e Taiji, e di ricordare a noi e a sé stesso che la storia degli X Japan non è ancora finita.

(Recensione di Carlo Di Gaeta)