Kitchen (1993)

Autore: Yoshimoto Banana

Titolo originale: キッチン (Kitchen)

Editore: Feltrinelli

Collana: Universale economica Feltrinelli

Traduzione: Giorgio Amitrano

Edizione: 1993

Pagine: 148

 

“Non c’è posto al mondo che io ami più della cucina. Non importa dove si trova, com’è fatta: purché sia una cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene. Se possibile le preferisco funzionali e vissute. Magari con tantissimi strofinacci asciutti e puliti e le piastrelle bianche che scintillano.”

Kitchen è il primo romanzo della scrittrice Yoshimoto Banana, che ebbe un immediato successo in Giappone, con oltre 60 ristampe, e fu tradotto in diverse lingue: la prima traduzione fu proprio in italiano, rendendo la Yoshimoto molto popolare nel nostro Paese.

La trama

Kitchen racconta la storia di una ragazza, Sakurai Mikage, che perde l’unica persona che le era rimasta al mondo, sua nonna. Dopo qualche giorno un suo compagno di classe, Yuichi, si presenta alla sua porta e la invita a vivere con lui e sua madre Eriko, transessuale. Mikage ha un’ossessione per le cucine, e dal momento che Eriko e Yuichi hanno la cucina perfetta, accetta la loro offerta. Mentre cucina per loro inizia a sentirsi meglio: i tre si riuniscono nella cucina, priva di tavolo ma piena di nuovi elettrodomestici mai utilizzati, e creano dei ricordi felici insieme. Purtroppo dopo qualche mese Eriko muore.

A questo punto il rapporto tra Mikage e Yuichi diventa complicato, difficile da definire. Si prendono cura l’uno dell’altro poiché entrambi orfani: nessuno dei due ha più una famiglia, e si ritrovano ad essere l’uno per l’altro il fratello, l’amante, la madre, il padre, l’ amico, evitando alcun tipo di etichetta.

Stile e personaggi

I rapporti tra i personaggi nel romanzo sono ambivalenti, decisamente non tipici di una società eteronormativa. Questo incoraggia il lettore a riflettere sul significato di famiglia, casa e identità di genere: nonostante la perdita della famiglia naturale, è possibile sceglierne un’altra, seppur magari diversa. L’autrice suggerisce un tipo di famiglia insolito, suggerendo un amore incondizionato e senza confini.

Un altro aspetto degno di nota è il modo sottile in cui Yoshimoto Banana inserisce il surrealismo nella vita di tutti i giorni: i suoi personaggi fanno gli stessi sogni e si leggono nella mente, lasciando percepire al lettore l’atmosfera magica e onirica in cui vivono. Al tempo stesso, però, nello sfondo sono presenti dettagli che permettono di collocare la storia in un’ambientazione reale, come gli elettrodomestici che stavano diventando sempre più popolari nel Giappone consumista degli anni ’80.

Lo stile, ispirato allo shōjo manga, è semplice e fresco, rendendo la lettura scorrevole e veloce. La Yoshimoto stessa affermò che percepiva i propri scritti come prodotti commerciali, e di voler i propri libri precedenti rimossi dagli scaffali dei negozi non appena pubblicasse un libro nuovo.

— recensione di Giorgia Caffagni.

 

 

Hush! (2001)

Cineteca JFS!

Anche questa settimana l’Associazione Takamori vi fa compagnia raccontandovi un nuovo film. Quello che vi presentiamo oggi è Hush!, del 2001, diretto da Hashiguchi Ryōsuke.

Il film si concentra sul senso di insoddisfazione e delusione, causato dall’assenza di qualcosa nella vita. Tratta il tema dell’omosessualità ed è particolarmente apprezzato per la verosimiglianza dei personaggi, descritti dal regista come persone reali.

Tra i premi più importanti ricordiamo quelli per miglior film, miglior regista e, con Tanabe Seiichi, miglior attore, allo Yokohama Film Festival del 2003.

Guarda il nostro video qui!


L’Associazione Takamori dispone di un ampio database di sottotitoli italiani per film giapponesi a cura dei membri dell’associazione stessa. Per ulteriori informazioni, contatti e collaborazioni:

Indirizzo di posta elettronica: info@takamori.it

Kikagaku Moyo

Se volete immergervi in un Giappone psichedelico, con un sound ed un’estetica decisamente anni ‘60, ecco la band giusta per voi: i Kikagaku Moyo.
La band, formatasi a Tokyo nel 2012, è composta da 5 membri:

Go Kurosawa (batteria, voce)

Tomo Katsurada (chitarra, voce)

Kotsuguy (basso)

Daoud Popal (chitarra)

Ryu Kurosawa (sitar).

E’ complesso pensare di inquadrarli in un genere preciso, a parte l’oggettivo influsso del rock psichedelico. Le loro tracce sono un mix di musica Indiana tradizionale (vedi la presenza costante del sitar elettrico), Krautrock, folk e musica rock anni ’70, un’esplosione di suoni e ritmi che difficilmente ho trovato in band che appartengono alla stessa onda.

Incredibili e appassionati musicisti, hanno fin da subito riscontrato grande successo in tutto il mondo. I loro live, con scalette improvvisate al momento e sessioni di musica inedita, come ha dichiarato in un’intervista lo stesso cantante, non sono mai scontati e banali, capaci di immergere gli ascoltatori in un’altra dimensione.

Discografia

Il loro debutto avviene nel 2013 con la pubblicazione dell’omonimo album “Kikagaku Moyo’’, allora prodotto solo da due degli attuali membri della band, e sicuramente meno sperimentale rispetto all’ultimo uscito nel 2018, “Masana Temples’’. In quest’arco temporale ne hanno pubblicati altri due: “Forest of Lost Children” (2014) che vede la presenza di Smoke and Mirrors, una delle loro tracce più apprezzate; e “House in the Tall Grass” (2016).
Se si ascoltano gli album in progressione, si nota la netta crescita musicale sia in termini di sound, sia in termini di coerenza musicale. Nonostante le tracce appaiano così diverse, si riesce a cogliere l’interesse  e l’entusiasmo nella continua sperimentazione e nell’amore per qualsiasi forma musicale. Ma è soprattutto il suonare insieme, riuscire a produrre ogni volta qualcosa che raggiunga un che di “spirituale”, che riesce a coinvolgerci in una meravigliosa esperienza musicale.

— recensione di Anna Maria Meccariello.