Aoyama Shinji Parte 1 || Akushon! I registi di JFS

Bentrovati! Questa è Akushon! La rubrica di Associazione Takamori sui registi giapponesi. Oggi vi parliamo di Aoyama Shinji.

Aoyama Shinji nasce il 13 luglio 1964 a Kitakyūshū, nella prefettura di Fukuoka. Da giovane studia letteratura inglese e americana alla Rikkyo University e grazie al corso di “Teoria dell’espressione cinematografica” inizia ad appassionarsi alla regia.
Dopo il conseguimento della laurea, lavora come assistente del regista svedese Daniel Schmid e nel 1995 esordisce alla regia del V-Cinema con Kyōkashon ni Nai.
Nel 1996 esce il suo primo lungometraggio Helpless, seguito nel 2000 da Eureka, grazie al quale vince il Premio della Federazione Internazionale della Stampa Cinematografica e il Premio Ecumenico al Festival di Cannes dello stesso anno e il premio Mishima Yukio Award dopo averne fatto un romanzo.

Negli anni successivi dirige varie pellicole, tra cui Sad Vacation, che insieme a Eureka e Helpless va a costituire la “ Kitakyūshū Saga”. L’ispiratore di questa saga è il regista francese François Truffaut, talmente apprezzato da Aoyama da scegliere di utilizzare nei propri film uno dei personaggi creati da Truffaut stesso.
Grazie a Tokyo Park del 2011, che vede come protagonista Miura Haruma, vince il Pardo d’Oro Speciale della Giuria al 64° Festival Internazionale del Film di Locarno.
Nel giugno dello stesso anno Mark Schilling del The Japan Times descrive Aoyama come “un intelligente, dedito cinefilo che incorpora le sue influenze nei suoi film e al contempo sperimentando coi generi”.
Nel 2012 diventa professore alla Tama Art University presso il Dipartimento di Cinematografia, mentre l’anno successivo dirige Cannibalism, sua ultima pellicola.
Nella primavera del 2021 gli viene diagnosticato un cancro all’esofago, a causa del quale muore nel marzo 2022, alla giovane età di 57 anni.

Se volete approfondire meglio la filmografia di Aoyama Shinji continuate a seguirci per scoprire di più sulle opere menzionate nel video di oggi. A presto!

Killing For The Prosecution – Harada Masato || Recensione

“Killing For The Prosecution” è un film del 2018 diretto da Harada Masato e tratto dal romanzo di Shizukui Shusuke, con protagonisti il celeberrimo Kimura Takuya nei panni dell’avvocato veterano Mogami e il talentuoso Ninomiya Kazunari nel ruolo del giovane avvocato Okino, suo allievo.

Quando una coppia di anziani viene assassinata, viene identificato come sospetto principale Matsukura, uno stralunato omuncolo con dei precedenti e ripugnante tanto nella psiche quanto nell’aspetto fisico. Tanto i personaggi quanto lo spettatore sono portati a desiderarne l’incarcerazione, e Mogami si accanisce affinché ciò avvenga, forte del fatto che Matsukura doveva dei soldi alla coppia di anziani e ciò costituisce un buon movente.

Okino, desideroso di impressionare il suo mentore Mogami, fa tutto ciò che è in suo potere per portare Matsukura a confessare, ma mentre inutilmente cerca di farlo crollare questi confessa un altro atroce crimine commesso anni prima, ovvero lo stupro e l’uccisione di una giovane ragazza di nome Yuki, cara amica di Mogami. Okino inizia a dubitare che le motivazioni di Mogami siano legate sono al suo senso della giustizia; in lui si fa strada il sospetto che Matsukura non abbia davvero ucciso la coppia di anziani, ma che Mogami stia cercando di incastrarlo pur di trovare un modo di farlo pagare per ciò che aveva fatto a Yuki.

Unendo i pezzi del puzzle, la figura integerrima di Mogami si sgretola definitivamente; dopo aver aiutato un suo amico coinvolto in uno scandalo di corruzione a farla franca, dopo aver occultato le prove che scagionavano Matsukura, egli passa definitivamente il limite quando decide di uccidere con le proprie mani il vero assassino per nascondere la verità. È ormai inequivocabile che Mogami non sta piegando la legge pur di ottenere giustizia, ma piuttosto per avere la sua vendetta personale.

Quando Okino giunge alla verità, aiutato da una segretaria che si rivela una scrittrice d’inchiesta sotto copertura, si trova di fronte all’impossibile dilemma: è giusto portare alla luce i crimini di Mogami?

La pellicola fa leva non tanto sull’aspetto investigativo, tecnico e deduttivo dell’indagine, quanto sulle profonde implicazioni emotive delle conseguenze delle azioni dei personaggi. Gli scontri tra personaggi sono viscerali, e gli interpreti si lasciano andare a urla gutturali che esprimono tutta l’intensità della scena. I protagonisti sono terribilmente umani, e le loro vicende non possono lasciare impassibili.

“Killing For The Prosecution” non è forse un perfetto thriller investigativo, ma sicuramente è in grado colpire lo spettatore e di lasciare un’impressione.

Recensione di Chiara Coffen.