Titolo: Maschere di donna Autrice: Enchi Fumiko Traduttrice: Graziana Canova Tura Editore: Marsilio Edizione: 1999
“Per quanto un uomo si dia da fare non arriverà mai a capire le trame che una donna ordisce in silenzio, lenta ma inesorabile. […] Anche il sadico malanimo di Buddha o di Cristo verso la donna non è stato altro che un tentativo di sottomettere un avversario col quale non potevano competere.”
Parte di una trilogia informale di romanzi legati al Genji Monogatari, “Maschere di donna”, pubblicato per la prima volta nel 1958, è il titolo più cupo e inquietante dei tre. La storia ruota attorno a Toganō Mieko, donna colta e studiosa di letteratura classica e di teatro Nō, che vive insieme a Yasuko, la moglie del defunto figlio. In un intrigo di vendette e rancori segretamente covati per anni, si sviluppa la trama del romanzo, in grado di ammaliare il lettore e renderlo un’altra vittima dell’inquietante fascino di Mieko.
Enchi Fumiko è tra le autrici che più hanno scosso il panorama letterario nipponico dello scorso secolo. Ancorata alla tradizione classica, dai monogatari ai grandi autori dell’Ottocento, le sue pagine risplendono di amore e dedizione per la letteratura del passato. In particolare, in Onnamen, Enchi si concentra sulla figura di Rokujō, uno dei personaggi femminili più famosi ed emblematici del Genji Monogatari. Dapprima amante del principe Genji, quando viene messa da parte e perde il suo status a corte, si trasforma, a sua insaputa, in un mononoke, uno spirito vendicativo che possiede le nuove consorti di Genji e ne causa la morte.
“Maschere di donna” parla esplicitamente di Rokujō e della sua vendetta soprannaturale, l’unica arma che le è concessa, e Mieko stessa si inserisce nella stessa tradizione karmica che la lega a Rokujō, alla dea Izanami, e tutte le donne ingabbiate dal potere maschile, il cui amore per il proprio uomo inevitabilmente si è tramutato in odio. In questo senso Rokujō diventa una vendicatrice del genere femminile, e Mieko è determinata a seguire le sue orme.
Mieko, imperturbabile come una maschera del Nō, agita l’animo degli altri protagonisti del romanzo. Questi non possono fare a meno di percepire le correnti torbide che scorrono sotto la superficie della sua quieta bellezza, ma non riescono a sondarle, non sanno decifrare i suoi piani, e rimangono irrimediabilmente intrappolati nella sue rete.
“Così come esiste un archetipo muliebre amato dagli uomini attraverso i secoli, nello stesso modo vi deve essere un genere di donna da essi eternamente temuto, possibile proiezione dei mali insiti nella natura maschile.”
Namamiko Monogatari, arrivato in Italia con il titolo di Namamiko, l’inganno delle sciamane, è una delle opere più significative di Enchi Fumiko. Inizialmente pubblicato nel 1965, è il romanzo vincitore dell’importante premio per la letteratura femminile (Joryūbungakushō) e rappresenta un passo importante nella produzione letteraria femminile del dopoguerra.
Ci troviamo attorno all’anno mille, in piena epoca classica (Heian) all’interno del palazzo imperiale. Il racconto segue la vicenda di Kureha e della sorella Ayame, figlie della sacerdotessa di un tempio shintoista. Cresciute nel mondo rustico della campagna, vengono improvvisamente proiettate all’interno della sfavillante e raffinata vita di palazzo. Il romanzo mette in scena intrighi, manipolazioni e tradimenti all’interno della corte imperiale, dove si contrappongono due figure centrali: Fujiwara no Michinaga, macchinatore cinico e senza scrupoli, membro del potente clan dei Fujiwara, che nel corso dell’epoca Heian (794-1185) ottenne la reggenza di fatto del paese, a scapito del potere imperiale. A lui si contrappone Teishi, l’amata consorte dell’imperatore, colei che incarna tutte le virtù di femminilità desiderabili in una donna e unico vero ostacolo alle brame di potere di Michinaga, intenzionato ad assumere il controllo del paese assicurando la posizione di prima consorte dell’imperatore alla figlia Shōshi. Un punto di particolare interesse dell’opera sta proprio del modo in cui viene presentata la figura di Michinaga, in completo contrasto con l’immagine di gentiluomo raffinato ed elegante tramandata dalla letteratura classica.
Tema centrale all’interno dell’opera è la possessione da parte di un ikiryō, uno spirito vivente, manifestazione del rancore covato da una persona, in questo caso Teishi. Tema già presente in epoca classica, viene ripreso dall’autrice per inscenare possessioni sempre nell’incertezza che queste siano autentiche oppure false, inscenate per manipolare i sentimenti dell’imperatore verso la sua amata consorte. Protagoniste di questi episodi sono Ayame e soprattutto Kureha che, intrappolata all’interno della rete di intrighi di Michinaga, finisce per tradire la sua amata signora.
I personaggi di Teishi e Kureha sono particolarmente interessanti per il tema dell’emancipazione femminile che sottende tutta l’opera. Kureha viene messa a servizio della consorte imperiale da Michinaga, per poterla tenere sott’occhio. Con il tempo però lei sviluppa un’ammirazione quasi erotica verso la sua padrona, anche se alla fine le si rivolterà contro, in preda alla gelosia nel vedere il suo amante invaghirsene. Le due figure si presentano, dunque, come totalmente opposte: Teishi rappresenta la donna ideale di epoca Heian, bellissima, gentile, versata nelle arti, nella poesia e nella musica. Nonostante questo, è un personaggio fondamentalmente passivo, in balia degli eventi. Kureha invece è umana, imperfetta, si fa trascinare dalle passioni, spesso erotiche, e interviene attivamente sul proprio destino.
In conclusione, con il Namamiko Monogatari l’autrice mette in luce l’impossibilità per una donna di sottrarsi al dominio maschile e nel momento in cui ci prova, come Kureha, è destinata al tradimento, mentre per essere perfetta, come Teishi, dev’essere ferma, sopportare e soffrire in silenzio.
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