
Autore: Kōtaro Isaka
Traduttore: Bruno Forzan
Editore: Einaudi
Edizione: 2021
I sette killer dello Shinkansen (titolo originale: マリアビートル, Maria Beetle) è uno dei romanzi più noti di Kōtaro Isaka pubblicato nel 2010. L’autore è considerato uno dei più innovativi scrittori giapponesi, capace di mescolare thriller, riflessioni filosofiche e ironia in modo originale. Questi elementi si ritrovano pienamente in questo romanzo, da cui è stato tratto nel 2022 il film Bullet Train, diretto da David Leitch.
La trama si svolge infatti interamente all’interno di un treno ad alta velocità, lo Shinkansen, che parte da Tokyo ed è diretto a Morioka, nel nord del Giappone. Sette killer, ciascuno con motivazioni e missioni diverse, si ritrovano a bordo: un padre, Kimura, in cerca di vendetta per il figlio ferito da un ragazzino, Ōji, detto il “Principe”, astuto e manipolatore, che cerca di influenzare e cambiare la vita di chiunque lo circondi; Mikan e Lemon, due killer diametralmente opposti caratterialmente, ma considerati tra i migliori nel settore; Nanao, che cerca solo di portare a termine i suoi incarichi e sopravvivere, ma la sfortuna (o fortuna) lo mette continuamente in difficoltà.
Lo stile del romanzo si può definire ibrido: un thriller per quanto riguarda la struttura (con misteri da risolvere, inseguimenti, morti), un racconto filosofico in alcuni dialoghi e un’ironia di fondo nel tono generale. Si tratta di una mescolanza che crea un ritmo vivace, ma che allo stesso tempo invita a riflettere mentre intrattiene. Le linee narrative si intrecciano, in quanto ogni capitolo segue un personaggio diverso, fino a confluire nel finale. Dato che il punto vista cambia continuamente, è difficile poter trovare un protagonista assoluto, come se ogni capitolo costituisse il pezzo di un puzzle da completare. Il linguaggio, inoltre, è piuttosto semplice e scorrevole, caratterizzato dalla presenza di molti dialoghi, che rivelano i pensieri, le paure, le riflessioni dei personaggi.
Infatti, i personaggi, pur essendo dei killer, spesso sono goffi, sbagliano, non sanno esattamente cosa fare; nonostante la presenza della violenza emergono sentimenti molto umani quali affetto, paura e pentimento. Ogni personaggio mostra una parte vulnerabile, e nello spazio chiuso e introspettivo del treno, ciascuno è costretto a convivere con le proprie colpe ed emozioni. Il treno diventa dunque una metafora della condizione umana, del destino: un percorso in cui i personaggi credono di scegliere, ma sono in realtà regolati da forze più grandi di loro che non possono contrastare, quali la casualità, la fortuna e il karma. Ogni azione del singolo, anche la più banale o involontaria, si ripercuote sugli altri, creando una catena di coincidenze fatali.
Nel finale, i destini dei personaggi si intrecciano in modo ironico e inatteso, a testimoniare l’idea centrale dell’opera: nessuno controlla davvero il proprio destino, e perfino la sfortuna può paradossalmente diventare una via di salvezza. I sette killer dello Shinkansen è un’opera dinamica, che racconta un mondo di killer e coincidenze per parlare di un aspetto che accomuna tutti: la ricerca di un senso nel caos della vita.
Recensione di Valeria Varrenti
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