Sei Quattro || Recensione

Autore: Hideo Yokoyama
Traduzione: Laura Testaverde
Editore: Mondadori
Edizione: 2017

Hideo Yokoyama, nato a Tokyo nel 1957, lavorò per dodici anni come giornalista d’inchiesta prima di diventare scrittore di romanzi gialli e crime. Il suo esordio risale al 1998, quando grazie alla raccolta di racconti La stagione delle ombre (陰の季節, Kage no Kisetsu) vinse il Matsumoto Seichō Prize. Sei quattro (ロクヨン, Roku Yon), pubblicato per la prima volta nel 2012 e tradotto da Laura Testaverde, è il suo sesto romanzo.

La trama dell’opera ruota intorno a Mikami Yoshinobu che, dopo aver fatto l’investigatore per ben vent’anni, è stato inaspettatamente assegnato alla posizione di capo ufficio stampa, vedendo momentaneamente troncata la sua carriera nella squadra mobile. Questo ruolo gli sta un po’ stretto: gli sembra infatti quasi di possedere “due anime”. Da una parte è un funzionario che si occupa di gestire il rapporto con i media, tra i quali spiccano i giornalisti del tenace “kisha club”, dall’altra invece fa fatica ad accettare di non essere più un investigatore, ruolo a cui si sente ancora profondamente legato.

Tale conflitto interiore, però, è solo parte dello sconforto che travolge la sua routine. Il romanzo si apre infatti con una scena opprimente: lui e sua moglie Minako, ex poliziotta, si recano in un obitorio per effettuare il riconoscimento di un cadavere. Con loro sollievo, però, non si tratta della figlia Ayumi, scappata di casa tre mesi prima. Questa sua fuga inaspettata aveva stravolto le vite dei genitori, perseguitati ora dal ricordo dell’ultima volta in cui l’avevano vista: accovacciata in un angolo buio della stanza, circondata dai cocci dello specchio che aveva infranto, l’avevano trovata intenta a colpirsi e graffiarsi il viso, urlando che la sua faccia non la voleva e che avrebbe voluto morire.

Le giornate di Mikami si complicano ulteriormente sia quando a casa ricevono tre telefonate mute — potrebbe trattarsi di Ayumi? — sia quando viene annunciato l’arrivo del capo della polizia nella regione D. In programma vi è una simbolica visita legata all’anniversario del “Sei Quattro,” nome in codice per un caso di rapimento e assassinio avvenuto quattordici anni prima, nell’anno ’64 dell’era Shōwa. In quell’occasione, sebbene fosse stato pagato un riscatto di venti milioni di yen, il corpo martoriato della bambina rapita, la piccola Shōko, venne ritrovato senza vita, e il colpevole non fu mai individuato.

Mikami, sommerso dai dolorosi ricordi di un caso a cui aveva partecipato lui stesso, aggravati ora dalla sua difficile situazione familiare, si trova incaricato di organizzare la visita del prefetto. Entra così anche in contatto con Amamiya Yoshio, padre della vittima, che sembra aver perso del tutto la sua fiducia nella polizia. Ma è davvero la mancata risoluzione del caso l’unica ragione di tale diffidenza? E qual è il vero scopo di una visita a casa Amamiya, dopo così tanti anni privi di sviluppi sul caso?

Aprendo anche una finestra sulle relazioni interne alle istituzioni giapponesi e sul mondo delle relazioni pubbliche, il romanzo segue le indagini del poliziotto che, pervaso dal suo spirito investigativo, è determinato a scoprire tutte le verità celate attorno al “Sei Quattro.” Tra segreti che tornano alla luce e complicità inattese, Mikami realizzerà ben presto che in gioco non c’è solamente la giustizia per la piccola Shōko, ma l’intero futuro della polizia di D.

Recensione di Martina Gruden

Vita in Vendita || Recensione

Autore: Mishima Yukio

Traduzione: Giorgio Amitrano

Editore: Feltrinelli

Edizione: 2022

Scritto nel 1968 da Mishima Yukio, Vita in vendita (命売ります, Inochi urimasu) viene originariamente pubblicato a puntate sulla rivista popolare Weekly Playboy e nasce in un periodo particolarmente controverso per l’autore il quale, nello stesso anno, viene candidato al Premio Nobel per la letteratura. Il romanzo si presenta come una sorta di esperimento narrativo dai toni pulp, satirici, talvolta grotteschi, costruiti intorno a una costante ricerca di abbandono. Una ricerca che si rivela essere profetica in quanto, solo due anni dopo, Mishima si toglie la vita commettendo seppuku, il suicidio rituale dei samurai.

Ed è proprio in questo modo che si apre il romanzo: con un suicidio che, tuttavia, fallisce. Hanio, un giovane copywriter di Tokyo, si trova davanti a una lugubre allucinazione leggendo il giornale, un’azione banale e di routine che, in modo del tutto irrazionale per chi lo circonda, rende quella stessa routine priva di ogni senso. Risvegliatosi in un’ambulanza dopo il tentativo fallito, Hanio torna a casa, scosso, ma abbastanza lucido da prendere una decisione destinata a cambiare per sempre la sua esistenza. Copywriter di mestiere, sfrutta le sue doti e pubblica sul giornale un annuncio tanto macabro quanto allettante: “Vita in vendita. Chiunque ne abbia bisogno, si faccia avanti. Prezzo trattabile.”

Da quel momento, una serie di personaggi bizzarri e tragicamente comici iniziano a bussare alla sua porta, pronti ad acquistare la sua esistenza alla stessa stregua di un mero prodotto commerciale. Tuttavia, a differenza degli oggetti messi in vendita, Hanio, che ha oramai spogliato la sua vita di qualsiasi senso, non ha il desiderio di assegnare a quest’ultima nemmeno un valore economico. Si affida alla discrezione dei suoi clienti i quali, per qualche migliaio di yen, presentano al giovane richieste tanto pericolose quanto assurde, tra gangster, vampire, agenzie segrete e carote al cianuro di potassio.

Dietro la patina quasi pulp che avvolge l’intreccio, il romanzo cela un continuo interrogarsi sul senso della vita. Hanio, che decide di offrire la sua al migliore acquirente, affronta ogni missione col sangue freddo di chi ha già visto la morte in faccia e desidera ardentemente ricongiungersi ad essa. Eppure, ogni incarico che dovrebbe condurlo alla fine si risolve in un’imprevista salvezza, come se la vita stessa, nonostante tutto, continuasse a riaffermare il proprio valore, al di là di ogni intenzione e annullamento. Attraverso situazioni al limite del paradossale, Mishima costruisce una critica feroce alla società moderna, alienata, iper-produttiva e che sembra aver perso il proprio scopo tanto da fare sembrare la morte una fine più gloriosa di una monotona, anonima quotidianità.

Lo stile è semplice, fluido, con capitoli brevi e talvolta comici dove i personaggi secondari, volutamente stereotipati, contrastano con l’ambigua e sfuggente figura del protagonista, il quale si colloca in una posizione difficile da giudicare. Né bianco, né nero, una tela dipinta di grigio che, nella sua apparente vacuità, ci spiazza con una tacita domanda: cos’ha di speciale l’uomo, se anche la vita può divenire merce di scambio?

Recensione di Rachele Cesarini

La Sosia || Recensione

Autrice: Aoyama Nanae

Traduzione: Rebecca Suter

Editore: Rizzoli

Edizione: 2024

Nanae Aoyama è una scrittrice giapponese nata nel 1983 nella prefettura di Saitama. È diventata una delle voci più significative della narrativa contemporanea giapponese grazie al suo stile sobrio e intimista. Ha esordito nel 2005 con Mado no akari e nel 2009 ha anche vinto il Premio Kawabata per il racconto Kakera. Le sue storie, spesso ambientate nella quotidianità giapponese, sono state tradotte in numerose lingue e apprezzate anche a livello internazionale.

Nanae Aoyama scrive La sosia (にぎやかな落日) partendo da un’idea suggestiva: Ritsu, giovane scrittrice in cerca di ispirazione, viene contattata da una donna misteriosa, Kyōko Kuki, che le offre un abbondante pagamento per scrivere la biografia di sua sorella Yuri. La somiglianza surreale e inspiegabile tra la sorella deceduta di Kyōko Kuki e la protagonista Ritsu renderà il racconto sempre più macabro e inquietante.

L’atmosfera, infatti, è volutamente cupa: Aoyama spinge il lettore a intuire piuttosto che assistere direttamente all’orrore. Si percepisce la tensione che prova Ritsu mentre si inoltra in una villa sontuosa che nasconde riluttanza e vendette familiari.

Il lettore si interfaccia continuamente con una versione diversa di Ritsu in base al testimone che viene interrogato dalla protagonista, provocandogli un senso di stordimento. Si arriva così a domandarsi: come mai Ritsu e Yuri sono identiche? Perché Kyōko Kuki ha un ricordo diverso della sorella rispetto agli altri?

Aoyama, grazie al suo stile squisitamente letterario, all’interno del libro rievoca le atmosfere di Murakami e trascina il lettore in una spirale distorta all’interno della mente umana.

Un romanzo avvincente che tiene alti la tensione e il mistero fino all’ultima pagina e in cui niente è davvero ciò che sembra: ci sono porte che è meglio non aprire e storie che non si dovrebbero scrivere.

Recensione di Davide Ciaffoni

Ambos Mundos || Recensione

 

Autrice: Kirino Natsuo
Traduttore: Gianluca Coci
Editore: Neri Pozza
Edizione: 2024

Ambos Mundos (アムボス・ムンドス、二つの世界, Ambos Mundos: I due mondi) è una raccolta di sette racconti scritti dall’autrice Kirino Natsuo, pseudonimo di Mariko Hashioka, già celebre per i suoi romanzi noir Le quattro casalinghe di Tokyo e Grotesque. Le sue opere esplorano la condizione femminile nella società giapponese, spesso mettendo in scena donne alle prese con alienazione, violenza e desiderio di riscatto. In questa raccolta in particolare, Kirino esplora le tensioni psicologiche e sociali che affliggono le donne della società giapponese contemporanea.

Le protagoniste dei sette racconti, tutte donne, si trovano ad affrontare realtà brutali e verità violente, che le lasciano spesso oppresse e sconfitte. E’ la storia di Sakiko, vittima di bullismo e incapace di una relazione sana con l’altro sesso, che si crede coinvolta in un caso criminale; di un’insegnante di scuola elementare che si abbandona ad un irrefrenabile amore proibito che termina con un evento fatale; della figlia di un noto scrittore appena deceduto, che ripercorre la storia di famiglia fino ad una drammatica epifania.

In tutti i racconti un ruolo fondamentale è quello del rapporto tra uomo e donna, che spesso scaturisce in situazioni traumatiche e sentimenti di odio della controparte femminile. Storia interessante ed emblematica è quella di una giovane donna intrappolata in una famiglia e in un lavoro che la opprimono: tutta la desolazione della vita quotidiana scaturisce in terribili incubi notturni, in cui si intersecano l’odio per il patrigno e l’adorazione per il padre naturale mai conosciuto. Anche la storia di Maki, giovane vagabonda diventata oggetto di contesa sessuale in un gruppo di clochard, racconta di una donna diventata regina in un microcosmo dominato dagli uomini. 

Il titolo dell’opera, Ambos Mundos, è un’espressione spagnola che mira ad evidenziare la presenza di due mondi all’interno della narrazione: il primo è il mondo dell’apparenza, dove i personaggi rispettano le norme sociali per mantenere una buona reputazione; il secondo è il mondo oscuro, fatto di crimini, segreti, tradimenti, verità scomode e finali fatali che lasciano le protagoniste senza via d’uscita. Tutte loro si trovano infatti in bilico tra questi due mondi, motivo per cui ogni giorno devono prendere una decisione: attenersi al mondo dell’apparenza oppure sprofondare e abbandonandosi all’oscurità.

Kirino utilizza una scrittura essenziale, riuscendo allo stesso tempo a creare atmosfere cupe e nebulose fino ad arrivare ad apici di violenza, crudeltà e morte. Le storie sono ambientate in una dimensione in cui tensioni, inganni e brutalità sono all’ordine del giorno. Proprio per questo Ambos Mundos offre un’immersione intensa e inquietante nell’animo umano, esplorando la complessità delle relazioni e la durezza della realtà sociale contemporanea giapponese lasciando un ricordo indelebile nella mente del lettore.

Recensione di Martina Benedetta Calabrese

Blu quasi trasparente || Recensione

Autore: Murakami Ryū
Traduttore: Bruno Forzan
Editore: Atmosphere Libri
Edizione: 2020

 

“Blu quasi trasparente” esordisce in Giappone nel 1976: è un romanzo che ha fatto epoca, per via della sua forza disturbante e della sua sincerità disarmante. Il suo autore, Murakami Ryū, ha sempre scelto di raccontare ciò che molti preferiscono ignorare: i margini, i corpi, la distruzione.

Il romanzo racconta, senza una vera trama lineare, le giornate ripetitive e degradate di un gruppo di giovani che vivono accanto a una base militare americana. Immersi in un ciclo di droghe pesanti, rapporti occasionali e nichilismo quotidiano, i personaggi sembrano incapaci di provare emozioni reali. La loro quotidianità è fatta di droga, sesso collettivo, musica rock e violenza sottile, vissuta in un vuoto esistenziale senza scopo né prospettiva.
L’atmosfera è quella di un vuoto pervasivo: nulla ha senso, nessuno cerca qualcosa. È un paesaggio mentale e urbano devastato, dove l’unica costante è la ricerca di una nuova soglia da superare… o da ignorare.

Lo stile narrativo riflette perfettamente questo mondo: è cinematografico, spezzato, fluido e insieme glaciale. Murakami scrive come se stesse registrando sensazioni, immagini, pulsioni, più che raccontando una storia. L’effetto è ipnotico e inquietante.
La narrazione, in prima persona, alterna descrizioni iperrealiste a passaggi quasi lirici, creando una sensazione di sospensione, come se tutto accadesse in un sogno disturbante. Le scene non si susseguono in modo lineare, ma si assemblano in flash di coscienza, frammenti di un mondo che sembra sfaldarsi sotto gli occhi del lettore.

Le tematiche affrontate (alienazione giovanile, dipendenza, perdita di identità, disintegrazione morale) non vengono analizzate con distacco sociologico, ma incarnate direttamente nei personaggi. Murakami non offre giudizi, né vie d’uscita: mostra un mondo al collasso i cui abitanti ne sono prigionieri.

“Blu quasi trasparente” è un’esperienza narrativa estrema, che lascia un senso di inquietudine profonda, del ”post-tutto”: non c’è più sogno, né ribellione, solo una lunga deriva. Il “blu quasi trasparente” del titolo è il colore di questo mondo: un’illusione di limpidezza che nasconde marciume e assenza di scopo. È un romanzo scomodo, necessario, e purtroppo ancora attuale.

Recensione di Giulia Erriquez