22 Giugno 2025 | Letteratura, Recensioni

Autore: Mishima Yukio
Traduzione: Giorgio Amitrano
Editore: Feltrinelli
Edizione: 2022
Scritto nel 1968 da Mishima Yukio, Vita in vendita (命売ります, Inochi urimasu) viene originariamente pubblicato a puntate sulla rivista popolare Weekly Playboy e nasce in un periodo particolarmente controverso per l’autore il quale, nello stesso anno, viene candidato al Premio Nobel per la letteratura. Il romanzo si presenta come una sorta di esperimento narrativo dai toni pulp, satirici, talvolta grotteschi, costruiti intorno a una costante ricerca di abbandono. Una ricerca che si rivela essere profetica in quanto, solo due anni dopo, Mishima si toglie la vita commettendo seppuku, il suicidio rituale dei samurai.
Ed è proprio in questo modo che si apre il romanzo: con un suicidio che, tuttavia, fallisce. Hanio, un giovane copywriter di Tokyo, si trova davanti a una lugubre allucinazione leggendo il giornale, un’azione banale e di routine che, in modo del tutto irrazionale per chi lo circonda, rende quella stessa routine priva di ogni senso. Risvegliatosi in un’ambulanza dopo il tentativo fallito, Hanio torna a casa, scosso, ma abbastanza lucido da prendere una decisione destinata a cambiare per sempre la sua esistenza. Copywriter di mestiere, sfrutta le sue doti e pubblica sul giornale un annuncio tanto macabro quanto allettante: “Vita in vendita. Chiunque ne abbia bisogno, si faccia avanti. Prezzo trattabile.”
Da quel momento, una serie di personaggi bizzarri e tragicamente comici iniziano a bussare alla sua porta, pronti ad acquistare la sua esistenza alla stessa stregua di un mero prodotto commerciale. Tuttavia, a differenza degli oggetti messi in vendita, Hanio, che ha oramai spogliato la sua vita di qualsiasi senso, non ha il desiderio di assegnare a quest’ultima nemmeno un valore economico. Si affida alla discrezione dei suoi clienti i quali, per qualche migliaio di yen, presentano al giovane richieste tanto pericolose quanto assurde, tra gangster, vampire, agenzie segrete e carote al cianuro di potassio.
Dietro la patina quasi pulp che avvolge l’intreccio, il romanzo cela un continuo interrogarsi sul senso della vita. Hanio, che decide di offrire la sua al migliore acquirente, affronta ogni missione col sangue freddo di chi ha già visto la morte in faccia e desidera ardentemente ricongiungersi ad essa. Eppure, ogni incarico che dovrebbe condurlo alla fine si risolve in un’imprevista salvezza, come se la vita stessa, nonostante tutto, continuasse a riaffermare il proprio valore, al di là di ogni intenzione e annullamento. Attraverso situazioni al limite del paradossale, Mishima costruisce una critica feroce alla società moderna, alienata, iper-produttiva e che sembra aver perso il proprio scopo tanto da fare sembrare la morte una fine più gloriosa di una monotona, anonima quotidianità.
Lo stile è semplice, fluido, con capitoli brevi e talvolta comici dove i personaggi secondari, volutamente stereotipati, contrastano con l’ambigua e sfuggente figura del protagonista, il quale si colloca in una posizione difficile da giudicare. Né bianco, né nero, una tela dipinta di grigio che, nella sua apparente vacuità, ci spiazza con una tacita domanda: cos’ha di speciale l’uomo, se anche la vita può divenire merce di scambio?
Recensione di Rachele Cesarini
15 Giugno 2025 | Letteratura, Recensioni

Autrice: Aoyama Nanae
Traduzione: Rebecca Suter
Editore: Rizzoli
Edizione: 2024
Nanae Aoyama è una scrittrice giapponese nata nel 1983 nella prefettura di Saitama. È diventata una delle voci più significative della narrativa contemporanea giapponese grazie al suo stile sobrio e intimista. Ha esordito nel 2005 con Mado no akari e nel 2009 ha anche vinto il Premio Kawabata per il racconto Kakera. Le sue storie, spesso ambientate nella quotidianità giapponese, sono state tradotte in numerose lingue e apprezzate anche a livello internazionale.
Nanae Aoyama scrive La sosia (にぎやかな落日) partendo da un’idea suggestiva: Ritsu, giovane scrittrice in cerca di ispirazione, viene contattata da una donna misteriosa, Kyōko Kuki, che le offre un abbondante pagamento per scrivere la biografia di sua sorella Yuri. La somiglianza surreale e inspiegabile tra la sorella deceduta di Kyōko Kuki e la protagonista Ritsu renderà il racconto sempre più macabro e inquietante.
L’atmosfera, infatti, è volutamente cupa: Aoyama spinge il lettore a intuire piuttosto che assistere direttamente all’orrore. Si percepisce la tensione che prova Ritsu mentre si inoltra in una villa sontuosa che nasconde riluttanza e vendette familiari.
Il lettore si interfaccia continuamente con una versione diversa di Ritsu in base al testimone che viene interrogato dalla protagonista, provocandogli un senso di stordimento. Si arriva così a domandarsi: come mai Ritsu e Yuri sono identiche? Perché Kyōko Kuki ha un ricordo diverso della sorella rispetto agli altri?
Aoyama, grazie al suo stile squisitamente letterario, all’interno del libro rievoca le atmosfere di Murakami e trascina il lettore in una spirale distorta all’interno della mente umana.
Un romanzo avvincente che tiene alti la tensione e il mistero fino all’ultima pagina e in cui niente è davvero ciò che sembra: ci sono porte che è meglio non aprire e storie che non si dovrebbero scrivere.
Recensione di Davide Ciaffoni
18 Maggio 2025 | Letteratura, Recensioni

Autore: Matsumoto Seichō
Traduzione: Gala Maria Follaco
Editore: Adelphi
Edizione: 2020
Matsumoto Seichō, figura chiave del giallo giapponese, ha fatto del noir uno strumento per esplorare l’animo umano sotto la pressione della società moderna. Il titolo del suo romanzo “Un posto tranquillo” è in realtà un inganno: sotto l’apparente calma si agita un abisso.
La storia prende avvio dalla morte improvvisa di Eiko, la moglie del protagonista, Tsuneo Asai, il quale è un funzionario ministeriale metodico e ligio al dovere. Per quanto tragico e doloroso, si tratta di un evento naturale e che non dovrebbe suscitare dubbi… eppure qualcosa stona. Alcuni particolari non tornano: un dettaglio geografico, un luogo inadatto, e la macchina dell’ossessione si mette in moto. Spinto da dubbi crescenti, Asai inizia un’indagine personale che lo conduce in un mondo fatto di sospetti, reticenze e bugie. Il senso di inquietudine cresce pagina dopo pagina.
Il linguaggio di Matsumoto Seichō è oggettivo, spesso quasi burocratico, che riflette perfettamente la mente del protagonista: un uomo preciso, formale, intrappolato nel proprio ruolo sociale. E proprio questo stile freddo, in cui non c’è spazio per il superfluo, amplifica l’effetto drammatico: l’autore non dice che qualcosa è tragico, bensì lo fa percepire al lettore attraverso i gesti, le omissioni, i silenzi. Il romanzo non esplode: scava, insinua, rode.
L’atmosfera del romanzo è claustrofobica. Il mondo esterno è ordinato, ripetitivo, un paesaggio grigio e monotono dove le emozioni vengono soffocate, e proprio per questo diventano pericolose, tanto da sentirle pulsare sotto la superficie. È un noir senza detective, dove la vera indagine è interna.
Matsumoto Seichō affronta con lucidità alcuni dei temi a lui più cari: la doppia faccia della rispettabilità borghese, l’influenza dell’allocentrismo giapponese sul comportamento del singolo individuo, l’ossessione per l’apparenza che ne deriva. L’autore, senza giudizi morali, osserva il viaggio oscuro avviatosi nella mente di un uomo comune spinto al limite, che si confronta con il proprio desiderio di verità e con quello, più torbido, di controllo, mostrando come l’ossessione possa sfociare nella distruzione totale di sé e degli altri.
Matsumoto Seichō ha rivoluzionato il giallo giapponese, trasformandolo in uno strumento critico verso le ipocrisie della società. “Un posto tranquillo” ne è un esempio cristallino: un romanzo breve ma ricco di spunti, dove l’enigma iniziale si trasforma in un’analisi impietosa della psiche. Con uno stile sobrio e realistico, l’autore costruisce un romanzo breve e spietato, in cui la tensione è costante e mai spettacolare. “Un posto tranquillo” è un perfetto esempio del “noir morale” di Matsumoto Seichō, dove il crimine non è tanto un enigma da risolvere, quanto una lente per osservare le crepe della società, restituendo un’immagine cruda e spesso inquietante del Giappone del dopoguerra.
Recensione di Giulia Erriquez
11 Maggio 2025 | Letteratura, Recensioni

Autrice: Aoyama Michiko
Traduzione: Daniela Guarino
Editore: Garzanti
Edizione: 2022
Nato nel 2020 dalla penna di Aoyama Michiko, il romanzo Finché non aprirai quel libro (titolo originale お探し物は図書室まで, Osagashimono wa toshoshitsu made) intreccia armoniosamente le vite di cinque persone che, a prima vista, nulla hanno a che fare l’una con l’altra. Ogni capitolo narra la vita di una di loro, cominciando da Tomoka, giovane donna che ambisce a un lavoro migliore. A seguire, Ryō, che sogna di aprire un giorno un negozio di antiquariato; Natsumi, madre e lavoratrice continuamente impegnata in un tiro alla fune tra i due ruoli; Hiroya, ancora in cerca di una strada da seguire. Infine Masao, un pensionato che si confronta col senso di vuoto lasciato dal termine della carriera.
Età diverse, situazioni e necessità diverse, sogni tanto differenti quanto all’apparenza intangibili. Tramite la voce in prima persona dei personaggi l’autrice riesce a costruire per ogni capitolo dei mondi completi, indipendenti dagli altri e al tempo stesso strettamente legati tra loro da una figura eccentrica e misteriosa, quella della signora Komachi, la proprietaria di un’umile biblioteca nascosta in un quartiere di Tokyo. Infatti, ognuno di loro si ritrova per qualche motivo ad entrare nell’edificio, in cerca di… qualcosa.
Superando un separé sovrastato da una targa che recita “bibliografia” ad aspettarli c’è la signora Komachi Sayuri, che sorprende per la grossa stazza umoristicamente in antitesi con un portamento elegante e una voce soave in grado di ammaliare il cuore. Se, a primo impatto, tutti rimangono colpiti dalla figura della donna, quello che li lascia davvero destabilizzati è una semplice frase, una domanda, che li interroga su una questione altrettanto banale all’interno di un contesto come quello di una biblioteca. Con tono gentile ma imponente, la signora Komachi scruta ognuno di loro e chiede: “Che cosa cerca?”.
Così, ognuno se ne va per la propria strada portando con sé i libri richiesti in prestito e, non senza un velo di titubanza, un libro completamente sconnesso da questi ultimi, infilato tra la pila dalla bibliotecaria senza un apparente motivo. Un errore, o forse la spinta che serviva davvero per pensare, ricordare e scoprire finalmente ciò che il cuore davvero desidera. Una spinta mirata non all’offrire risposte, bensì ad aprire nuove possibili strade da percorrere al di là del vicolo cieco in cui la vita li aveva intrappolati.
Ogni capitolo, nonostante sia incentrato su essenziali storie di quotidianità, riesce deliziosamente a districare la complessità dell’animo umano, ingabbiato in una routine che scivola inesorabilmente verso sogni sepolti e accantonati in favore di una moderna lotta per la sopravvivenza. Finché non aprirai quel libro è un inno alla vita, alla riscoperta di sé, al coraggio di rimettersi in gioco…
E, forse, quello che anche voi state davvero cercando.
Recensione di Rachele Cesarini
29 Aprile 2025 | Letteratura, News

Siamo lieti di annunciarvi che, nella giornata di sabato 24 Maggio, l’Associazione Takamori parteciperà all’evento “Scintille di Editoria” promosso da Scintille Book Club, presso Borgo delle Colonne, 28, Parma a partire dalle ore 11:00.
Introdurranno il momento di lettura silenziosa Francesco Vitucci, professore di lingua giapponese presso l’Università di Bologna e Matteo Contrini, traduttore specializzato in poesia Haiku.
Non mancate!
27 Aprile 2025 | Letteratura, Recensioni

Autore: Matsumoto Seichō
Traduttrice: Gala Maria Follaco
Editore: Adelphi
Edizione: 2024
Pubblicato negli anni Sessanta, L’attesa (強気あり, Tsuyokiari) rappresenta forse uno dei romanzi più densi di Matsumoto Seichō.
Maestro dello Shakai Ha (社会派, “scuola sociale“), l’autore è in grado di costruire in appena trecento pagine un abile commentario della metropoli del suo tempo attraverso la vita di Isako, donna scaltra e ambiziosa sposata ad un uomo di trent’anni più anziano di lei, Nobuhiro, alla cui eredità questa guarda senza scrupolo alcuno, augurandosi una subitanea morte del consorte.
La trama si infittisce non appena Isako scopre che la fidanzata di Ishii Kanji — uno dei suoi tanti amanti più giovani — è morta in circostanze a dir poco sospette. Tremendamente scossa dalla notizia non tanto per il fatto macabro quanto per la minaccia che la sua presenza nell’appartamento di Kanji la sera dell’accaduto potrebbe risultare compromettente per la sua reputazione (e quindi per il suo piano di ereditare le fortune di Nobuhiro), Isako cercherà in ogni modo di arginare le sue possibilità di essere scoperta nel suo meschino intento attraverso inganni, ricorsi a favori, menzogne e manipolazioni.
Il freddo cinismo della protagonista è evidenziato ad ogni pagina — le sequenze diegetiche e dialogiche sono quindi spesso interrotte da un turbinare di pensieri irrequieti: “cosa succederà se agisco in questo modo?”, “e se le vere intenzioni di questa persona fossero ben altre?”.
Attraverso la sua sapiente prosa, Matsumoto rende tangibilmente gravosa l’*attesa* di Isako, creando tensione ad ogni svolta della trama, alimentando una sostenuta patina di ansietà e incertezza che permette al lettore quasi di entrare nella testa della donna: Isako non solo attende che il marito muoia, ma è sospesa nell’attesa incerta e angosciosa degli avvenimenti futuri, che — nonostante l’acume delle sue previsioni riguardo le mosse altrui — non può in alcun modo conoscere.
Forse uno dei romanzi noir più densi di Matsumoto, Tsuyokiari mette a nudo uno dei lati più oscuri della intrinseca relazionalità sottostante la società giapponese, rivelando la rete sociale fragile, diffidente, crudamente opportunista del Giappone del proprio tempo.
Recensione di Francesco Meco
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