Nobody Knows (2004)

Cineteca JFS!

Anche questa settimana l’Associazione Takamori vi fa compagnia raccontandovi un nuovo film. Quello che vi presentiamo oggi è Nobody Knows, del 2004, diretto da Koreeda Hirokazu.

Il film pone al suo centro la vicenda di quattro bambini. “Nobody Knows” è una storia profonda e interessante perché descrive il percorso verso la maturazione e la responsabilizzazione dei giovanissimi personaggi, seppure raggiunte attraverso un’esperienza traumatica.

La madre single Fukushima Keiko si trasferisce in un nuovo appartamento con Akira, presentandolo al proprietario come suo unico figlio. Ma dopo la sistemazione nella nuova casa, Keiko fa uscire allo scoperto anche i suoi altri tre figli, Kyōko, Shigeru e Yuki. Presto, Keiko conosce un altro uomo e la sua assenza diventa sempre più lunga, finché non abbandona del tutto i suoi figli, sconvolgendo la loro vita. Da questo momento, il dodicenne Akira è costretto a prendersi cura dei fratelli più piccoli, con la costante paura che qualcuno li separi.

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L’Associazione Takamori dispone di un ampio database di sottotitoli italiani per film giapponesi a cura dei membri dell’associazione stessa. Per ulteriori informazioni, contatti e collaborazioni:

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Yura Yura Teikoku – 3X3X3

Il gruppo

Gli Yura Yura Teikoku (ゆらゆら帝国) sono stati una band giapponese originaria di Tokyo, formatasi al centro della scena musicale underground del distretto di Kōenji.
Nascono nel 1989 principalmente da un’idea del cantante/chitarrista Shintarō Sakamoto e il bassista Chiyo Kamekawa, ai quali si aggiungerà il batterista Atsushi Yoshida. Nel 1997 però, Atsushi Yoshida viene sostituito da Ichirō Shibata, portando i tre musicisti a firmare un nuovo contratto con la casa discografica “Midi Records”. Dopo 5 album in studio, l’ultimo, Hollow, pubblicato nel 2007, e 4 EP,  la band decide inaspettatamente di sciogliersi nel 2010, portando tutti i membri a continuare la propria carriera musicale da solisti.
Il loro sound è stato genericamente associato al rock psichedelico, anche se altre influenze di sottogeneri rock, come il garage, possono essere facilmente riconosciuti.

3X3X3

L’album che vi proponiamo è intitolato 3X3X3, rilasciato il 15 aprile 1998. Il disco è composto da 11 tracce:

  1. WAKATTE HOSHII
  2.  KONCHU ROCK
  3. YURA YURA UGOKU
  4. DOCK ‘N’ DOLL
  5. HAKKOTAI
  6. TSUKINURETA
  7.  AITSU NO THEME
  8. 3X3X3
  9.  TURTLE TALK
  10.  EVIL CAR
  11.  PARTY WA YARANAI

 

È stato spesso considerato un disco di rottura, non solo perché è stato il primo ad essere registrato con la casa discografica “Midi Records” e il primo con Ichirō Shibata alla batteria, ma principalmente ha portato la band a livelli di popolarità mai avuti prima.
Abbiamo infatti tracce più pop, nel caso di DOCK ‘N’ DOLL, o ballate rock, come YURA YURA UGOKU, ma nel complesso lo stile rimane quello inconfondibile del rock psicheledico misto a garage, con più sperimentazioni pop, che gli hanno valso un nome anche al di fuori della stretta scena indie rock giapponese di quegli anni.

 

— recensione di Anna Maria Meccariello.

The Eternal Zero (2013)

 Cineteca JFS!

Anche questa settimana l’Associazione Takamori vi fa compagnia raccontandovi un nuovo film. Quello che vi presentiamo oggi è The Eternal Zero, del 2013, diretto da Yamazaki Takashi.

Verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, un aereo giapponese minaccia la flotta statunitense, che si trova nell’Oceano Pacifico. Kyūzō , il pilota, è altamente qualificato, ma considerato un codardo dai suoi compagni poiché ricorre ad ogni stratagemmma, pur di tornare sano e salvo dalle battaglie. Miyabe Kyūzō era terrorizzato dalla morte e ossessionato dalla vita; definito un genio, ma anche un codardo. Perché si è unito ai corpi speciali? È questa la domanda-chiave che lo spettatore si pone, che avrà una risposta solo dopo che Kentaro e Keiko avranno scoperto la sconvolgente verità, nascosta per 60 anni.

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La ragazza dello Sputnik

Autore: Murakami Haruki
Titolo originale: スプートニクの恋人 (Supūtoniku no koibito)
Editore: Einaudi
Collana: Super ET
Traduzione: Giorgio Amitrano
Edizione: 2013
Pagine: 216

 

Nella primavera del suo ventiduesimo anno, Sumire si innamorò per la prima volta nella
vita. Fu un amore travolgente come un tornado che avanza inarrestabile su una grande
pianura. Spazzò via ogni cosa, trascinando in un vortice, lacerando e facendo a pezzi tutto
ciò che trovò sulla sua strada, e dietro non si lasciò nulla. Poi, senza aver perso nemmeno
un grado della sua forza, attraversò il Pacifico, distrusse senza pietà Angkor Wat e
incendiò una foresta indiana con le sue sfortunate tigri. In Persia si trasformò in una
tempesta del deserto e seppellì sotto la sabbia un’esotica città-fortezza. Fu un amore
straordinario, epocale. La persona di cui Sumire si era innamorata aveva diciassette anni
più di lei ed era sposata. E come se non bastasse, era una donna. È da qui che tutto
cominciò, ed è qui che tutto (o quasi) finì.

La trama

Come si evince dall’incipit del romanzo, La ragazza dello Sputnik racconta la storia di
Sumire, una ragazza poco più che ventenne, con una passione per la generazione Beat e
la scrittura, nonostante non riesca a finire di scrivere nessuno dei libri che inizia.
La storia viene raccontata da un suo amico, innamorato di lei ma non ricambiato.
Sumire è invece innamorata di Myū, un’imprenditrice di origini coreane, di quasi vent’anni
più grande. Anche Myū prova interesse per Sumire, ma c’è qualcosa nel suo passato che
la rende incompleta e le impedisce di amarla come Sumire vorrebbe.
Sumire inizia a lavorare per Myū, e la segue nei suoi viaggi in Francia, Italia e
Grecia, dove improvvisamente scompare. Myū decide quindi di contattare l’amico di
Sumire per avere un aiuto nelle ricerche, e lui si precipita lì. È così che viene a
conoscenza del passato di Myū, fondamentale per intuire dove si trovi Sumire.

Amori, silenzi

Il filo conduttore del romanzo è sicuramente l’amore non corrisposto, che accomuna
tutti e tre i personaggi principali, seppur abbia effetti diversi su ognuno di loro. Se Sumire
mantiene la sua spontaneità e il suo cinismo, e cerca di includere Myū nella sua vita in un
modo o nell’altro, il suo amico è perfettamente conforme alla società, fino a chiudersi
completamente su sé stesso, incapace di esprimere i propri sentimenti. Myū ha invece una
totale inettitudine per l’amore, soprattutto quello fisico.

Murakami racconta la solitudine e l’incomunicabilità dei protagonisti senza mai
renderla esplicita, facendola percepire al lettore tramite dialoghi e silenzi. Il risultato è la
sensazione di essere sospesi, senza avere la certezza di aver compreso a fondo i
personaggi, così come non arrivano mai a comprendersi del tutto tra di loro: si sfiorano,
ma senza afferrarsi mai, continuando a vagare ognuno lungo la propria orbita. Potrebbero
completarsi a vicenda, forse, se solo ci provassero abbastanza, ma non succede mai.

Il finale è l’elemento più controverso: quando Sumire scompare, il narratore
suggerisce che si trovi in un mondo parallelo, dove Myū non è stata cambiata dal suo
passato. Sarà davvero così? Le sarà possibile fare ritorno?

 

— recensione di Giorgia Caffagni.

 

Journey to the Shore (岸辺の旅) (2015)

Journey to the Shore, 岸辺の旅

(Giappone, 2015)

Regia: Kurosawa Kiyoshi

Cast: Asano Tadanobu, Fukatsu Eri

Genere: drammatico, sentimentale

Durata: 128 minuti

 

Journey to the Shore è un film drammatico del regista Kurosawa Kiyoshi, presentato al Festival di Cannes nel 2015 nella sezione Un Certain Regard, per cui ha vinto il premio per la miglior regia. La rivista francese Cahiers du cinéma l’ha posizionato al decimo posto nella lista dei miglior film del 2015.

La trama

Il film racconta la storia di Mizuki, un’insegnante di pianoforte, il cui marito, Yusuke, è scomparso da tre anni. Improvvisamente Yusuke torna a casa, facendole visita come fantasma, rivelando di essere morto in mare. Vuole mostrarle i posti in cui è stato prima di morire e farle conoscere le persone che lo hanno aiutato, così la invita con sé in un viaggio verso la costa, che si rivelerà essere per lei un viaggio alla riscoperta di sé.

L’elemento soprannaturale, sicuramente influenzato dal passato del regista, divenuto famoso come regista di horror, si inserisce nella cornice della storia con leggerezza e intimità, rendendo a tratti difficile distinguere i vivi dai non vivi. Il risultato è un equilibrio esatto tra metafisica e realismo, immaterialità e corporeità: se i vivi sembrano quasi sparire, la presenza dei morti non è motivo di sorpresa per loro, e ha conseguenze tangibili e reali.

 

Nonostante la fotografia sia caratterizzata da colori scuri e freddi, e gli argomenti trattati sono di un certo spessore – l’elaborazione del lutto, la solitudine, il perdono, – il film trasmette un senso di tranquillità e di pace, ostacolato forse solo dai ritmi eccessivamente lenti e contemplativi, che lo rendono a tratti ridondante.

Se inizialmente la scelta degli argomenti trattati può sembrare banale, la prospettiva da cui vengono analizzati – da vicino, come se venissero visti attraverso le lenti di un microscopio – è del tutto originale. La parentesi soprannaturale è così assurda da apparire normale, perché nel mondo di Kurosawa, dove i confini tra la vita e la morte si intersecano, tutto è concesso.

Degne di nota sono la colonna sonora, malinconica al punto giusto, in perfetta linea con l’atmosfera della pellicola, e l’interpretazione dell’attrice protagonista, Fukatsu Eri, abilissima nel comunicare i tumulti interiori di Mizuki e la sua crescita personale, dal risentimento iniziale al perdono finale.

 

— recensione di Giorgia Caffagni.