Every Day A Good Day (2018) – Omori Tatsushi

 

日日是好日

Every Day A Good Day

(Giappone, 2018)

Regia Omori Tatsushi
Cast Haru Kuroki, Kirin Kiki, Mikako Tabe
Genere Dramma, cerimonia del tè
Durata 100 minuti
Lingua giapponese

Debutta in Europa, in occasione del Far East Film Festival di Udine, Every Day a Good Day, diretto da Omori Tatsushi. Tratto da una raccolta di saggi di Morishita Noriko, Nichinichi kore kōjitsu – il titolo originale del film – presenta la storia di Noriko (Haru Kuroki), una giovane studentessa insicura di sé e “sbadata” come viene definita scherzosamente dalla sua stessa famiglia; sente addosso la pressione tipica dei ventenni, di chi non ha ancora progetti ben precisi per il proprio futuro. La ricerca invana di un impiego la farà avvicinare al mondo della cerimonia del tè e grazie all’anziana vicina di casa Takeda (Kirin Kiki) ne apprenderà i segreti più intimi. Assieme a Noriko, accompagnata in questa avventura da sua cugina Michiko (Mikako Tabe), scopriamo dunque un universo complesso, fatto di regole severe e rigide, ma allo stesso momento pervaso da grazia, armonia e spiritualità; un dualismo equilibrato, impersonificato dal personaggio di Takeda-sensei, interpretata squisitamente da Kirin Kiki, in uno dei suoi ultimi ruoli.

Takeda-sensei è severa con le sue due allieve ed esige la perfezione; ciò nonostante, è esilarante quando riprende le due giovani ragazze. Inoltre, è impossibile non rimanere con gli occhi incollati sul grande schermo man mano che seguiamo le sue graziose mani compiere movimenti decisi eppure delicati. Quello del tè è un mondo idilliaco, un locus amoenus del Sol Levante: ordine, eleganza, regole, tradizione, disciplina e purezza ne sono solo alcuni pilastri fondanti. La razionalità ha uno spazio delimitato all’interno di essa; la stessa Takeda-sensei insegna a Noriko e Michiko che non bisogna capire il significato di ogni cosa e soltanto quando si mette il proprio cuore, dopo aver dominato la forma, che le mani saranno in grado di compiere i movimenti in autonomia.

Durante la visione di Every Day A Good Day il pubblico viene trasportato in un’esperienza sensoriale in cui i sensi vengono amplificati. In particolar modo, le lunghe pause di silenzio profondo permettono all’udito di essere solleticato dallo scorrere dell’acqua, che sia l’acqua calda versata in una tazza da tè o la pioggia che scende in autunno. Si tratta, tuttavia, di una bolla paradisiaca nella vita di Noriko presto destinata a scoppiare a causa di una relazione finita male, dell’insicurezza derivante dal confronto tra la sua vita e il successo delle sue coetanee – prima fra tutte sua cugina Michiko – ed infine di una tragedia che incombe come un fulmine a ciel sereno.

Il titolo Nichinichi kore kōjitsu – ogni giorno è un buon giorno – è tratto da un kakeijiku (dipinto su rotolo appeso) che Noriko osserva perplessa per la prima volta a casa di Takeda-sensei. Solo al termine del suo percorso di apprendimento e di crescita personale comprenderà il significato che si cela dietro l’antico proverbio, ovvero carpe diem. Lo scorrere inesorabile dei mesi e degli anni, infatti, permea l’intera narrazione in quanto è scandito nettamente dall’alternarsi ciclico delle stagioni e delle diverse tipologie di cerimonia del tè, che le due apprendiste devono padroneggiare ogni volta da zero. Omori Tatsushi riporta un lasso temporale di venticinque anni, all’inizio del quale Noriko è una semplice studentessa in cerca di un lavoro e al termine del quale rincontriamo la protagonista da adulta. Veniamo pertanto catapultati in un excursus temporale fulmineo, quasi per ricordarci di come la vita, che spesso prendiamo per scontato, ci passi davanti agli occhi in un attimo, senza che noi ce ne accorgiamo. E come i fiori di ciliegio che cadono in primavera – chi ha visto il film capirà sicuramente il riferimento – la vita umana è destinata a finire. La vita, però, è destinata anche e soprattutto a continuare. Pertanto, Every Day A Good Day lascia agli spettatori un forte messaggio: cogliere l’attimo, apprezzare le piccole cose del presente perché non sappiamo cosa ci serba il domani e rendere appunto ogni giorno un buon giorno.

 di Gene Delos Santos


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JAPANESE FILM SELECTION : Radiance 光

 Radiance

(Giappone, 2017)

Regia Kawase Naomi
Cast Nagase Masatoshi, Misaki Ayame
Durata 101 minuti
Lingua giapponese

Sottotitoli a cura dell’Associazione Takamori
Sottotitoli italiani Samuele Verona
Controllo sottotitoli Alice Foschini
Supervisione Francesco Vitucci

Cinema Rialto, via Rialto 19 (BO)
Martedì 7 maggio 2019 – ore 19.00

Kawase Naomi usa la disabilità per tessere una storia d’amore tra Misako, che sta scrivendo l’audiodescrizione di un film rivolto a non vedenti, e Nakamori, un famoso fotografo che sta perdendo la vista. Segnati entrambi da dolorose esperienze, riusciranno a comprendersi a vicenda?


ENTRATA GRATUITA

Yonezu Kenshi (米津 玄師) – Lemon

L’ARTISTA

Yonezu Kenshi, nato il 10 marzo 1991 a Tokushima, è un musicista e compositore giapponese.

Da sempre appassionato di musica, nel 2006 decide di fondare una band con l’amico Nakajima Hiroshi dal nome Late Rabbit Edda, con la quale si esibivano durante i festival scolastici. I primi brani, composti da lui, vengono pubblicati online sul sito Nico Nico Douga (sito giapponese di condivisione video) ma hanno scarso successo.

La sua carriera musicale vera e propria ha inizio nel 2009 quando, durante il periodo di studi a Ōsaka all’accademia delle belle arti, utilizza per la prima volta il software vocaloid (sintetizzatore vocale) e, cantando sotto il nome di Hachi (ハチ), riscuote un immediato ed enorme successo con la pubblicazione del brano Musunde Hiraite Rasetsu to Mukuro (結ンデ開イテ羅刹ト骸).

Nonostante la realizzazione di molte canzoni registrate con la sua vera voce, quelle vocaloid diventano molto più popolari, tanto che il suo blog, chiamato prima Tekitō Edda (適当EDDA) e successivamente rinominato Denshi-chō Hachibangai (電子帖八番街) viene premiato con il Diamond Award al WebMoney Awards.

Solo nel 2012 debutta per la prima volta con il suo vero nome rilasciando l’album Diorama, il primo con canzoni interamente registrate con la propria voce. Dal genere alternative rock, raggiunge la sesta posizione nell’Oricon Albums Chart (grafico di popolarità degli album standard dell’industria musicale giapponese), vendendo 25.000 copie, e il primo posto nella Billboard Japan’s Top Independent Albums and Singles Chart.

Da questo momento in poi, la sua carriera si divide in due per via dell’alternanza di pubblicazioni di brani vocaloid e non. Yonezu Kenshi non solo si occupa interamente della composizione dei testi e della sua musica (suona, infatti, chitarra e batteria), ma si è sempre occupato anche delle illustrazioni per i video e delle cover dei suoi album. Il fatto di essere un vero e proprio artista a tutto tondo è una delle caratteristiche che lo rende tanto amato dal pubblico giapponese ed internazionale.

SINGOLO CONSIGLIATO

Il singolo che oggi proponiamo di ascoltare è Lemon, rilasciato il 14 marzo dell’anno scorso, che comprende in totale 3 tracce:

  1. Lemon
  2. Cranberry and Pancake
  3. Paper Flower

Con più di 2 milioni di download, la canzone principale dal titolo Lemon, appunto, ha vinto numerosi premi tra cui il Best Theme Song al 96° Drama Academy Awards e anche il Best Theme Song al Tokyo Drama Awards 2018. Il video, caricato su YouTube il 26 febbraio, presenta ad oggi più di 300 milioni di visualizzazioni ed è ritenuto, perciò, uno dei video musicali giapponesi più visti.

Tutte e tre le tracce costituiscono il ritratto della vita e della morte secondo la visione personale del cantante, il quale, in un’intervista per la Billboard Japan del 9 marzo 2018, afferma proprio che “cercando di raffigurare la vita umana come si deve, si finisce poi per esaltarne la parte opposta”.

“I frutti sono colorati e bellissimi, giusto? Personalmente, penso che siano simili agli esseri umani. Hanno la buccia, la polpa e i semi, quindi, in termini di struttura, sono come il corpo umano. La musica è una forma di comunicazione tra persone e, in genere, le mie canzoni parlano di esseri umani.”, questa è la sua risposta alla domanda relativa alla scelta del frutto in questione come titolo del brano principale. Successivamente, egli spiega, però, che il tutto è avvenuto in maniera casuale, quasi inconscia, soprattutto dopo aver pensato alla frase: “Nel mio cuore non resta che il profumo amaro di un limone che non va più via” (胸に残り離れない 苦いレモンの匂い). Il titolo iniziale della canzone, infatti, era Memento, ma siccome doveva essere la colonna sonora del drama Unnatural (アンナチュラル), la cui trama prevede l’investigazione da parte di medici legali in merito a cosa si nasconde dietro a decessi accaduti in circostanze anomale, Yonezu sceglie volutamente di utilizzare un oggetto che normalmente nessuno assocerebbe alla morte se non in senso metaforico.

Durante la stesura del testo, suo nonno, già malato da tempo, purtroppo viene a mancare. Perciò, la canzone, che aveva lo scopo di avvicinarsi a coloro che soffrono per la perdita di qualcuno, diventa in un certo senso anche molto personale, poiché il cantante si trova improvvisamente a vivere sulla propria pelle l’esperienza della morte di una persona a lui cara. Questo fatto lo porta a ragionare su come prima lui trattasse il tema della morte nei testi dei suoi brani con uno sguardo molto più distaccato e ideologico.

Tuttavia, questo brano, nel quale chiunque può identificarsi, lascia un bagliore di speranza: “Anche ora tu continui ad essere la mia luce.” (今でもあなたはわたしの光) dice una frase del testo. Lo scopo di Yonezu, infatti, è quello di far convergere ciò che è negativo in una direzione positiva. La figura del limone racchiude proprio questo pensiero: alleggerisce e dà freschezza, bilanciando la sensazione malinconica che permane a seguito del vuoto lasciato da chi se ne va. La melodia da lui creata, infatti, nonostante la tematica consistente, è nel complesso molto armonica e piacevole all’ascolto.

Cranberry and Pancake, invece, scritta e composta in uno stato di mal di testa da postumi da sbornia della sera prima, oltre a rispecchiare la terribile sensazione che il cantante stava provando in quel momento, si discosta da Lemon per il fatto che il ritmo è più veloce e assume un tono per certi versi spensierato, pur facendo trasparire un sentimento di nostalgia. Anche per questo brano, il titolo rinvia al cibo poiché l’atto di mangiare è fondamentale per vivere, perciò è sinonimo, secondo Yonezu, della vita umana.

Infine, l’ultima canzone, Paper Flower, presenta un ritmo più fluido, dolce e calmo senza distaccarsi troppo dalla canzone principale del singolo. Anche in questo brano emerge, infatti, una sensazione di vuoto dovuta all’impossibilità di raggiungere ciò che si desidera.

Dopo il ritmo vivace di Cranberry and Pancake, con Paper Flower si chiude il cerchio e si completa la prospettiva puramente soggettiva di Yonezu Kenshi in merito alla vita umana e la sua fugacità.

—di Sara Grassilli


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TERRACE HOUSE : IL REALITY SHOW PER CHI ODIA I REALITY

“Buonasera. Terrace House è una serie su sei estranei che vivono insieme e che osserviamo interagire. Abbiamo messo a loro disposizione soltanto una splendida casa e delle automobili. Non c’è un copione.” È questo il refrain che si ripete all’inizio di ogni episodio e che descrive perfettamente l’essenza del programma.

La prima stagione di Terrace House (テラスハウス) è andata in onda soltanto in Giappone, mentre le tre successive sono state prodotte da Fuji Television per Netflix, che ne ha decretato il successo a livello internazionale. Si tratta infatti di un format vincente per il colosso dello streaming in abbonamento, in quanto distribuito a livello mondiale e la cui popolarità vede il continuo rinnovo per ulteriori stagioni.

Di seguito sono elencate tutte le stagioni andate in onda fino ad ora e ambientate rispettivamente nello Shōnan, a Tōkyō, alle Hawaii e a Karuizawa:

  • Terrace House: Boys × Girls Next Door (2012–2014)
  • Terrace House: Boys & Girls in the City (2015–2016)
  • Terrace House: Aloha State (2016–2017)
  • Terrace House: Opening New Doors (2017–2019)

La struttura dello show prevede la partecipazione di tre ragazzi e tre ragazze che decidono di trasferirsi in una villa da sogno e vivere insieme ad altri coinquilini per alcuni mesi. A differenza dei classici reality, Terrace House non prevede che i protagonisti abbandonino il loro lavoro o gli studi, coerentemente con la mentalità e l’etica lavorativa giapponesi. Questi ragazzi, pur accettando di vivere sotto i riflettori, possono continuare a vivere la loro vita regolarmente studiando, lavorando e incontrando famiglia e amici qualora lo desiderino. Inoltre, ogni concorrente può decidere liberamente di lasciare il programma quando preferisce, lasciando il posto ad un nuovo coinquilino.

L’età dei partecipanti varia dai 18 fino ai 30 anni e i motivi della partecipazione sono i più svariati: trovare l’amore, trovare lavoro, imparare la lingua, fare esperienza di convivenza, lanciare la propria carriera artistica o semplicemente ottenere visibilità attraverso la partecipazione al programma. Data la popolarità dello show, per molti si è trattato di un vero e proprio trampolino di lancio per una carriera nel mondo dello spettacolo, nella moda o nell’industria dei media giapponesi. Per citare due esempi: Lauren Tsai (21) modella, illustratrice e attrice e Shimabukuro Seina 島袋聖南 (32) modella e influencer.

Gli opinionisti

Da sinistra: Babazono Azusa 馬場園梓 (38), Tokui Yoshimi 徳井義実 (49), Yū ゆう (54), Triendl Reina トリンドル 玲奈 (27), Kentarō 健太郎 (21) e Yamasato Ryōta 山里亮太 (41).

A rendere lo show ancora più intrigante e divertente è la presenza di sei opinionisti che introducono le puntate e di tanto in tanto interrompono gli episodi, commentandoli. L’ironia e il forte coinvolgimento di questi attori e comici giapponesi conferiscono una marcia in più al programma. Senza troppi peli sulla lingua commentano le vicende dei protagonisti, alternando momenti di grandi risate e comicità, a momenti di emozione e serietà.

Ragioni del successo

Attenzione a non considerare Terrace House come la versione giapponese dei classici reality all’italiana o all’americana come Big Brother o Jersey Shore. I protagonisti non sono pedine pilotate da una mente superiore, non ci sono confessionali o televoti per eliminare i personaggi meno amati e nessuno si mette in ridicolo davanti alle telecamere.

È proprio l’assenza dell’elemento del dramma da reality a rendere lo show unico nel suo genere, genuino e piacevole. Talvolta vi sono discussioni e tensioni, ma non vengono enfatizzate e portate all’esagerazione perché tutto è bilanciato. Vi è un’alternanza di momenti di gioia e tristezza, così come avviene nella vita reale. Si tratta di persone ordinarie e probabilmente è questo il motivo per cui gli spettatori vi si affezionano così tanto.

Conclusioni

Se siete curiosi di conoscere aspetti della cultura nipponica in un modo diverso dai tradizionali anime o dorama, Terrace House è il programma che fa per voi. Inoltre, in particolare se siete studenti di giapponese, approfittate dell’occasione per guardare il programma in lingua originale. In questo modo potrete ascoltare il modo in cui vengono utilizzati vari registri linguistici, i diversi dialetti dei protagonisti e lo slang giovanile.

— di Vittoria De Bernardi


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IL 210° GIORNO: le critiche di NATSUME SŌSEKI

Autore: Natsume Sōseki 

Titolo originale: Nihyakutōka

Editore: Lindau

Collana: Senza frontiere

Traduzione: Andrea Maurizi

Edizione: 2019

Pagine: 104

Il 210° giorno, tratto da un episodio della vita di Natsume Sōseki, viene pubblicato per la prima volta nel 1906 sulla rivista «Chūōkōron», ma è edito in Italia solamente quest’anno. Si tratta di un racconto breve, anche per questo a lungo sottovalutato dalla critica, e racconta di due giovani, Kei e Roku, che soggiornano nella città di Aso (nel Kyūshū) con l’intenzione di scalare l’omonimo vulcano per  affermare la propria virilità.

Il titolo fa riferimento ad un giorno del calendario lunisolare (abolito dal governo Meiji nel 1873), il nihyakutōka  (lett. “il 210° giorno”). In questo particolare calendario erano segnati anche due periodi, sul finire dell’estate, in cui potevano avvenire violente perturbazioni atmosferiche :

  • il nihyakutōka, che coincideva con la fine di agosto e l’inizio di settembre cioè, duecentodieci giorni dall’inizio della primavera;
  • il nowaki (lett. “erba divisa [dal vento]”),che indicava i tifoni che si verificavano tra duecentoventesimo e duecentotrentesimo giorno dall’inizio della primavera.

Il vento e la pioggia del 210° giorno, insieme alle nubi di cenere vulcanica, agitavano a tal punto la vegetazione che era impossibile distinguere qualunque cosa nel raggio di un centinaio di chilometri. (Il 210° giorno)

Il titolo in sé è una forte critica al governo Meiji, macchiatosi della colpa di avere abolito una tradizione che, in questo caso, avrebbe aiutato i protagonisti a portare termine la loro impresa.

La forza del mutamento 

Elementi tipici della poetica di Natsume Sōseki, presente nel racconto, sono i dualismi passato e presente, tradizione e modernità, visibili proprio dalla scelta del vulcano Aso. Infatti essa ricade su uno dei vulcani più alti del Giappone, ai cui piedi sorge lo “Aso jinja”, tempio strettamente legato alla tradizione giapponese. Lo stesso è, non a caso, dedicato Takeiwatatsu-no-Mikoto, nipote del primo imperatore del Giappone, Jinmu.

Con la sua eruzione esplosiva, pone simbolicamente termine a un’epoca- quella del Giappone premoderno – e segna l’inizio di un nuovo importante capitolo della storia del paese. (Andrea Maurizi, Postfazione de Il 210° giorno)

L’eruzione del vulcano pone fine alla tradizione, chiudendo definitivamente con il periodo Tokugawa.”L’evocazione della forza distruttrice della natura in concomitanza di un momento di crisi e di un radicale mutamento delle condizioni storico-politiche”, non fa che sottolineare la traumaticità e la dannosità di eventi forti e inattesi.

Un’amicizia improbabile

Kei e Roku sono l’uno l’opposto dell’altro. Kei è un ragazzo corpulento, figlio di un “produttore e venditore di tōfu” e che ignora la cultura giapponese. Roku, al contrario, è di corporatura minuta, proviene da una famiglia facoltosa ed è molto acculturato. A differenza di Kei, Roku si dimostra poco interessato alla letteratura e cultura “occidentale”; afferma infatti di conoscere La sfida di Iga, ma di non aver mai letto niente di Dickens.

Un’amicizia improbabile quella tra Roku e Kei volta a evidenziare un altro problema dell’uomo moderno: l’individualismo. L’amicizia tra i due è possibile fino a quando  la libertà dell’altro viene rispettata, afferma Sōseki. In epoca Meiji, troviamo tra i  fondamenti  l’esaltazione dell’individuo, per cui ognuno è libero di perseguire la propria felicità, anche se in contrasto con la società; questo porta all’affermarsi del romanzo dell’io, lo shishōsetsu.

Lo smarrimento dell’uomo moderno

Seppure breve, Il 210° giorno racchiude in sé tutta la poetica di Sōseki. Emerge fin dalle prime pagine quello che l’autore identifica come un forte smarrimento dell’uomo moderno, che lascia, in particolare a Roku, un senso di angoscia e inquietudine. Sono infatti molti gli episodi in cui Roku manifesta questi sentimenti.

La forte ondata di “occidentalismo” procura all’ individuo un sentimento di inquietudine e  smarrimento. L’Occidente viene preso come modello sia a livello di istituzioni che di usi e costumi; al contempo il Giappone cerca di cancellare, almeno alla vista, elementi che possano richiamare ad una tradizione considerata dagli europei inferiore. Vi è la necessità che il paese appaia forte, occidentale, moderno e colonizzatore, al fine di non essere dominato come gli altri paesi asiatici in quel periodo. Cambiamenti  rapidi e veloci non possono fare altro che disorientare l’intera nazione, come lo stesso scrittore afferma:

Il pensiero dell’era Meiji ripercorreva nel giro di quarant’anni tutta la strada che la storia dell’Occidente aveva fatto in tre secoli. (Sanshirō, 1908).

Conclusione

Lascio la conclusione al  traduttore di questo racconto breve, Andrea Maurizi:

I riferimenti letterari e […]  alla letteratura di intrattenimento del XIX secolo conferiscono all’opera la solidità che solo la tradizione è in grado di assicurare, impreziosendo e nobilitando un racconto che ben si presta a rappresentare lo spessore intellettuale e l’originalità di uno degli scrittori giapponesi più conosciuti e amati in Occidente.

—di Beatrice Falletta