The Snow White Murder Case (2014) | Cineteca JFS

L’Associazione Takamori è lieta di presentarvi The Snow White Murder Case, thriller giapponese del 2014 diretto da Nakamura Yoshihiro.

The Snow White Murder Case, in giapponese Shirayuki Hime Satsujin Jiken, tratto dall’opera di Minato Kanae, è un film thriller diretto da Nakamura Yoshihiro ed uscito nelle sale giapponesi nel 2014.

Il corpo carbonizzato e violentemente accoltellato di una giovane donna viene ritrovato nascosto tra gli alberi di un parco. Si tratta della bellissima Miki Noriko, interpretata da Arai Nanao, una donna impiegata in nella ditta di cosmetici Hinode. La polizia interroga la collega Kana Risako, intrepretata da Renbutsu Misako, sua partner all’interno dell’azienda.
Risako, dopo essere stata interrogata dalla polizia, chiama il suo amico di vecchia data Akahoshi Yuji, interpretato da Ayano Go, il quale lavora come giornalista part-time per un programma TV.
Durante la conversazione, Yuji scrive le informazioni che ottiene da Risako su twitter e capisce che il caso in questione può essere un ottimo slancio per la sua carriera.
Decide quindi di interrogare gli altri colleghi di Noriko.

I sospetti cadono sulla timida quanto graziosa Miki, interpretata da Inoue Mao, la quale secondo quanto raccontato da un’altra collega provava forti sentimenti verso il manager della compagnia Shinoyama Satoshi il quale però non ricambia le attenzioni della donna e la respinge dicendo di avere una relazione con Noriko. La possibile gelosia di Miki verrà presa come possibile movente dell’omicidio di Noriko.

La pellicola si configura come un esperimento che unisce una componente social come Twitter ad una storia investigativa nella quale Yuji si trova a condividere ogni sospetto e informazione che si ritrova in mano.
L’opera di Nakamura esce dai paletti imposti dai canoni dei generi cinematografici in quanto non intende rimanere solo una storia investigativa ma, a più strati, esplora tematiche profonde come le problematiche di tipo personale che possono nascere sul posto di lavoro e quanto, oggigiorno, i media abbiano il potere di influenzare un caso di omicidio.

L’opera è stata presentata al Far East Film Festival 2014 e nominata al 38esimo Japan Academy Prize nel 2015 per il titolo di Miglior Attrice Protagonista grazie all’attrice Inoue Mao.

Per maggiori informazioni riguardo all’opera, vi invitiamo a visitare il nostro canale YouTube dove potrete visionare il nostro nuovo video (disponibile premendo qui), insieme a tanti altri contenuti interessanti sul mondo della cinematografia giapponese e non solo!

Vi ricordiamo inoltre che il database di tutti i sottotitoli dei nostri film è a vostra disposizione qualora siate interessati a proiettarli all’interno delle vs manifestazioni. Oppure potete richiederci anche una nuova sottotitolazione scrivendo a info@takamori.it!

Mori The Artist (2018) || Recensione

Titolo originale: モリのいる場所
Regista: Okita Shūichi
Uscita al cinema: 7 aprile 2018
Durata: 99 Minuti


RECENSIONE:

Tra i massimi esponenti della pittura giapponese del XX secolo, Morikazu Kumagai (1880- 1997) fu un personaggio altrettanto noto per il suo stile di vita; passò infatti trent’anni della sua vita senza mai lasciare l’abitazione, deliziandosi quotidianamente con delle lunghe escursioni nei rigogliosi giardini circostanti in piena contemplazione della flora e fauna.
Il film di Okita Shūichi, Mori, TheArtist’s Habitat, ambientato nel 1974 durante gli ultimi anni di vita dell’artista, desidera essere ben più che una semplice biografia.
Senza mai davvero concentrarsi sull’impegno di Morikazu nella pittura, il film vuole iniziarci piuttosto all’etica che precede l’operato artistico del pittore, che ogni giorno esplora il suo giardino incolto, osservando gli insetti, le trame delle pietre e il mutare della luce tra gli arbusti.
Scevro di conflitti e colpi di scena, il film si concentra sullo sguardo di un’artista che ha fatto della semplicità (ma non per questo invariabilità) la sua musa ispiratrice e che, liberato da ogni idea preconcetta sul mondo, è in grado di vederlo sempre diverso, trovando la gioia più grande sotto le rocce più piccole.
Okita fa del suo ritratto d’artista l’espediente per un’analisi ben più universale del tempo e dello spazio. La casa-giardino di Morikazu non può negare né frenare le forze motrici del mondo fuori, più vasto, difficoltoso e contraddittorio. Il giardino diventa un rifugio, allegoria di un mondo ideale, in cui l’artista (e quindi l’umano) cercano costantemente di rifugiarsi.
Come il pittore osserva gli insetti e il delicato universo che li circonda, così il registra osserva i propri protagonisti muoversi e relazionarsi. Nella casa-giardino Okita stesso si perde, trascinato dallo spirito contemplativo di Morikazu, e come lui si fa recipiente degli stessi concetti artistici, donandoci un’opera contemplativa, dai toni delicati, minimalisti, attenta alla natura multiforme della semplicità e che indaga la sottile linea che accomuna e separa il mondo naturale a quello umano.

Recensione di Claudia Ciccacci

Kitano Takeshi Parte 1 || Akushon! – I registi di JFS

Bentrovati! Questa è Akushon!, la rubrica di associazione Takamori sui registi giapponesi. Oggi a parliamo di Kitano Takeshi.

Kitano Takeshi nasce il 18 gennaio 1947 a Tokyo. Celebre in Giappone già dagli anni 80, Kitano nasce come comico, usando lo pseudonimo “Beat Takeshi”. Durante lo stesso decennio assume il ruolo di presentatore del programma, trasmesso poi internazionalmente, Takeshi’s Castle, nel quale i concorrenti si sfidavano in circuiti di vario genere. In quel periodo, però, Kitano si stava dedicando anche alla recitazione, prendendo parte a serie tv e a film, tra cui Furyo di Ōshima Nagisa (del quale, se vi siete persi il video su di lui, potete cliccare qui per recuperarlo).

Nonostante sulle prime Kitano fatichi a scrollarsi addosso il ruolo del comico agli occhi del pubblico, nel 1989 dà una svolta alla propria carriera con il film Violent Cop. A causa di un rifiuto del regista a cui era stato offerto il lavoro, Kitano ha l’occasione non solo di interpretare il protagonista, ma anche di esordire alla regia, incontrando il favore della critica addirittura proprio come migliore regista. Dai film successivi Kitano si cimenterà più volte con violente storie di gangster e poliziotti, sviluppando uno stile inconfondibile caratterizzato da telecamere per lo più statiche, sequenze lunghe e una personalissima ironia. 

Kitano amerà interpretare violenti protagonisti perpetratori di violenza, come lo si può vedere in Boiling Point del 1991 e Sonatine del 1993. 

Il 1994 è un anno particolarmente duro, dopo essersi nuovamente cimentato in contesti comici con Getting Any? del 1995, considerato da lui stesso un “suicidio professionale”, il regista è vittima di un incidente motociclistico, che gli causa una paralisi facciale parziale, conferendogli un’espressività ancora più inusuale. 

Dopo la lunga convalescenza, Kitano riprende in mano la sua carriera che compie una svolta significativa nel 1997 con il film Hana bi grazie al quale vince il Leone d’Oro alla Mostra internazionale di Venezia. Anche le opere successive, tra loro molto diverse vengono accolte positivamente, ed è proprio l’acclamazione unanime da parte della critica che spinge Kitano nel 2000 a realizzare il suo primo film negli Stati Uniti, Brother, che tratta la storia di uno yakuza a Los Angeles, ma non vi sarà l’apprezzamento del pubblico. Lo riceverà, invece, con la sua versione della storia di Zatoichi, uno spadaccino cieco vagabondo, un suo grande successo internazionale soprattutto dal punto di vista economico.

Kitano decide di dare una svolta alla sua carriera con la “trilogia del suicidio artistico”, composto da tre pellicole: Takeshi’s, Glory to the Filmmaker! e Achille e la tartaruga. Qui abbandona il suo stile classico per compiere una riflessione sulle diverse facce del personaggio- Kitano e una auto-analisi della sua creazione artistica. A partire dal 2010 Kitano decide di tornare sul genere yakuza a lui caro con Outrage, che successivamente si trasformerà nel primo capitolo di un’ulteriore trilogia, i cui capitoli successivi sono: Outrage beyond e Outrage Coda

E con questo si conclude la prima parte del nostro approfondimento su Kitano Takeshi. Se vi abbiamo incuriosito con la vita e la carriera di questo regista, ci vediamo mercoledì 6 luglio con la seconda parte!

Vi invitiamo inoltre a dare un’occhiata al nostro video riguardante la filmografia di Kitano Takeshi e ad esplorare al meglio il regista, cliccate qui per vedere il nostro video approfondimento al riguardo oppure visitate il nostro canale YouTube… A presto!

Fukui Ryō : Il Jazz dell’Hokkaidō

Il jazz giapponese, talvolta chiamato jap-jazz, si forma a seguito della Seconda Guerra Mondiale in un momento che vede i soldati americani portare il genere nell’arcipelago.
Il jap-jazz si è evoluto da allora portandosi dietro una chiara ispirazione occidentale ma ottenendo nel corso del tempo connotazioni puramente nipponiche che aggiungono colore e identità ad un genere che i giapponesi hanno fatto proprio.
Fukui Ryō (福居良) è uno di coloro che permise la nascita, lo sviluppo e la capacità di dare una nuova identità a questa nuova corrente musicale.

Nasce a Biratori, nella prefettura di Hokkaidō, impara a suonare il pianoforte da autodidatta all’età di 22 anni e nello stesso periodo si trasferisce a Tōkyō.
Proprio nella capitale, Fukui incontra uno dei migliori sassofonisti della sua epoca; Matsumoto Hidehiko (松本英彦), soprannominato “sleepy”, il quale incoraggia Fukui a migliorare tecnicamente per intraprendere una vera e propria carriera.
Durante gli anni 70′ il jazz giapponese si trova ancora in una fase embrionale, una crisi identitaria causata della troppa evidente copiatura dell’ormai stantio jazz americano.
Mentre molti artisti, suoi colleghi, si concentrano sulla ricerca e sullo studio di un tessuto musicale più profondo, situazione che porta allo sviluppo del genere del citypop, Fukui si dimostra più concentrato a trovare una composizione più lineare, diretta e, soprattutto, propria.
Dopo 6 anni vissuti a Tōkyō, pubblica uno dei maggiori capolavori del jazz giapponese, capace di dare finalmente un’identità propria al jap-jazz.

Nel 1976 pubblica Scenary (シーナリィ), album che non si concede a virtuosismi ma ad un’elegante e ricercata composizione. Al suo interno troviamo elementi bebop, cool jazz e blues, il tutto mischiato rendendo l’album qualcosa di estremamente unico.
Le tracce sono un susseguirsi malinconico di note le quali vengono suonate con estrema destrezza da Fukui, esibendo un’estrema consapevolezza di cosa siano la melodia e il ritmo. I brani sono accompagnati dal basso suonato da Denpo Satoshi e dalla batteria suonata da Fukui Yoshinori, fratello dell’artista.

L’anno successivo pubblica Mellow Dream (メロー・ドリーム), opera di forte ispirazione romanza rispetto al lavoro precedente, pur mantenendo però una chiarissima impostazione jazz e bebop.
Fukui si rivela ancor più concentrato sulla complessa composizione che pervade l’intero album senza però riuscire a superare il livello di sincera ispirazione raggiunto con l’album precedente.
I brani sono tutti accompagnati da basso e batteria suonati dalle ormai due storiche figure che hanno accompagnato l’artista lungo i suoi lavori.

 

Dopo un lungo periodo di assenza, nel 1994 viene pubblicato My Favorite Tune. Album privo di percussioni e basso in cui esordisce un Fukui più maturo e consapevole. Al suo interno troviamo un susseguirsi di brani eseguiti solo tramite il pianoforte con l’estrema cura esecutiva dell’ormai maestro indiscusso del panorama del jazz giapponese.
Si tratta di un’opera passata in sordina sia in patria che all’estero a causa (o grazie) della noncuranza e al disinteresse di Fukui nei confronti dei riflettori e dell’attenzione mediatica ma che è stata riscoperta dopo la morte dell’artista.

 

A partire dagli anni 90′ Fukui si esibisce con costanza al locale Slowboat a Sapporo, fondato con la moglie Yasuko, diventando parte attiva del palinsesto musicale del club e portando con sé anche artisti americani, tra cui l’amico di lunga data Barry Harris, anch’esso un pianista e mentore musicale di Fukui.

Nel 2015 pubblica il suo ultimo album, A Letter From Slowboat.
Opera che si ispira alle origini dell’artista, richiamando le sonorità dell’ormai facente parte dell’Olimpo musicale Scenary.
Registrato in soli due giorni al locale Slowboat di Sapporo ed eseguito da pianoforte, batteria e basso, l’album è una magnifica reinterpretazione intima di un jazz contemporaneo al cui interno possiamo godere dell’abilità e delle melodie di uno dei pianisti più talentuosi di tutti i tempi.

Con alle spalle una lunga carriera, Fukui si spegne nel 2016 all’età di 68 anni lasciando segno indelebile nella musica giapponese e tra gli artisti di un genere la cui evoluzione è continua e inarrestabile.

–Recensione di Stefano Andronico

The Ravine of Goodbye (2013) | Cineteca JFS

L’Associazione Takamori è lieta di presentarvi The Ravine of Goodbye, film drammatico giapponese del 2013 diretto da Ōmori Tatsushi.

Tratto dall’omonimo romanzo di Yoshida Shūichi, Sayōnara Keikoku, in inglese The Ravine of Goodbye, è un film drammatico diretto da Ōmori Tatsushi uscito nelle sale giapponesi il 22 Giugno 2013.

Il corpo di un bambino è stato ritrovato assassinato in un bosco e i sospetti ricadono tutti sulla madre del piccolo, Satomi, interpretata da Suzuki Anne, che durante un raid di giornalisti di fronte alla sua abitazione viene arrestata dalla polizia. Nel frattempo i vicini, Shunsuke e Kanako, interpretati da Ōnishi Nobumitsu e Maki Yōko, sembrano essere dei semplici spettatori della vicenda senza attrarre l’idea di essere coinvolti e fanno del loro meglio per evitare la folla di giornalisti in strada continuando con la loro vita.
Mentre la polizia continua ad indagare sulla vicenda, emergono voci riguardo una relazione sentimentale tra Shunsuke e la vicina Satomi.
Lo staff di un magazine incarica il reporter Watanabe, interpretato da Ōmori Nao, di scavare nel passato di Shunsuke dentro il quale scoprirà una serie di eventi oscuri accaduti nella vita dell’uomo che capovolgeranno totalmente la vicenda.

Screenplay di un romanzo di altissimo livello che riesce ad intrecciare visivamente passato e presente con un’ottima abilità narrativa. La presenza di Maki Yōko rende la pellicola ancor più di qualità per il modo in cui interpreta Kanako.
Il tentativo, ben riuscito, di Ōmori è sicuramente quello di portare una storia nella quale è evidente che il messaggio sia l’impossibilità di rimarginare ferite che scavano troppo a fondo.

La pellicola ha partecipato agli Hōchi Film Awards nel 2013 e ai Japanese Academy Prize nel 2014 vincendo in entrambi i casi il premo di migliore attrice protagonista grazie ad uno delle più talentuose attrici dell’industria cinematografica giapponese, Maki Yōko.

Per maggiori informazioni riguardo all’opera, vi invitiamo a visitare il nostro canale YouTube dove potrete visionare il nostro nuovo video (disponibile premendo qui), insieme a tanti altri contenuti interessanti sul mondo della cinematografia giapponese e non solo!

Vi ricordiamo inoltre che il database di tutti i sottotitoli dei nostri film è a vostra disposizione qualora siate interessati a proiettarli all’interno delle vs manifestazioni. Oppure potete richiederci anche una nuova sottotitolazione scrivendo a info@takamori.it!