Il jazz giapponese, talvolta chiamato jap-jazz, si forma a seguito della Seconda Guerra Mondiale in un momento che vede i soldati americani portare il genere nell’arcipelago.
Il jap-jazz si è evoluto da allora portandosi dietro una chiara ispirazione occidentale ma ottenendo nel corso del tempo connotazioni puramente nipponiche che aggiungono colore e identità ad un genere che i giapponesi hanno fatto proprio.
Fukui Ryō (福居良) è uno di coloro che permise la nascita, lo sviluppo e la capacità di dare una nuova identità a questa nuova corrente musicale.

Nasce a Biratori, nella prefettura di Hokkaidō, impara a suonare il pianoforte da autodidatta all’età di 22 anni e nello stesso periodo si trasferisce a Tōkyō.
Proprio nella capitale, Fukui incontra uno dei migliori sassofonisti della sua epoca; Matsumoto Hidehiko (松本英彦), soprannominato “sleepy”, il quale incoraggia Fukui a migliorare tecnicamente per intraprendere una vera e propria carriera.
Durante gli anni 70′ il jazz giapponese si trova ancora in una fase embrionale, una crisi identitaria causata della troppa evidente copiatura dell’ormai stantio jazz americano.
Mentre molti artisti, suoi colleghi, si concentrano sulla ricerca e sullo studio di un tessuto musicale più profondo, situazione che porta allo sviluppo del genere del citypop, Fukui si dimostra più concentrato a trovare una composizione più lineare, diretta e, soprattutto, propria.
Dopo 6 anni vissuti a Tōkyō, pubblica uno dei maggiori capolavori del jazz giapponese, capace di dare finalmente un’identità propria al jap-jazz.

Nel 1976 pubblica Scenary (シーナリィ), album che non si concede a virtuosismi ma ad un’elegante e ricercata composizione. Al suo interno troviamo elementi bebop, cool jazz e blues, il tutto mischiato rendendo l’album qualcosa di estremamente unico.
Le tracce sono un susseguirsi malinconico di note le quali vengono suonate con estrema destrezza da Fukui, esibendo un’estrema consapevolezza di cosa siano la melodia e il ritmo. I brani sono accompagnati dal basso suonato da Denpo Satoshi e dalla batteria suonata da Fukui Yoshinori, fratello dell’artista.

L’anno successivo pubblica Mellow Dream (メロー・ドリーム), opera di forte ispirazione romanza rispetto al lavoro precedente, pur mantenendo però una chiarissima impostazione jazz e bebop.
Fukui si rivela ancor più concentrato sulla complessa composizione che pervade l’intero album senza però riuscire a superare il livello di sincera ispirazione raggiunto con l’album precedente.
I brani sono tutti accompagnati da basso e batteria suonati dalle ormai due storiche figure che hanno accompagnato l’artista lungo i suoi lavori.

 

Dopo un lungo periodo di assenza, nel 1994 viene pubblicato My Favorite Tune. Album privo di percussioni e basso in cui esordisce un Fukui più maturo e consapevole. Al suo interno troviamo un susseguirsi di brani eseguiti solo tramite il pianoforte con l’estrema cura esecutiva dell’ormai maestro indiscusso del panorama del jazz giapponese.
Si tratta di un’opera passata in sordina sia in patria che all’estero a causa (o grazie) della noncuranza e al disinteresse di Fukui nei confronti dei riflettori e dell’attenzione mediatica ma che è stata riscoperta dopo la morte dell’artista.

 

A partire dagli anni 90′ Fukui si esibisce con costanza al locale Slowboat a Sapporo, fondato con la moglie Yasuko, diventando parte attiva del palinsesto musicale del club e portando con sé anche artisti americani, tra cui l’amico di lunga data Barry Harris, anch’esso un pianista e mentore musicale di Fukui.

Nel 2015 pubblica il suo ultimo album, A Letter From Slowboat.
Opera che si ispira alle origini dell’artista, richiamando le sonorità dell’ormai facente parte dell’Olimpo musicale Scenary.
Registrato in soli due giorni al locale Slowboat di Sapporo ed eseguito da pianoforte, batteria e basso, l’album è una magnifica reinterpretazione intima di un jazz contemporaneo al cui interno possiamo godere dell’abilità e delle melodie di uno dei pianisti più talentuosi di tutti i tempi.

Con alle spalle una lunga carriera, Fukui si spegne nel 2016 all’età di 68 anni lasciando segno indelebile nella musica giapponese e tra gli artisti di un genere la cui evoluzione è continua e inarrestabile.

–Recensione di Stefano Andronico