BRATS – Brats (2018)

Il gruppo Brats nasce nel 2011 ad opera di due sorelle, Kuromiya Rei (voce, chitarra) e Kuromiya Aya (basso), partecipandovi dal 2015 al 2020 anche la chitarrista Hinako. Dopo il demo CD del 2012 “Gangan Do It!”, il gruppo pubblica alcuni singoli tra il 2015 e il 2017 (Misery, 14-sai byou), talora come colonne sonore di anime (Ainikoiyo per la produzione sino-giapponese To Be Hero) o di film (Nounai Shoukyo Game per la pellicola Slavemen). Finalmente, nel 2018 la band esordisce col primo album, l’eponimo Brats. Nel 2020 seguirà poi l’uscita del secondo album della band, Karma.

L’album Brats

 Le due sorelle ventenni hanno cominciato presto la loro carriera musicale e hanno avuto tempo per maturare una propria impronta musicale. Nell’album Brats questa prende per la prima volta una compiuta e organica espressione.

La sonorità generale è ascrivibile all’hard rock, con una chitarra elettrica dominante per la quantità, velocità e consistenza dei riffs che la rendono protagonista in diverse canzoni. La cantante ha maturato nel tempo un timbro che ben si addice alla potenza e rapidità dei pezzi ed è capace di una discreta estensione vocale, esprimendosi nella maggior parte dei pezzi in giapponese tranne alcune brevi parti in inglese in un limitato numero di canzoni (Pain, Seitoka Pride Monster).

La tracklist dell’album include:

 

  1. Un rock duro e puro con preponderanti riffs di chitarra elettrica.
  2. Kaihou Seyo. Sulla stessa impronta della canzone precedente, ma ad un ritmo più elevato e una voce più armoniosa
  3. Doudatte yokatta. Con l’importante contributo e spazio dato alla voce di Rei, l’approccio è più pesante e ben sottolinea l’attitudine heavy rock della band.
  4. Unfair
  5. Lost Place
  6. Kimarigoto
  7. Big Bad World
  8. Seitoka Pride Monster
  9. Nounai Shoukyo Game. Pur rimanendo in un contesto hard rock, la parte di chitarra di sottofondo offre un importante appiglio melodico ed entrambe le voci lavorano ad un risultato che in alcuni tratti fa l’occhiolino al pop.
  10. Dopo un inizio più cupo, la canzone acquisisce un bel groove, anche se la conclusione della canzone non sembra perfettamente delineata.

 

Questo album è un potente mix di energia, spesso misto a rabbia e delusione che emergono dalle note della voce di Rei. Un bel passo per la band, che mostra un’evoluzione rispetto agli inizi rock legati tuttavia a elementi anche techno, e che continua a mutare il suo approccio sonoro anche nell’album del 2020, Karma. Insomma, un gruppo rock al femminile tutto da scoprire!

 

—recensione di Antongiorgio Tognoli

Zatōichi: The Last (2010)

Zatōichi: The Last è un film del 2010, diretto da Sakamoto Junji e basato sull’opera letteraria di Shimozawa Kan, Zatōichi Monogatari e nel 2011, la pellicola è stata proiettata alla sesta edizione dell’Ōsaka Asian Film Festival

La storia segue le vicende di un samurai non vedente, Zatōichi, che ritorna nella sua città natale per condurre una vita ordinaria. Ma, ben presto, sarà costretto a riprendere in mano la spada e tornare a combattere.

La città del protagonista è in pericolo a causa di un gruppo di yakuza, che vogliono trasformarla in un porto e sfruttare gli abitanti per ricavare denaro. Zatōichi usa le sue abilità per difendere il villaggio, ma in questo modo, la sua identità viene svelata, e lui dovrà subirne le conseguenze.

Gli abitanti si rivolgono a Zatōichi per chiedergli di aiutare il suo villaggio, come ha fatto con altri. Così, nel corso della sua avventura, il samurai si trova a lottare contro la yakuza, ma qualcosa non va come previsto. Infatti, non solo dovrà superare il suo tragico passato, ma anche affrontare numerose difficoltà, senza mai perdersi d’animo.

Zatōichi: The Last vi offrirà un piccolo viaggio nel mondo samuraico giapponese, facendovi esplorare il genere cinematografico del jidaigeki. Il protagonista ne uscirà vittorioso? Se ha suscitato il vostro interesse, e volete conoscere nuovi registi e film dal Giappone, seguiteci sui nostri canali, link in descrizione!”. Potete guardare il nostro video qui, vi aspettiamo!

Namamiko – Fumiko Enchi

Autrice: Enchi Fumiko
Titolo originale: なまみこ物語
Editore: Safarà
Traduzione: Paola Scrolavezza
Edizione: 2019
Pagine: 240

Namamiko Monogatari, arrivato in Italia con il titolo di Namamiko, l’inganno delle sciamane, è una delle opere più significative di Enchi Fumiko. Inizialmente pubblicato nel 1965, è il romanzo vincitore dell’importante premio per la letteratura femminile (Joryūbungakushō) e rappresenta un passo importante nella produzione letteraria femminile del dopoguerra.
Ci troviamo attorno all’anno mille, in piena epoca classica (Heian) all’interno del palazzo imperiale. Il racconto segue la vicenda di Kureha e della sorella Ayame, figlie della sacerdotessa di un tempio shintoista. Cresciute nel mondo rustico della campagna, vengono improvvisamente proiettate all’interno della sfavillante e raffinata vita di palazzo. Il romanzo mette in scena intrighi, manipolazioni e tradimenti all’interno della corte imperiale, dove si contrappongono due figure centrali: Fujiwara no Michinaga, macchinatore cinico e senza scrupoli, membro del potente clan dei Fujiwara, che nel corso dell’epoca Heian (794-1185) ottenne la reggenza di fatto del paese, a scapito del potere imperiale. A lui si contrappone Teishi, l’amata consorte dell’imperatore, colei che incarna tutte le virtù di femminilità desiderabili in una donna e unico vero ostacolo alle brame di potere di Michinaga, intenzionato ad assumere il controllo del paese assicurando la posizione di prima consorte dell’imperatore alla figlia Shōshi. Un punto di particolare interesse dell’opera sta proprio del modo in cui viene presentata la figura di Michinaga, in completo contrasto con l’immagine di gentiluomo raffinato ed elegante tramandata dalla letteratura classica.
Tema centrale all’interno dell’opera è la possessione da parte di un ikiryō, uno spirito vivente, manifestazione del rancore covato da una persona, in questo caso Teishi. Tema già presente in epoca classica, viene ripreso dall’autrice per inscenare possessioni sempre nell’incertezza che queste siano autentiche oppure false, inscenate per manipolare i sentimenti dell’imperatore verso la sua amata consorte. Protagoniste di questi episodi sono Ayame e soprattutto Kureha che, intrappolata all’interno della rete di intrighi di Michinaga, finisce per tradire la sua amata signora.
I personaggi di Teishi e Kureha sono particolarmente interessanti per il tema dell’emancipazione femminile che sottende tutta l’opera. Kureha viene messa a servizio della consorte imperiale da Michinaga, per poterla tenere sott’occhio. Con il tempo però lei sviluppa un’ammirazione quasi erotica verso la sua padrona, anche se alla fine le si rivolterà contro, in preda alla gelosia nel vedere il suo amante invaghirsene. Le due figure si presentano, dunque, come totalmente opposte: Teishi rappresenta la donna ideale di epoca Heian, bellissima, gentile, versata nelle arti, nella poesia e nella musica. Nonostante questo, è un personaggio fondamentalmente passivo, in balia degli eventi. Kureha invece è umana, imperfetta, si fa trascinare dalle passioni, spesso erotiche, e interviene attivamente sul proprio destino.
In conclusione, con il Namamiko Monogatari l’autrice mette in luce l’impossibilità per una donna di sottrarsi al dominio maschile e nel momento in cui ci prova, come Kureha, è destinata al tradimento, mentre per essere perfetta, come Teishi, dev’essere ferma, sopportare e soffrire in silenzio.

 

—recensione di Matteo Aliffi.

Akushon! – I registi di JFS: Nishikawa Miwa parte 2

Ciao e ben ritrovati ad Akushon! Oggi è il secondo appuntamento con la regista Nishikawa Miwa, non perdiamo tempo e andiamo subito a vedere alcuni dei suoi più noti titoli! Si parte con… Yureru!

In questa pellicola del 2006, Nishikawa ci porta a svelare le trame sopite di una famiglia giapponese. Un fotografo di successo, il secondogenito Takeru, torna a casa per il funerale materno. Col suo rientro nella casa natale emergeranno le tensioni di un tempo, specialmente con il padre, che l’avevano condotto ad immergersi negli orizzonti più ampi della capitale, Tokyo. L’apparentemente tranquillo rapporto col fratello maggiore, Minoru, mostrerà sfumature non evidenti dall’inizio: sarà un avvenimento clou, la morte di una donna voluta da entrambi, Chieko, a scatenare il travaglio interiore di Takeru. Le sue memorie del giorno della morte di Chieko, caduta da un ponte nella foresta durante una gita coi due fratelli, sembrano carenti di dettagli e della sufficiente nitidezza: qui intervengono le memorie, i rancori nascosti, le amarezze dimenticate che hanno segnato il rapporto di fratellanza tra i due protagonisti e che ora riemergono con tutta la loro forza.

In Dear Doctor, Keisuke Soma è un dottore in formazione, giovane e intraprendente, che viene mandato in un villaggio ad assistere il medico locale. Subito però si accorgerà che c’è qualcosa di strano, poiché ogni cittadino del villaggio ama il medico di nome Ino. Costui infatti appare sempre disponibile, gentile e pronto ad aiutare chiunque, dando la propria assistenza anche ai malati terminali, tra i quali una signora con un tumore allo stomaco non curabile. Quest’ultimo caso scatenerà vari imprevisti che porteranno il protagonista a scoprire che il medico Ino e i suoi assistenti in realtà hanno ingannato tutti quanti. Ma anche con l’inganno sono riusciti a farsi apprezzare dai locali, lasciando il nostro protagonista molto dubbioso se proseguire o meno il suo soggiorno nel villaggio.

The Long Excuse comincia in maniera cruda con la morte della moglie del protagonista, che avviene mentre lui la tradisce. Inizialmente egli non appare scosso da questo lutto, tuttavia, a seguito di un incontro molto particolare, il suo atteggiamento muterà, conducendolo a una scelta che gli cambierà la vita. In questa pellicola la cineasta racconta la realtà del lutto da due punti di vista differenti senza tralasciare nessuna fase della sua elaborazione e del cambiamento che questo porta nelle persone. Nonostante la tematica, il film procede mantenendo un certo interesse in chi guarda e mostra a tratti un’atmosfera intima che mette a suo agio lo spettatore.

E con questa pellicola chiudiamo l’appuntamento di oggi! Potete guardare il nostro video cliccando qui. Grazie per averci seguito, vi invitiamo a rimanere aggiornati sulle nostre pagine social nei link in descrizione. Arrivederci alla prossima puntata dei registi di JFS!

 

The long excuse (2016)

Titolo: The long excuse

Titolo originale: 永い言い訳

Regista: Nishikawa Miwa

Uscita al cinema: 14 ottobre 2016

Durata: 124 minuti

 

La Trama

 Saicho Kinugisawa è uno scrittore dal carattere molto difficile, cinico e distaccato. Una sera mentre consuma un rapporto sessuale con la sua amante viene a sapere che sua moglie muore in un incidente stradale. Non ne è particolarmente colpito, per via del fatto che da parte sua non ci fosse vero amore verso la moglie, tuttavia essendo un personaggio pubblico gli vengono fatte domande e interviste sulla defunta moglie e nel rispondere finge estremo dolore e rammarico. Durante il funerale però incontra un amico della moglie che ha subito un lutto per lo stesso incidente. Per il suo cinismo e la sua concezione di dover apparire dispiaciuto si offrirà di dare una mano a badare ai figli dell’amico, non sapendo però che questa sua scelta dettata dal suo distaccamento emotivo gli cambierà la vita

L’elaborazione del lutto

Subire un lutto non è una situazione facile a livello emotivo e ognuno reagisce in maniera molto differente a seconda del suo carattere. Il messaggio che la regista voleva mandare era proprio questo rappresentando le diverse vite dei due protagonisti che improvvisamente si trovano immersi nella stessa situazione. Il ruolo dei bambini inoltre è fondamentale: grazie alla loro ingenuità data dalla giovane età vedono tutto con occhi diversi e anche loro devono combattere contro dispiacere e tristezza dovendo anche però affrontare contemporaneamente una situazione economica e familiare non delle migliori.

Trasformazione

La tematica centrale nel film, oltre al lutto, è come un’esperienza traumatica possa cambiare radicalmente le persone. Nishikawa lo rappresenta in maniera precisa e dolce senza tralasciare o saltare alcuna parte di questo processo. Lo si vede in maniera molto spiccata nel personaggio di Saicho che, a causa di vari avvenimenti dopo la morte della moglie, e anche grazie ad una grande prestazione attoriale di Motoki Msashiro, arriverà a capire che il se stesso scrittore non era la persona adatta a superare questo terribile evento e che sarebbe dovuto cambiare in tutto e per tutto.

 

—recensione di Massimo Magnoni.