Jam (2018) – Sabu

 

JAM

(Giappone, 2018)

Regia SABU (pseudonimo di Tanaka Hiroyuki)

Cast Aoyagi Shō, Suzuki Nobuyuki, Machida Keita, Tsutsui Mariko

Genere dramma, commedia

Durata  102 minuti

Lingua giapponese

Definito dalla critica come una “commedia dell’assurdo” tipica di Sabu, pseudonimo dell’attore e regista Tanaka Hiroyuki, Jam si sviluppa parallelamente su tre linee narrative che seguono le vicende di tre personaggi: Hiroshi, Tetsuo e Takeru. Si tratta di tre mondi, apparentemente sconnessi, destinati presto a entrare in collisione.

Hiroshi (Aoyagi Shō) è un cantante di enka (ballata tipica giapponese), eccentrico e stravagante. Si esibisce per un gruppo ristretto di donne mature. Al termine di ogni spettacolo, si riunisce assieme alle sue fan in incontri che lui stesso chiama “Parla con me”, in cui le sue ammiratrici condividono le emozioni percepite durante l’esibizione o propongono suggerimenti per migliorare le sue performance. La fan numero uno di Hiroshi, Masako, cercherà di avere a tutti i costi le attenzioni del cantante, esclusivamente per lei.

Tetsuo (Suzuki Nobuyuki) è un ex detenuto che spinge una donna anziana in sedia a rotelle. Assetato di vendetta per essere stato abbandonato in mano ai poliziotti dal suo ex gruppo di delinquenti, Tetsuo non si ferma davanti a nulla. Negli scontri ricorrenti con i suoi vecchi colleghi, sembra sempre avere la meglio; lui, da solo, contro tutti. È uno spirito inarrestabile che, quando si trova davanti il suo passato, non conosce pietà. Allo stesso momento, però, gode di una estrema sensibilità, la quale emerge dal suo rapporto con l’anziana, della quale si prende costantemente cura.

E infine, il regista ci presenta Takeru (Machida Keita), un personaggio puro, quasi ingenuo – nell’accezione positiva del termine. È un giovane ragazzo dall’animo innocente simile a quello di un bambino. Al volante del suo Nissan President Sovereign, ogni giorno compie tre buone azioni, convinto che, così facendo, la sua amata si risveglierà dal coma. Si tratta di azioni banali – come dare la precedenza a un gatto sulle strisce pedonali – ma che per lui costituiscono un passo sempre più vicino a riabbracciare la sua ragazza. Le sue buone azioni e la sua volontà di aiutare il prossimo fanno quasi tenerezza ed è quasi impossibile non provare compassione nei suoi confronti.

Grazie all’intreccio fra le tre storie e i continui salti temporali tra passato, presente e futuro immediato, Sabu ci fa salire a bordo di una montagna russa di emozioni: quando la scena è incentrata su Takeru e il suo amore per la ragazza sul letto d’ospedale, si avverte un nodo alla gola e il respiro viene a mancare; accompagnando, invece, Tetsuo nella sua lotta personale con il passato, il cuore riprende ad accelerare in un climax ascendente di suspense; la tensione viene poi spezzata con il botta-risposta del comico duo di Masako e Hiroshi.

Tsutsui Mariko, nei panni dell’intraprendente Masako, è la nota femminile in questo microcosmo di uomini, senza la quale il film risulterebbe monotono. Il suo rapporto bizzarro con il cantante Hiroshi costituisce, infatti, l’elemento che equilibra la narrazione e che dà agli spettatori la possibilità di prendere fiato in mezzo alle scene frenetiche e movimentate, tipiche di Sabu.

— di Gene Delos Santos


Guarda anche:

Joint Recital: L’opera italiana e oltre

 

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Joint Recital
L’opera italiana e oltre

21 maggio 2019, ore 20.00

Cantanti Yasuko Arimitsu & Vasili Karpiak
Pianista Claudio Cirelli (Teatro Regio di Parma)

Teatro San Leonardo – Via San Vitale 63, 40125 Bologna

SI ACCEDE SOLO CON INVITO (DA CONSEGNARE ALL’ENTRATA)

Il detective Kindaichi: un caso di delitto (quasi) perfetto

Autore: Yokomizo Seishi

Titolo originale: Honjin satsujin jiken

Editore: Sellerio editore Palermo

Collana: La memoria

Traduzione: Francesco Vitucci

Edizione: 2019

Pagine: 208

Presentare un caso apparentemente impossibile da risolvere è una delle sfide più interessanti che pone Yokomizo Seishi ai lettori nel suo primo libro. Il detective Kindaichi (in traduzione italiana a cura di Francesco Vitucci) è uscito il 4 aprile sotto l’editore Sellerio.

Nel momento in cui si inizia il volume, è necessario dimenticarsi del proprio orgoglio da detective, restituire il badge e appendere la divisa al chiodo. Non importa quanti casi abbiate risolto in precedenza o in quante occasioni abbiate individuato il colpevole già a fine primo capitolo: in questo caso — letteralmente — Yokomizo ha la grande capacità di farvi sospettare di chiunque, di dare ascolto a tutti ma di non credere a nessuno.

Un amore nato sotto una cattiva stella

Quando ci si sente dire di pensarci due volte prima di sposarsi, non ci si dà molto peso. E anche quando si ha la famiglia contro, non si voltano le spalle a un sentimento forte come l’amore. Con queste convinzioni, Ichiyanagi Kenzō e sua moglie Katsuko certo non si aspettavano di essere ritrovati uccisi violentemente in una camera chiusa, per di più la notte stessa delle loro nozze. Eppure, è proprio così che si presentano all’ispettore Isokawa, accasciati l’uno sull’altra in modo quasi poetico. Con i familiari ancora nella magione, appartenente alla famiglia dello sposo, al ritrovamento dei cadaveri si aziona un meccanismo a catena. Questo fa entrare in scena il grande detective Kindaichi Kōsuke, di cui scopriamo il passato e il percorso che lo ha portato a diventare un rinomato investigatore. Grazie al suo acume e alla sua arguzia, uniti alla sua capacità intuitiva e ad un carisma travolgente — che non è fermato dalla sua balbuzie, cosa su cui anzi sembra ironizzare — riesce a risolvere anche questo caso in modo brillante, svelandocene i segreti che non mancheranno di sorprendervi.

«Il caso del koto stregato»

È sotto questo particolare nome che viene presentata la narrazione dei fatti fin dalle prime pagine, le stesse in cui scopriamo le dettagliatissime descrizioni del narratore. Ad alcuni potrebbero risultare macchinose o perfino troppo invadenti ma sono, al contrario, estremamente importanti per poter visualizzare il luogo dove si svolgono le vicende. Yokomizo non vuole avere un rapporto freddo e lontano con quelli che leggono il suo scritto: li prende per mano e li conduce in ogni angolo della magione degli Ichiyanagi, edificio emblema di un sistema feudatario che contrasta per sfarzosità con il resto del villaggio, situato ai piedi della montagna.

Esempio di koto giapponese.

Alla scoperta della mente umana

Piuttosto che tenervi solo sulle spine — dopotutto è anche un noir e non solo un giallo — il detective Kindaichi, protagonista del libro e pupillo di Yokomizo, preferisce concentrarsi non tanto sul come, che comprende e ci svela in un batter d’occhio come previsto dalle voci sul suo conto, quanto sul perché. È qui che riusciamo a intravedere lo scopo dell’autore di ricercare una profondità emotiva e caratteriale nei personaggi di cui racconta, portandone a galla soprattutto le fragilità. Che sia un’influenza di Edogawa Ranpo? Non è da escludere, visto che è stato proprio lui a spingerlo a presentare i suoi manoscritti alla casa editrice “Hakubunkan”.

Ispirazione da tutti, copia di nessuno

Sappiamo però che Yokomizo lavora, per così dire, in un’area differente rispetto a Edogawa. Gli enigmi della camera chiusa sono ciò che lo affascina, tanto che il suo soprannome più comune è «John Dickson Carr giapponese». Tuttavia, ridurlo ad una semplice copia traslata dell’autore britannico è una violenza non indifferente. Yokomizo è un uomo di cultura e, come spesso fa anche Edogawa, cita le sue fonti: i libri che lui stesso ha letto e da cui ha tratto ispirazione sono disseminati come easter eggs all’interno del suo. Sono camuffati in letture svolte dai personaggi, o in semplici volumi che si trovano sulle librerie della storia a prendere polvere.

Yokomizo Seishi, (1902-1981)

Solo un pizzico di magia

Una delle caratteristiche di Carr era il suo essere affascinato dal fantastico, dal soprannaturale e dal magico, che univa sapientemente alle sue storie facendole sembrare mancanti di un’apparente spiegazione razionale. Di questo, Yokomizo mantiene alcune leggende e l’alone di mistero che le circonda, senza mai però eccedere superando il confine dell’oltre natura. Per lui la risposta c’è e non è frutto dell’immaginazione, anche se questa gioca — in un punto preciso della storia — un ruolo rilevante nella risoluzione del caso.

Un consiglio?

Per gli appassionati del genere questo è dunque una perla, il fiore all’occhiello del ventaglio di racconti noir giapponesi dei primi anni Trenta, ora più conosciuti grazie ai racconti di Edogawa, ma pronti ad essere pienamente apprezzati grazie all’aggiunta del romanzo di Yokomizo Seishi, Il detective Kindaichi (模造殺人事件 — Honjin satsujin jiken). Decisamente un must, ora che possiamo usufruirne. L’importante è che non abbiate particolari problemi respiratori, perché — anche se è scontato — vi terrà con il fiato sospeso. Perfino dopo quella che sembra essere la risoluzione del mistero.

— di Francesca Panza


Guarda anche:

JAPANESE FILM SELECTION: CATERPILLAR キャタピラー

キャタピラー

Caterpillar

(Giappone, 2010)

Regia Wakamatsu Kōji
Cast Terajima Shinobu, Ōnishi Shima
Durata 85 minuti
Lingua giapponese

Sottotitoli a cura dell’Associazione Takamori
Sottotitoli italiani Gene Delos Santos, Ludovica Fenati
Controllo sottotitoli Vittoria De Bernardi, Veronica Lanzara
Supervisione Francesco Vitucci

Cinema Rialto, via Rialto 19 (BO)
Martedì 14 maggio 2019 – ore 19.00


Nel 1940, durante la Seconda Guerra Sino-giapponese, il tenente Kurokawa fa ritorno a casa da soldato decorato, ma privo di braccia e gambe, perse durante il conflitto. La moglie Shigeko dovrà onorare l’Impero ed essere esempio per gli altri, dedicandosi alla cura di questo eroe di guerra.


ENTRATA GRATUITA

 

 

Lying to Mom (2018) – Nojiri Katsumi

 


鈴木家の嘘

Lying to Mom

(Giappone, 2018)

Regia Nojiri Katsumi
Cast Kase Ryō, Hara Hideko, Kishibe Ittoku, Kiryu Mai, Kishimoto Kayoko, Ōmori Nao
Genere Dramma, commedia familiare
Durata 134 minuti
Lingua giapponese

Esordisce nel panorama cinematografico internazionale, sul grande schermo del Far East Film Festival di Udine, Lying to Mom (鈴木家の噓), diretto da Nojiri Katsumi. Il film, ispirato da un’esperienza personale del regista, ovvero il suicidio del fratello, tratta una questione tuttora problematica della società giapponese: il suicidio. La storia si apre, infatti, con la morte di Koichi (Kase Ryō), un hikikomori impiccatosi nella sua stanzetta, dove viveva isolato dalla società e dalla propria famiglia. Invani sono gli sforzi della madre Yuko (Hara Hideko) che, nel tentativo di salvare la vita del figlio, si ferisce fino a svenire sul pavimento della stanza. La donna va in coma per due mesi e si risveglia sul letto d’ospedale con il ricordo dell’episodio accaduto completamente rimosso dalla memoria.

Il resto della famiglia, il marito Yukio (Kishibe Ittoku), la figlia Fumi (Kiryū Mai), la sorella di Yukio (Kishimoto Kayoko) e lo stesso fratello di Yuko (Ōmori Nao), decide di nasconderle la verità sulla scomparsa improvvisa di Koichi, facendole credere che quest’ultimo si sia trasferito in Argentina per lavorare nell’attività di esportazione di gamberi dello zio. Questa sarà solo una delle tante bugie della famiglia Suzuki, ma senza ombra di dubbio la più grande di tutte. I familiari costruiranno insieme una vita nuova per Koichi dall’altra parte del mondo: Fumi si occuperà di far mandare cartoline finte dall’Argentina, il padre Yukio metterà a nuovo la stanza del figlio scomparso, ricoprendo le pareti di bandiere argentine ed immagini di Che Guevara. Si tratta, però, di un castello di menzogne pronto a crollare in qualsiasi momento.

Il lutto viene affrontato in maniera diversa da ciascun membro della famiglia Suzuki: Fumi inizierà a frequentare un gruppo di sostegno per persone a cui è venuta a mancare una persona cara. Sebbene durante i primi incontri farà fatica a condividere la sua storia, il silenzio che caratterizza il suo personaggio troverà una voce, permettendole di sprigionare una rabbia repressa da molto tempo e di confessare i suoi veri sentimenti nei confronti del fratello. Il padre Yukio, invece, si recherà più volte in un “soapland” (locale tradizionale giapponese che offre rapporti sessuali con prostitute), alla ricerca di una certa Eve, con la quale Koichi pare aver avuto una relazione. Yukio non si fermerà davanti a nulla pur di scoprire ulteriori frammenti della vita del figlio defunto.

Come tutte le famiglie che affrontano un lutto, la famiglia Suzuki vive in prima persona quelle che la psichiatra svizzera Elisabeth Kübler Ross ha definito “le cinque fasi dell’elaborazione del lutto”: un iniziale momento di shock seguito dalla negazione come meccanismo di difesa; la fase della rabbia, in cui le emozioni prendono il sopravvento; la fase della negoziazione, in cui si cercano soluzioni – nel caso di Fumi, la ragazza cercherà sostegno da parte di persone sconosciute; la fase della depressione, in cui la rabbia e la negazione lasciano il posto a un sentimento di resa e di sconfitta; ed infine, la fase dell’accettazione e della speranza. Ed è proprio la fiducia in un domani migliore che permetterà alla famiglia Suzuki di accettare la realtà e voltare pagina.

E voi? Siete disposti a mentire a vostra madre pur di non spezzarle il cuore?

— di Gene Delos Santos


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