Natsuo Kirino – IN

 

Autore: Natsuo Kirino
Editore: Neri Pozza
Collana: Bloom
Traduzione: Gianluca Coci
Edizione: 2018
Pagine: 384

Ciao a tutti e bentornati alla nostra rubrica letteraria. Il romanzo che vorrei proporvi quest’oggi, dall’emblematico titolo “IN”, è ad opera della celebre giallista Natsuo Kirino ed è stato pubblicato in Giappone nel 2009, ma solo recentemente tradotto in italiano. La protagonista, Suzuki Tamaki, è una scrittrice in procinto di elaborare un nuovo romanzo che ha deciso di intitolare “L’indecenza”. Il suo è un intento ben preciso: tematizzare ciò che lei stessa ha ribattezzato “soppressione del rapporto d’amore”, ossia la conseguenza di una relazione portatrice di angosce e sofferenze. Tamaki desidera infatti svelare i misteri celati da oltre quarant’anni tra le righe di un altro romanzo, “L’innocente”, opera del celeberrimo autore Midorikawa Mikio. “L’innocente” altro non è che un’autobiografia in cui lo stesso Mikio riflette sulla sua tumultuosa vita familiare (egli è sposato e padre di tre figli) ma, allo stesso tempo, testimonia la sua relazione adulterina con una donna misteriosa, identificata solo con la lettera “X”. Partendo da questo presupposto, Tamaki cercherà di collezionare più prove possibili al fine di smascherare l’identità dell’amante. L’impresa, tuttavia, non si rivela affatto semplice: Midorikawa espone al lettore una sua versione dei fatti (egli cerca perennemente di nascondere/negare l’esistenza di X alla moglie, anche quando compie l’errore di trascrivere delle gravidanze interrotte da X nel suo diario, ritrovato poi dalla moglie), versione che si mescola con le testimonianze delle varie donne intervistate da Tamaki (da Motoko, all’epoca dei fatti solo una bambina, caduta in un turbinio di giochi erotici con Mikio, fino a Chiyoko, l’ormai novantenne moglie dello scrittore e affetta, in passato, da numerosi disturbi psicologici causati dai comportamenti del marito). Il tutto prende forma in un connubio in cui risulta complicato distinguere la realtà dalla finzione narrativa. Non solo: fondamentale alla realizzazione de “L’indecenza” è la stessa esperienza personale di Tamaki, donna sposata e madre ma, allo stesso tempo, amante di Seiji, il suo editor. La loro relazione clandestina, iniziata ben sette anni prima, sembra però destinata al fallimento a causa del carattere difficile dell’uomo.

In una trama dove l’amore, il tradimento e la gelosia fanno costantemente da sfondo, nessun dettaglio è lasciato al caso e il tutto è vissuto da un punto di vista esclusivamente femminile. La centralità di questo punto di vista deforma inevitabilmente la figura maschile nella mente delle intervistate e della stessa Tamaki. Da un lato troviamo infatti Mikio, fedifrago bugiardo e ossessionato dal mito della giovinezza, dall’altro Seiji, figura a dir poco enigmatica; entrambi sono uomini che “annientano l’amore” senza curarsi dei sentimenti altrui, incapaci di prendere una posizione netta nelle loro vite. Le risposte che Tamaki cerca ostinatamente altro non sono che il frutto di un profondo scavare negli angoli più reconditi della psiche umana, composta da ambivalenze e disturbi. I personaggi che incontriamo sono semplici esseri umani, pieni di debolezze, ma squisitamente autentici nelle loro imperfezioni. “IN” è tutto questo: un romanzo da leggere con il fiato sospeso, in cui ogni pagina nasconde dettagli inaspettati. Un romanzo dalle mille verità e sfaccettature, che trasporterà il lettore in una dimensione dove il confine tra vittima e carnefice, tra bene e male, è molto labile.

Sara Martignoni

Kantarō: la nuova serie TV di Netflix alla scoperta della pasticceria giapponese

Ametani Kantarō (Matsuya Onoe) è all’apparenza un semplice impiegato che lavora nel reparto vendite di un’agenzia editoriale a Tōkyō. Poco si sa di lui  se non che ha abbandonato il suo vecchio lavoro di ingegnere informatico per darsi alla vita da normale colletto bianco: quali siano i suoi interessi, chi i suoi amici, o addirittura i suoi genitori, sono una totale incognita per l’azienda.

Copertina del primo numero del manga da cui è tratta la serie TV

Tratto dall’omonimo manga di Tensei Hagiwara e Abidi Inoue, Kantarō si propone quindi come una macchina da guerra del lavoro, un uomo che, lungo gli episodi, non sembra perdere mai il controllo e rispetta (fin troppo) le etichette. La verità però, è che sotto a quell’espressione impassibile si cela ben più che un comune impiegato con problemi a relazionarsi: tra una commissione e l’altra, infatti, grazie alle sue abilità ingegneristiche che gli permettono di organizzare al meglio i tempi per concedersi dei ritagli, marina il lavoro e diventa… Sweets Knight, un appassionato blogger dolciario.

Tra citazioni di autori classici -come Goethe o Nietzsche- e scenette da spot psichedelico/nonsense giapponese, impareremo ad amare l’altra faccia della medaglia di Kantarō, quella di un uomo e la sua passione per i dolci che, con spiegazioni dettagliate e immagini in slow-mo da far venire l’acquolina in bocca (trailer a fine articolo!), ci guiderà attraverso negozi realmente esistenti nel panorama di Tōkyō: anmitsu, mamekan e ohagi sono solo alcune delle specialità che incontreremo nella serie, tra le mille peripezie del protagonista per non farsi sorprendere dai colleghi.

Personalmente ho amato molto questo show, quella sua leggerezza con la quale riesce a far divertire tra sketch improponibili nel 甘味の園 (kanmi no sono, l’eden dei dolci dove Kantarō trascende la realtà quando gusta le leccornie) ma al tempo stesso insegnare qualcosa: per esempio, lo sapevate che nel quartiere di Akasaka c’è una pizzeria chiamata Esse Due rinomata per la sua pizza napoletana? O che ad Asakusa c’è un negozio di hotcake che ricorda visivamente i cafe dell’epoca Shōwa? Queste ovviamente sono solo piccole curiosità, ma sarà meglio lasciare al giovane Kantarō e alle sue scappatelle la parte culinaria. Potete trovare la prima stagione su Netflix al nome di: “Kantaro, il rappresentante goloso”, 12 episodi da 25 minuti circa l’uno: ottimi per staccare la spina, farsi due risate e, nonostante tutto, apprendere.


Trailer della serie TV

Spero possa piacervi e, se doveste chiedervi se mai uscirà una seconda stagione, beh… Kantarō risponderebbe: “甘味のみぞ知る!” (kanmi* nomi zoshiru, solo il cielo lo sacher).

*il detto originale recita 神, kami, dio, non 甘味, kanmi, dolciume. È un gioco di assonanza tra le due parole. Un po’ come il titolo originale dell’opera: さぼリーマン飴谷甘太朗 (saboriiman ametani kantarō) che unisce サラリーマン (sarariiman, impiegato) con サボる (saboru, marinare, venir meno ai propri doveri).

(Recensione di Marco Amato)

 

LITE

Ciao a tutti e ben ritrovati per una nuova recensione! Conoscete i Lite? Se non ne avete mai sentito parlare è arrivato il momento di accendere il pc ed accedere a qualsiasi piattaforma musicale per dargli un ascolto! Non avevo idea di chi fossero finché non li ascoltai dal vivo su suggerimento di un amico. Suonarono al Freak Out club di Bologna (locale abbastanza conosciuto soprattutto nell’ambito della musica Underground) in occasione di una serata dedicata completamente al Math Rock. Non riesco a trovare un aggettivo per descriverli, seriamente, dovrei impegnarmi. Ma prima di raccontarvi della serata preferisco introdurvi al percorso musicale della band. Il gruppo nasce a Tokyo nel 2003, iniziano a farsi conoscere suonando un po’ in giro per la prefettura registrando due demo autoprodotte. Nel 2006, fu un anno particolarmente significativo perché rilasciarono un mini album, Lite, e uno più lungo, noto come Filmlets. Sono tanti i generi di cui si fanno uso, il più rilevante è sicuramente il Math Rock ma è anche molto forte la presenza del Progressive Rock e del Post- Emo Rock. Il 2006 è anche l’anno in cui i Lite si spostano dal Giappone ed iniziano a suonare in Europa, in particolare in Irlanda e nel Regno Unito fino ad arrivare negli USA nel 2009, riscuotendo molto successo. Nel 2008 esce Phantasia, il loro secondo album che precede l’uscita di altri due EP, Turns Red e Illuminate. Nonostante le loro grandi abilità e capacità  che si possono percepire già a partire dagli album precedenti, il loro lavoro più maturo risulta Cubic, del 2016. È probabilmente l’album in cui la matrice Math è più presente; batteria sincopata, giri di basso efficaci e tapping alla chitarra. I componenti: Nobuyuki Takeda( chitarra), Kozo Kusumoto ( Synth e chitarra), Jun Izawa ( Basso), Akinori Yamamoto (batteria) sono perfettamente in contatto fra loro, sono un vero gruppo. Per il genere che fanno è necessario che i musicisti siano tecnici e che siano strettamente legati dal tempo. Durante il live vi sono state tantissime interruzioni e riprese di batteria, ognuno di loro sapeva quando fermarsi e quando ricominciare, tutti sapevano che ad un tempo ne seguiva un altro e che il 4/4 era ormai scomparso da un bel po’. Basso e batteria sono sicuramente le linee guida, ma gli altri due chitarristi non sono da meno. Quando si parla di progressive, la prima cosa che ci viene in mente è la tecnica, nel caso dei Lite quest’ultima passa in secondo piano. Perché? Ascoltandoli dal vivo sono riuscito a percepire sensazioni che non avrei mai pensato di provare con questo genere! C’è poco da fare, i giapponesi hanno una melodia interiore che, se esternata, riesce a trascinarci  in un’altra dimensione. Direi che non ho altro aggiungere se non linkarvi qualche brano.

Divertitevi!

(Recensione di Luigi Lonetto)

REI BROWN

Raybaboon era un artista giapponese estremamente elusivo. Per molto tempo è circolata in rete la falsa convinzione che non fosse altri che l’artista per metà giapponese e per metà australiano George Miller, aka Filthy Frank, aka Pink Guy, aka joji. Filthy Frank è una delle figure più trasgressive di Youtube, con una fanbase estremamente dedicata e diversi alias. Appena scoperto raybaboon, a molti sembrava lampante che egli non potesse essere che il suo ennesimo pseudonimo, un nuovo medium per rilasciare musica profondamente intima e vulnerabile tra uno sketch comico e una provocazione lanciata a qualcuno. E’ servito che il personaggio di raybaboon morisse e quello di joji fiorisse per diradare ogni dubbio sulla faccenda. I due sono amici, probabilmente d’infanzia, due artisti diversi ma estremamente legati. Il progetto di joji sta acquistando vita propria, grazie soprattutto alla parziale battuta di arresto di filthy frank tv e alla spinta di 88rising, un entourage che incentra la propria attività sulla diffusione di musica di artisti asiatici in america (e che per ora, ci sta riuscendo di brutto).
Rimossa l’ingombrante e sminuente presenza di joji, Raybaboon è rinato come rei brown, un artista meno sfuggente nella sua nuova versione (ora sappiamo che faccia abbia), non più confinato nell’ombra del suo collega, impegnato ad esplorare in modo estremamente eclettico ogni sfaccettatura della sua produzione artistica.
A nome raybaboon rilasciò un unico ep omonimo di 6 tracce che lo collocò sulla mappa del lo-fi hip hop, un genere prevalentemente underground che unisce sample jazz a beat a bassa fedeltà della vecchia scuola hip hop, di cui il giapponese nujabes (di cui già si è parlato qui e qui) era uno dei maggiori esponenti; negli ultimi anni su internet questo genere è stato comunemente accostato all’estetica della cultura pop giapponese, con immagini tratte da anime e manga che la fanno da padrona sulle thumbnails dell’infinità di video-compilation lo-fi hip hop per rilassarsi o per studiare. Una miriade di artisti occidentali validi è venuta fuori in questo ambiente, profondamente ispirati da quel tipo di immaginario giapponese, mentre Joji e rei brown, hafu cresciuti in giappone, ne hanno una esperienza ancor più diretta. Riguardo a questo, in una rara intervista a goldenboypress, rei brown spiega che crescere in Giappone, tra visioni iper romanzate dell’occidente e gli effetti della bolla economica ebbe su di lui un forte impatto personale ed artistico. Si può dire che joji attinga a piene mani ai suoni tipici del lo-fi hip hop congiunti a una distinta influenza trap (chi, al momento, non ne è influenzato?). rei brown, dal canto suo, mantiene la bassa qualità della produzione, ma spazia in molte direzione sonore, dai synth fino alle percussioni. La sua musica è quindi varia, cantata in inglese con un tono fragile sempre sul punto di incrinarsi che aggiunge alla consistenza sonora eterea una sfumatura decisamente malinconica. E’ nelle tracce acustiche ‘our love remains‘ e il doppio singolo ‘i feel so cold‘ che si ritrova l’esempio più lampante della emotiva vulnerabilità della sua voce.
Al momento, rei brown sta lavorando al suo album di debutto, che segueirà l’ep Lungs pubblicato a fine novembre 2016. In realtà ha appena pubblicato un altro ep, Vetiver, che lui stesso definisce però ‘solo una collezione di canzoni che non pensavo potessero essere adatte nel contesto dell’album’. Questo, insieme all’ep che pubblicò inizialmente sotto vecchio nome, è scaricabile gratuitamente sul suo bandcamp. Tutte le sue tracce possono essere ascoltate su youtube e soundcloud.
(Jacopo Corbelli)

2017-18年・隆盛日本映画観賞会 FESTIVAL DEL CINEMA GIAPPONESE TAKAMORI (6)

 

大丈夫三組

It’s all right, third class

(Giappone, 2013)

Film diretto da: Ryuichi Hiroki

Con: Taichi Kokubun, Hirotada Ototake, Nana Eikura

Durata: 114 minuti

Lingua originale, sottotitoli italiani di Adriano Moro & Michele Zangheri

Controllo sottotitoli: Federico De Marchi

Sala Eventi, Mediateca di San Lazzaro di Savena (BO), Lunedì 19 marzo 2018 ore 20,30

Daijōbu 3 Kumi, pellicola biografica tratta dal romanzo dell’attore protagonista Hirotada Ototake, affronta con leggerezza e semplicità la tematica difficile della disabilità. Il Professore Akao Shinnosuke, affetto dalla sindrome Tetra-amelìa, è stato assegnato in via del tutto eccezionale alla terza classe dell’istituto di Matsura, insieme al suo assistente Shiraishi. Questo susciterà curiosità negli studenti, ma anche timore nei confronti del “diverso”, tanto da far sorgere dubbi sul suo futuro operato. Il Professor Akao e Shiraishi dovranno fare i conti con le dinamiche di classe quotidiane, in cui saranno presenti tensioni, scontri, ma anche gioie da condividere a pieno. I due insegnanti avranno il complesso compito di insegnare ai bambini i valori della vita, cercando di far capire loro quanto la diversità sia un pregio e anche quanto sia importante impegnarsi per raggiungere un obiettivo.

ENTRATA GRATUITA