Yukio Mishima – Neve di primavera

Autore: Yukio Mishima

Titolo originale: 春の雪, Haru no Yuki (neve di primavera)

Editore: Feltrinelli

Collana: Universale economica Feltrinelli

Traduzione: Andrea Maurizi

Edizione: 2015

Pagine: 336

Primo romanzo della “quadrilogia della fertilità”, Neve di primavera rappresenta ad oggi uno dei lavori più maturi dello scrittore Yukio Mishima.

LA TRAMA

La storia è ambientata nel Giappone dei primi novecento e il protagonista è Kiyoaki Matsugae, un giovane dai tratti delicati e gusti raffinati, che trascorre l’adolescenza a casa dei conti Ayakura.

Carattere malinconico e sensibile, quanto capriccioso e instabile, Kiyoaki rimane troppo a lungo ignaro del proprio affetto nei confronti di Satoko, figlia dei conti Ayakura che, ora ventenne, deve decidere ad accettare un pretendente. Vittime e carnefici del crudele mondo che li circonda, i sentimenti di entrambi giocano in circostanze a loro sfavorevoli.

Trascinati in una passione senza vie d’uscita, Honda Shigekuni, unico confidente di Kiyoaki, assiste inerme ai tormenti dell’anima e ai giudizi lapidari dell’alta società, che tanto si aggrappa al passato quanto osserva precariamente al futuro.

LO STILE

“Neve di primavera” mescola alla straziante storia d’amore un’analisi introspettiva dell’animo umano che, grazie allo stile raffinato di Mishima, scava nell’animo profondo dei personaggi. Una cura estetica alla parola, quasi ritualistica, che invita a leggere oltre e che permette ai personaggi di permeare con le loro emozioni il lettore. Ogni evento dell’opera altro non è che lo specchio percettivo dei personaggi che, così come la loro anima, sono travagliati, complessi, instabili, in continuo bilico tra l’identificazione e la rinnegazione della realtà circostante, ora decadente.

Kiyoaki più d’ogni altro, si lascia trascinare tra inerzia e turbolenza dalla sua stessa storia.

Uno squisito connubio tra storia e introspezione psicologica, storica e culturale che fanno di “Neve di primavera” non solo un’opera estremamente complessa, ma un autenticocapolavoro della letteratura giapponese firmato Yukio Mishima.

— recensione di Claudia Ciccacci

Miki Satoshi parte 2 || Akushon! – I registi di JFS

Eccoci alla puntata numero 2 su Miki Satoshi, noi siamo l’associazione Takamori e questa è Akushon, la nostra rubrica dei registi! Si parte!

In Za Pūru è un film del 2005, prima prova al lungometraggio del regista comico Miki Satoshi. La storia si basa sulla serie di racconti brevi scritti da Okuda Hideo e che hanno per protagonista lo psichiatra Irabu Ichirō. Interpretato dal comico Suzuki Matsuo, il protagonista è un eccentrico dottore che svolge le sue consulenze nel seminterrato dell’ospedale diretto dal padre. Gli si presentano tre casi clinici: quelli di Kazuo, Tetsuya e Suzumi.  Chi è ossessionato dall’idea di dover fare un’ora in piscina tutti i giorni della propria vita, chi è sconvolto da un’erezione permanente, chi non può allontanarsi da casa per timore che il gas resti acceso: i 3 pazienti portano le loro manie alle attenzioni del medico, che troverà per loro le soluzioni più disparate e antiscientifiche, non astenendosi dall’irriderli. La narrazione di Miki ha un che di giocoso e il film raramente lascia cadere l’attenzione dello spettatore, con interessanti angoli di ripresa e grazie alla prova eccellente di Suzuki Matsuo nei panni dello psichiatra, che mette in ombra i seppur capaci attori che interpretano i pazienti da lui visitati.

Seguiamo con Ore, ore!, in traduzione inglese It’s me, it’s me!, uscito nel 2013. Il protagonista Hitoshi, impersonato da Kamenashi Kazuya, famoso idol giapponese, è un ventenne con un sogno, quello di diventare un fotografo, che ha tuttavia sepolto nel cassetto e conduce l’esistenza di un qualsiasi commesso di un negozio di elettronica. Casualità vuole che, irritato da un cliente, egli entri in possesso del suo cellulare e lo utilizzi per far andare in porto una truffa. Da quel momento in poi, la sua esistenza cambia e comincia un potente gioco di maschere: i furti di identità si susseguono uno dietro l’altro e il giovane commesso Hitoshi ne è carnefice e vittima molteplici volte. I vari ego si fronteggiano o si aiutano, mentre l’identità del protagonista si frammenta in una miriade di storie, scambi, delusioni e difficili accettazioni di se stessi e dell’altro.

Continuiamo con Damejin, uscito nelle sale giapponesi per la prima volta nel 2006. Ryosuke, interpretato da Satō Ryūta, accompagnato da due suoi amici in una sorta di esplorazione di una cava, incontra una strana figura che gli dice che per salvare il mondo dovrà recarsi in India. Non sarebbe un compito difficile, se non fosse che i tre sono persone tutt’altro che intraprendenti e soprattutto dovranno buttarsi per la prima volta nell’impegno del lavoro dovendo racimolare un milione di yen per arrivare a destinazione. Nonostante il film sia del 2006, la sua lavorazione risale al 2002; in un Giappone in pieno collasso economico. Questo aspetto è molto presente nei personaggi, che sono tutti quanti dei soggetti molto eccentrici accomunati da una perdita della speranza totale nella società che li circonda. 

Infine vi parleremo di Ten Ten, in traduzione inglese Adrift in Tokyo, uscito nel 2007. Takemura è uno studente senza famiglia e senza amici con un debito molto grande sulle spalle. Quando Fukuhara, colui che dove va riscattare il debito, va da lui per dargli un ultimatum gli fa un’offerta: per riscattare il debito dovrà accompagnarlo in giro per Tokyo. I due quindi iniziano un tutt’altro che breve viaggio per la metropoli, scoprendo anche il crimine commesso da Fukuhara prima di incontrarlo. Durante questo singolare viaggio i due incontreranno e si si scontreranno con svariate personalità, trovando quasi un rapporto di amicizia.

Per oggi è tutto! Potete guardare il nostro video qui e se volete scoprire altre curiosità sul cinema giapponese e i suoi registi continuate a seguirci! Ci vediamo l’anno prossimo con Akushon!

 

Akunin (2010)

Titolo: Villain

Titolo originale: 悪人

Registra: Lee Sang-il

Durata: 139 minuti

Akunin è un giallo drammatico del 2010 diretto dal regista coreano, naturalizzato giapponese, Lee Sang-il.

Il protagonista è il giovane Yūichi che, abbandonato dalla madre in tenera età, ora si prende cura dei nonni, che lo hanno cresciuto come se fosse suo figlio, in un decadente villaggio di pescatori di Nagasaki.

Yūichi si sente solo e, in cerca di compagnia, un giorno conosce su un sito di incontri Yoshino, una giovane impiegata di un’agenzia assicurativa di Fukuoka. La donna capisce di poter approfittare di lui chiedendo di essere pagata per i loro incontri ed è in realtà interessata a Keigo, un ricco universitario della città, altezzoso e arrogante.

Una sera Yoshino, infatti, nonostante si fosse organizzata per incontrare il primo, che aveva guidato per ore solo per passare del tempo con lei, sale in macchina con il secondo che, in realtà, non è per niente interessato a una relazione seria con lei.

La mattina dopo viene però ritrovato il cadavere della giovane vicino a una sperduta strada di montagna: ha così inizio l’investigazione.

La pellicola è liberamente ispirata dal romanzo noir dello scrittore Yoshida Shūichi L’uomo che voleva uccidermi (la cui recensione potete trovare sul nostro sito cliccando qui), e come il libro, rappresenta la solitudine, il disperato bisogno di essere amati, il dolore, la paura di perdere l’amore ma soprattutto la fragilità delle categorie di ‘buono’ e ‘cattivo’.

Visto il titolo, il lettore è spinto subito alla ricerca di un crudele antagonista ma, col procedere del film e l’entrata in scena dei vari personaggi, quest’indagine si complica ed è essa stessa a problematizzare il classico binario buono-cattivo, bianco-nero.

Akunin, però, non è una celebrazione e idealizzazione dell’atto dell’omicidio con la tipica trama ‘anche gli assassini hanno sentimenti’; quest’idea è smontata in maniera eloquente lungo tutto il film il cui intento, in realtà, è quello ritrarre la bellezza dell’amore e la tristezza della sua mancanza.

Questi sentimenti si fanno strada nelle varie scene sulle commoventi note della colonna sonora composta dal pluripremiato Hisaishi Jō, già compositore per Kitano Takeshi e Studio Ghibli. Hisaishi è capace di rendere la drammaticità della vicenda col delicato ma incalzante motivo presente nel brano principale Shinkō ma che accomuna anche gli altri brani della colonna sonora.

È con la scoperta del colpevole che inizia la seconda parte del film e tutte le certezze e le impressioni apparentemente nette sviluppate dallo spettatore mutano in una confusione emotiva: i ‘bravi ragazzi’ diventano pian piano ‘neri’ mentre quelli ‘cattivi’ acquistano la fiducia e la stima del pubblico. Lee sfuma efficacemente i confini fra buono e cattivo e mostra come il comportamento criminale non è necessariamente un risultato logico della cattiveria di un individuo e, allo stesso tempo, che la mancanza di atteggiamenti criminali non rende per forza una persona ‘buona’. Il film, così, si avvicina lentamente al genere dell’hard-boiled: la responsabilità del gesto criminale non è più riconducibile solo al colpevole ma soprattutto alle strutture sociali che esasperano l’individuo e lo portano a compiere le azioni più drammatiche.

—recensione di Pietro Neri

 

Miki Satoshi parte 1 || Akushon! – I registi di JFS

Ciao e ben ritrovati! Noi siamo l’associazione Takamori e questa è la rubrica Akushon!, dove vi parliamo della vita e dei film dei registi giapponesi. Oggi diciamo due parole sulla figura di Miki Satoshi, seguiteci!

Miki Satoshi nasce nel 1961 e proviene da Yokohama, la metropoli che fa parte della stessa conurbazione di Tokyo. Consegue gli studi universitari presso l’ateneo Keio della capitale, dove si laurea presso il dipartimento di Letteratura. Ai tempi dell’università, viene invitato da un amico a partecipare a una selezione per un lavoro part-time come apprendista sceneggiatore televisivo, risultando dei due amici l’unico ammesso al ruolo. Il ventenne Miki entra perciò nell’ufficio preposto e comincia a lavorare a programmi TV di successo di varie emittenti, da Tamori Club dell’emittente Asahi a The spring of Trivia in onda sulle reti di Fuji TV, sancendo così l’inizio della propria carriera nel piccolo schermo. In seguito, collabora in vari progetti con Takenaka Naoto, i City Boys e con il drammaturgo Miyazawa Akio. Dal 2005, con la trasposizione di un romanzo di Okuda Hideo sul grande schermo e altri lavori attira l’attenzione in qualità di regista, pur continuando a lavorare nell’ambiente televisivo con serie e drama. Nella sua vita artistica ha svolto quindi molteplici attività, dagli inizi come sceneggiatore alla carriera di regista, con incursioni come drammaturgo e produttore in ambito teatrale. Ora diamo un occhio insieme ai momenti più importanti della sua produzione con la macchina da presa!

Ad una prima occhiata la carriera cinematografica di Miki Satoshi potrebbe sembrare scarna e poco degna di nota, soprattutto per il numero di film prodotti, solamente 9. Non dobbiamo però farci trarre in inganno dai numeri, poiché le sue opere non sono certo lasciate al caso. Infatti proprio perché principalmente ha lavorato per emittenti televisive o per produzioni di serie TV, il regista porta con se una maniera tutta sua di fare cinema: stravagante, complessa ma comunque adatta a tutti i tipi di pubblico. È bene quindi tenere anche in considerazione che la sua carriera nel grande schermo è iniziata da poco più di 15 anni, e che quindi ci riserverà grandi sorprese, soprattutto con il film in uscita nel 2022 “what to do with the dead Kaiju?”. Ma per ora concentriamoci su alcune delle sue opere più significative; come “in the pool”, commedia del 2005 su un singolare neurologo alle prese con altrettanto singolari casi clinici. Per proseguire, abbiamo “damejin”, film del 2006 su tre ragazzi definiti “inutili” che per un viaggio in india farebbero di tutto a parte lavorare. Proseguiamo con Ten ten, film del 2007 vincitore del premio best script al Fantasia film festival. Concludiamo poi con “ore ore”, una commedia del 2013 che è valsa al nostro regista il premio come miglior film all’udine Far east Film festival del 2013.

Per oggi abbiamo finito! Potete guardare il nostro video qui e se volete approfondire sui film dai noi proposti di Miki Satoshi, ci vediamo Mercoledì prossimo per un nuovo video di Akushon!

The Black Horn

The Back Horn (ザ・バックホーン Za Bakku Hōn) è una rock band giapponese, viene fondata nel 1998 a Tokyo dai giovani Masashi Yamada, Eijun Suganami, Shinji Matsuda e Naoki Hirabayashi. Inizialmente chiamati Gyorai (魚雷 siluro) cambiano quasi immediatamente il loro nome in The back horn. La scelta di questo nome però, nasce in verità da un errore di lettura: Matsuda infatti voleva chiamare la band come una macchina da costruzioni ovvero “backhoe”. L’errore è causato dalla somiglianza fra le due parole in giapponese Bakkuhōn (バックホーン) e Bakkuhō (バックホー), quindi il termine horn non ha nessuna correlazione con le corna o il corno. La formazione originale vedeva: Masashi Yamada come voce, Eijun Suganami come chitarrista e autore di quasi tutti i testi e quindi considerato il cervello della band, Shinji Matsuda come batterista e leader del gruppo e infine Naoki Hirabayashi al basso. Quest’ultimo però nel 2003 decide di abbandonare la band, venendo quindi sostituito da Kōshū Okamine.

In totale sono 11 gli album pubblicati, dalla creazione della band, con tre etichette discografiche differenti, il primo mini-album esce nel settembre del 1999 con il nome di “Doko e Iku” e soltanto pochi mesi più tardi tornano con “Yomigaeru Hi” considerato il primo vero album. Con questi due primi lavori si conquistano subito l’attenzione del pubblico e non solo, infatti due loro pezzi vengono scelti per entrare a far parte della colonna sonora di due film: “Mirai” compare nella colonna sonora di Akarui Mirai del 2003 di Kiyoshi Kurosawa, e“Requiem” in quella di Casshern di Kazuaki Kiriya del 2004. Grazie alla loro musica, la band non avrà collegamenti solo con il mondo cinematografico, bensì anche con quello degli anime in due occasioni. La prima esperienza nel 2007 quando il singolo “Wana” tratto dal loro ottavo album verrà utilizzato come canzone di chiusura per l’anime Mobile Suit Gundam 00, e poi nel 2008, quando l’inedito “Yaiba” viene inserito nella colonna sonora di Sakigake!!Otokojuku.

Quasi tutti i loro prezzi sono in lingua giapponese compresi i titoli che vengono trascritti in katakana nel caso in cui siano in inglese. Soprattutto a seguito del successo dei primi due dischi si sono guadagnati l’epiteto di band indie rock, anche se pur notando ad una prima impressione la loro anima rock, con un ascolto più attento ma in verità traggono ispirazione da svariati generi musicali: dalla musica tradizionale giapponese all’hard rock e al grunge, spaziando anche tra blues, punk e reggae. Per quanto riguarda i testi, definiti da una parte della critica “malsani” e con un suono distruttivo, i temi principali che vengono trattati sono la guerra, la solitudine, l’amore, la vita e la morte.

—recensione di Delia Pompili.