MOGARI NO MORI (殯の森): LA FORESTA DEL LUTTO di KAWASE NAOMI

 

Un tempo che scorre con la stessa viscerale naturalezza con la quale le fronde degli alberi oscillano mosse dal vento. Non dietro un vetro, imprigionato nel meccanico movimento delle lancette di un orologio, ma nel battito d’ali d’un uccello in volo, così come nel lento incedere d’un insetto sul terreno. A Naomi Kawase, regista del film, sono sufficienti le primissime inquadrature per restituirci una dimensione che vede i bordi della figura umana sbiadire, affievolirsi sino ad amalgamarsi con la natura circostante. In una delle scene iniziali, una processione di uomini si inoltra nella campagna; il primo piano dominato dall’erba alta, lo sfondo in cui troneggia la foresta. La forza espressiva della composizione è straordinaria anche se, a ben vedere, il suo più grande merito è forse un altro: osservando si ha la sensazione che quel gruppo di uomini, in religioso avanzare, non potrebbe trovarsi in nessun altro luogo che non sia quello. Asportare carni e vesti di quegli individui strappandoli al verde più scuro degli alberi e a quello più chiaro dell’erba per trasportarli in un altro scenario appare una folle operazione chirurgica. La visione di queste immagini non può che portarci a considerare un rapporto tra uomo e natura in cui è la nostra più intima essenza ad essere toccata. Non ha a che vedere solo con l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo o il cibo di cui ci nutriamo, ma anche con la nostra stessa capacità di sentire ed emozionarci.

Proprio il provare sensazioni è, secondo un monaco buddista in visita a una pensione per anziani, uno dei due significati della vita. Il motivo per cui il monaco ha iniziato a parlare di questo? La domanda di uno degli anziani residenti: “Sono vivo?”. L’uomo in questione si chiama Shigeki; la moglie, cui era unito da un profondo legame, è morta da 33 anni, ma la ferita causata dalla perdita ancora sanguina. Una delle persone che si prendono cura di lui è Machiko, una donna ancora piuttosto giovane nel cui passato spicca il solco lasciato dalla morte del figlio. Due persone, e due lutti che insistentemente tornano ad infrangersi sulle loro vite. L’affiatamento tra i due cresce nutrito da semplicità e genuinità. Il giorno del compleanno dell’uomo la macchina sulla quale stanno viaggiando di punto in bianco si ferma a causa di un guasto. Andata a cercare aiuto in una fattoria vicina, la donna scopre al suo ritorno che l’anziano è scomparso. L’improvvisa fuga di Shigeki coincide con l’inizio di un lungo viaggio all’interno della foresta, che porterà entrambi a confrontarsi con i propri lutti attraverso il ritorno ad emozioni al loro stato più primitivo ed essenziale, radici da cui la vita umana trae la sua linfa.

—di Samuele Verona


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IO SONO UN GATTO (1905) – UN DIPINTO SATIRICO DEL GIAPPONE DI INIZIO ‘900

“Io sono un gatto. Un nome ancora non ce l’ho. Dove sono nato? Non ne ho la più vaga idea. Ricordo soltanto che miagolavo disperatamente in un posto umido e oscuro. È lì che per la prima volta ho visto un essere umano.”

Questo l’incipit del romanzo Io sono un gatto (Wagahai wa neko de aru) di Natsume Sōseki (1867 – 1916), pubblicato per la prima volta nel 1905 ed edito in Italia prima da Neri Pozza nel 2006, e in seguito da BEAT in questa nuova edizione del 2017.

La trama segue le vicissitudini del professor Kushami e della sua famiglia nel Giappone di inizio XX secolo. Il punto di vista da cui vengono narrati gli eventi si rivela essere fin dall’inizio molto particolare: tutto è infatti filtrato dagli occhi del gatto di casa Kushami. Uno sguardo atipico, ma che si rivela filosofico, critico e attento, e si traduce in una voce altrettanto (auto)riflessiva.

Separato dai suoi fratelli e dalla madre, il gatto protagonista giunge dopo varie peripezie nella casa del professore. Purtroppo l’accoglienza riservatagli è praticamente assente, tanto che l’animale rimane senza un nome. Da quel momento ogni giorno osserverà con occhi attenti il professore, la moglie e le figlie di quest’ultimo, oltre alle tante persone che la famiglia frequenta. Alternando profonde riflessioni su tematiche complesse e descrizioni della attività del suo eccentrico padrone, ci offre un quadro della vita quotidiana e uno spaccato del Giappone dell’inizio del secolo.

Una voce ironica da un punto di vista del tutto innovativo

Ambientato più precisamente nel 1905, ci troviamo quasi alla fine dell’epoca Meiji (1868 – 1912). Durante questi anni il Giappone aveva attraversato una complessa fase di modernizzazione, basata sul modello europeo, e aveva visto mutare tutti gli aspetti della vita della nazione. Proprio questo processo è ciò che più aspramente il gatto protagonista critica, facendosi portavoce dell’autore stesso.

Natsume Sōseki, tra i più importanti scrittori del Giappone moderno, è stato spesso definito un “antimodernista”: non per una totale opposizione alla modernizzazione a partire dal 1868 in poi, bensì per l’idea che quel processo così rapido altro non fosse che una mera imitazione di quello avvenuto in Europa attraverso lunghi secoli. In quanto tale esso non poteva che risultare approssimativo. Nel suo romanzo, l’autore dipinge un quadro satirico del proprio Paese, e fa emergere questo suo giudizio in maniera molto innovativa proprio in virtù del punto di vista che sceglie per raccontare la storia.

Si tratta di una lettura divertente e allo stesso tempo ricca di riferimenti intertestuali che rimandano soprattutto alla cultura greca antica, alle filosofie buddhiste e al vasto repertorio di personaggi della tradizione nipponica. L’autore è riuscito a fondere in un solo romanzo tutti questi elementi con un’ironia sottile e graffiante. Un’ironia che la magistrale  traduzione di Antonietta Pastore riesce a restituire anche al lettore italiano.

Un romanzo che nonostante i 113 anni dalla sua pubblicazione riesce ancora a coinvolgere appieno il suo pubblico.

Agli amanti dei manga segnaliamo anche una versione molto fedele all’opera originale, pubblicata da Edizioni Lindau e tradotta da Federica Lippi.

—di Giulia Berlingieri


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LING TOSITE SIGURE (凛として時雨) – #5

Copertina dell’album #5

IL GRUPPO

I Ling Tosite Sigure (凛として時雨 Rin toshite shigure, lett. “Fredda Pioggia Stagionale”) sono una rock band giapponese formatasi a Saitama nel 2002. Il gruppo è composto da tre membri:

  • TK (北嶋徹 Kitajima Tōru), chitarra e voce
  • 345 (中村美代子 Nakamura Miyoko), basso e voce
  • Pierre Nakano, ピエール中野 (中野正敏 Nakano Masatoshi), batteria

Inizialmente il gruppo era formato da TK, 345 e NodaMEN alla batteria. Quest’ultimo nel 2004 lasciò la band e venne sostituito da Pierre Nakano. Nel corso del 2004 inoltre, il gruppo rilascia diverse demo e compie il primo tour nazionale, fino ad arrivare al 2005 quando pubblicano il loro primo album, #4. Nel 2005 fondano anche una propria etichetta, la Nakano Records.

La band riscuote sempre più successo, fino a firmare un contratto nel 2008 con l’etichetta Sony Music Associated Records e nel 2013 con l’etichetta inglese JPU Records. Ciò che ha contribuito a renderli famosi a livello internazionale, è stato l’utilizzo delle loro canzoni come sigle di apertura di anime, ad esempio “abnormalize” per Psyco-Pass ed “Enigmatic Feeling” per Psyco-Pass 2.

Lo stile del gruppo è caratteristico, formato da un intreccio di suoni di chitarra duri e acuti, dall’alternarsi della voce maschile con quella femminile, da suoni del basso forti e distorti e da un intenso rullio di batteria. Il genere è il post-hardcore, arricchito da elementi di progressive rock, indie rock e shoegaze.

#5

L’album che proponiamo è #5, sesto album del gruppo, uscito il 14 febbraio 2018. La pubblicazione dell’album è stata anticipata dal CD “DIE meets HARD”, uscito il 23 agosto 2017. Il CD contiene l’omonima traccia titolo ed è composto da 3 tracce:

  1. DIE meets HARD
  2. I’m Machine
  3. DIE meets HARD (Koji Nakamura Remix)

Del CD è stata pubblicata anche una versione limitata contenente un DVD con:

  1. DIE meets HARD (Music Video)
  2. DIE HARD RADIO

L’album #5 comprende invece 10 tracce che sono:

  1. Ultra Overcorrection
  2. Chocolate Passion
  3. Tornado Minority
  4. Who’s WhoFO
  5. EneMe
  6. ten to ten
  7. Serial Number Of Turbo
  8. DIE meets HARD
  9. High Energy Vacuum
  10. #5

Anche dell’album è stata pubblicata un’edizione limitata contenente un DVD con:

  1. “Chocolate Passion” Music Video with Making Passion
  2. “#5” Music Video
  3. DIE HARD RADIO Season 2

La traccia titolo “DIE meets HARD” richiama lo stile tipico del gruppo, differenziandosi però per un’influenza pop. Ne è inoltre stata utilizzata una versione modificata di un minuto come sigla di apertura per il dorama Shimokitazawa Die Hard (下北沢ダイハード).

In generale, le canzoni hanno un buon ritmo, con il suono aggressivo della chitarra sempre presente, accompagnato da basso e batteria e da un nuovo stile di sottofondo. #5 rappresenta una commistione fra il tono più caotico dei primi album e quello più morbido dei più recenti.

#5 vuole rivivere le emozioni dei loro vecchi album, ricreandole e perfezionandole, facendo acquisire all’album un suono più maturo, a tratti melancolico. #5 va apprezzato singolarmente visto che è sia simile che differente dagli album passati. Alcune canzoni sono meno memorabili ma, nel complesso, l’album riesce ad essere coinvolgente ed emozionante tanto quanto quelli precedenti.

—di Ludovica Fenati


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THE THIRD MURDER- KORE’EDA HIROKAZU

A volte il destino somiglia ad un cappio, che ci si creda o meno non v’è momento in cui risulti più reale di quando lo si avverte avvinghiarsi alla propria gola. Quella di Misumi Takashi è avvolta in un maglione a girocollo sopra il quale indossa un’elegante giacca scura, è inverno ed il carcere è freddo. Un uomo, titolare d’azienda e padre di famiglia, è stato assassinato e lui, reo confesso, è l’unico imputato di un processo che appare come una superflua formalità. Questa volta il nostro Takashi rischia grosso, se venisse dichiarato colpevole si tratterebbe del suo terzo omicidio e difficilmente un giudice avrebbe voglia di salvare un tale reietto dalla pena capitale. Lui però è stanco, la vita gli ha riversato addosso una dopo l’altra varie sofferenze e la società già da molto tempo l’ha giudicato e condannato senza appello; non v’è da parte sua alcun desiderio di scansare la morte. Il signor Shigemori, suo legale, risulta così una figura in netto contrasto con le circostanze: avvocato difensore di una persona priva di interesse nel vedersi protetta, assume ai nostri occhi le grottesche sembianze di un medico intento ad accanirsi attraverso cure ad oltranza su un paziente in attesa di una morte liberatoria. Il tutto viene percepito come estremamente artificiale e burocratico, in quanto ad una mancanza di compassione verso il proprio assistito si accompagna in Shigemori un non celato, viscerale disinteresse nei confronti della verità e del passato di Takashi.

In questo quadro, nel quale al principio sono i colori nitidi a rubare prepotentemente la scena, entrano  ben presto in gioco tutta una serie di sfumature, in un primo momento nascoste timidamente nelle contraddittorie versioni fornite dall’imputato, ma in seguito sempre più struttura portante dell’intero racconto. Esse sottintendono che la vera storia risieda in quanto non detto da Misumi; sarà proprio il fascino dell’omesso a portare l’avvocato, insieme con lo spettatore, sulle tracce di una visione più ampia, impreziosita da frammenti di una verità che si fa sfuggevole nella sua leggerezza. Se si vuole tentare di afferrarla è necessario spogliarsi delle pesanti convinzioni alle quali spasmodicamente ci aggrappiamo, nella speranza di poter un giorno danzare in sua compagnia nel vento, foss’anche per un sol ballo.

—di Samuele Verona


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