A volte il destino somiglia ad un cappio, che ci si creda o meno non v’è momento in cui risulti più reale di quando lo si avverte avvinghiarsi alla propria gola. Quella di Misumi Takashi è avvolta in un maglione a girocollo sopra il quale indossa un’elegante giacca scura, è inverno ed il carcere è freddo. Un uomo, titolare d’azienda e padre di famiglia, è stato assassinato e lui, reo confesso, è l’unico imputato di un processo che appare come una superflua formalità. Questa volta il nostro Takashi rischia grosso, se venisse dichiarato colpevole si tratterebbe del suo terzo omicidio e difficilmente un giudice avrebbe voglia di salvare un tale reietto dalla pena capitale. Lui però è stanco, la vita gli ha riversato addosso una dopo l’altra varie sofferenze e la società già da molto tempo l’ha giudicato e condannato senza appello; non v’è da parte sua alcun desiderio di scansare la morte. Il signor Shigemori, suo legale, risulta così una figura in netto contrasto con le circostanze: avvocato difensore di una persona priva di interesse nel vedersi protetta, assume ai nostri occhi le grottesche sembianze di un medico intento ad accanirsi attraverso cure ad oltranza su un paziente in attesa di una morte liberatoria. Il tutto viene percepito come estremamente artificiale e burocratico, in quanto ad una mancanza di compassione verso il proprio assistito si accompagna in Shigemori un non celato, viscerale disinteresse nei confronti della verità e del passato di Takashi.

In questo quadro, nel quale al principio sono i colori nitidi a rubare prepotentemente la scena, entrano  ben presto in gioco tutta una serie di sfumature, in un primo momento nascoste timidamente nelle contraddittorie versioni fornite dall’imputato, ma in seguito sempre più struttura portante dell’intero racconto. Esse sottintendono che la vera storia risieda in quanto non detto da Misumi; sarà proprio il fascino dell’omesso a portare l’avvocato, insieme con lo spettatore, sulle tracce di una visione più ampia, impreziosita da frammenti di una verità che si fa sfuggevole nella sua leggerezza. Se si vuole tentare di afferrarla è necessario spogliarsi delle pesanti convinzioni alle quali spasmodicamente ci aggrappiamo, nella speranza di poter un giorno danzare in sua compagnia nel vento, foss’anche per un sol ballo.

—di Samuele Verona


Guarda anche: