The Mourning Forest || Cineteca JFS

Mogari no mori, in inglese tradotto con the mourning forest, è un film del 2007 drammatico, diretto e scritto da Kawase Naomi, che racconta il legame tra Machiko e Shigeki. 

Machiko è un infermiera che lavora in una casa di riposo, che nel corso della storia sviluppa una profonda connessione con Shigeki, un uomo anziano che soffre di demenza senile. Il bambino di Machiko è di recente morto, e la sua perdita l’ha lasciata molto scossa, mentre Shigeki ha perso sua moglie Mako 33 anni fa, e questa mancanza nelle loro vite li porta a legare. Un giorno, durante una gita, Shigeki si avventura nel bosco per fare qualcosa legato a sua moglie, e Machiko lo accompagna in questo misterioso viaggio.

Il film rappresenta molto bene il processo di superamento del dolore, illustrato dal quasi assoluto silenzio di Machiko per tutta la prima parte del film. Tuttavia, gradualmente si apre e connette con Shigeki, che la fa sorridere, dandole nuova vitalità. Il loro viaggio tratta soprattutto della gestione dell’angoscia dovuta alla perdita di una persona cara, e di come è importante continuare a vivere pur non dimenticando chi è ormai morto. 

La pellicola è principalmente nota per aver vinto il Grand prix della giuria al Festival di Cannes.

Se volete continuare conoscere con noi la cinematografia giapponese vi invitiamo a seguirci sui nostri canali, trovate i link nella descrizione. Vi ricordiamo che il database di tutti i sottotitoli dei nostri film è a vostra disposizione qualora siate interessati a proiettarli all’interno delle vs manifestazioni.
Oppure potete richiederci, anche una nuova sottotitolazione scrivendo a info@takamori.it!

Aoyama Shinji Parte 2 || Akushon!- I registi di JFS

Eccoci all’appuntamento n°2 su Aoyama Shinji e la sua filmografia! Questa è Akushon, la rubrica dei registi di JFS. Seguiteci!

Uscita nel 1996, Helpless è la pellicola di esordio del regista. Ambientata nel 1989, il film narra la storia di Kenji, uno studente delle superiori che rincontra Yasuo, uno Yakuza con un braccio solo recentemente uscito di prigione. Nonostante gli sia stato riferito che il boss fosse morto, Yasuo non ne è convinto e, credendo di essere stato incastrato, coopera con Kenji per trovarlo. Girando per la città, interrogano vari Yakuza e affiliati, ricevendo sempre come risposta che il capo è morto. Nel frattempo, Yasuo affida una misteriosa borsa nera e Yuri la sorella con un disturbo mentale a Kenji, il quale cerca di soddisfare le sue richieste durante le ricerche.
Kenji si dirige al drive-in dove doveva incontrare Yasuo, ma scopre che suo padre, ricoverato in un ospedale psichiatrico, si è suicidato, mandandolo in shock e rendendolo violento.
Il finale prenderà una svolta inaspettata.

Eureka (2000)

Pubblicata nel 2000, Eureka è ambientato nell’isola del Kyushu, dove un pazzo prende in ostaggio i passeggeri di un autobus e li uccide quasi tutti. Grazie all’intervento della polizia, si salvano l’autista e i giovani fratelli Tamura, Kozue e Naoki. Il trauma è troppo da sopportare, e l’autista lascia il paese abbandonando addirittura la propria famiglia. I due fratelli, invece, rimasti orfani, diventano dei reclusi. Quanto l’autista, tempo dopo, decide di tornare, scopre che i genitori sono deceduti e che l’ex moglie si è rifatta una vita. Compiendo una scelta puramente istintiva, decide di andare a vivere con i due fratelli, forti della condivisione del trauma che hanno vissuto. Iniziano tuttavia ad avvenire attorno a fatti inquietanti, tra cui l’uccisione di varie donne e il continuo ritorno, quasi come attratti da una forza magnetica, al luogo in cui furono sequestrati e quasi uccisi quel fatidico giorno.

Sad Vacation narra la storia di Kenji, un ragazzo abbandonato dalla madre e orfano di padre che tira a campare con degli espedienti e facendo da autista per i clienti troppo ubriachi per guidare presso un bar del posto. Nonostante il pessimismo che lo accompagna, Kenji ha molto a cuore la sorella di uno dei suoi amici, finito in prigione, e decide pertanto di prendersi cura di entrambi. Una notte, mentre accompagna a casa un uomo di nome Mamiya, scopre che la sua compagna è Chiyoko, sua madre. Utilizzando uno stratagemma, Kenji si farà aiutare da Mamiya nel tentativo di affrontare finalmente la madre, che nel frattempo ha avuto un figlio da Mamiya. Chiyoko reagirà in modo sorprendemente positivo alla scoperta dell’identità di Kenji, e porterà i personaggi a scoprire la forza dei legami famigliari.

Uscito nel 2011, Tōkyō Kōen è un film drammatico basato sul romanzo di Yukiya Shōji. La pellicola narra la storia di Koji, uno studente universitario la cui passione è la fotografia. Per mettere in pratica questa sua passione, si reca al parco e chiede ai passanti di poter scattare loro delle fotografie. Un giorno, però, mentre stava scattando delle foto senza permesso ad una passante, un uomo gli si avvicina e lo intima di smettere. Avendo appurato che si fosse trattato solo di un equivoco, l’uomo rinnova il suo consiglio a non scattare foto di nascosto, in quanto potrebbero essere mal interpretate. Il giorno seguente si ritrovano nuovamente nel parco. Qui l’uomo “misterioso” gli chiede di pedinare la donna del giorno precedente, spiegandogli che questa è la moglie e che crede che lo stia tradendo. E così il ragazzo, data la somma che gli viene proposta, accetta. Ogni giorno fa foto alla donna e alla figlia e le invia all’uomo, trovando in ciò uno spunto per riflettere sulle donne e sul rapporto con esse.

E con questo siamo giunti alla fine del nostro approfondimento su Aoyama Shinji. Vi aspettiamo tra due settimane con un nuovo regista con Akushon!

Orange – Fishmans || Recensione

I Fishmans sono stati una band giapponese dalle influenze dub, dream pop, funk rock (ma non solo) attiva principalmente tra il 1987 e il 1999, formata dal cantante, chitarrista e trombettista Shinji Sato, il batterista Kensuke Ojima, il bassista Yuzuru Kashiwabara e il tastierista Hasake-Sun (il cui vero nome è sconosciuto).
Fino al 1994, precedentemente al rilascio dell’album “Orange”, era presente nel gruppo anche il chitarrista Kensuke Ojima, poi rientrato nel gruppo anche nel 1999.
La band, dopo la morte del cantante Shinji Sato avvenuta nel 1999, continua tutt’oggi ad esibirsi sporadicamente live, e ha anche rilasciato della musica scritta quando Shinji Sato era ancora in vita, rimanendo una band attiva ad intervalli irregolari.

I Fishmans, rimasti relativamente underground nel corso della loro carriera, acquisirono poi con internet un grosso seguito internazionale, diventando tra le band più importanti del panorama musicale anni ’90 giapponese.

“Orange” è il quarto album del gruppo, uscito nel 1994.

L’album, composto da nove tracce, si apre con il brano “Intro”, breve traccia di 23 secondi dal sapore funk che è una vera e propria introduzione, per l’appunto, al brano successivo (“Kibun”), rappresentando a tutti gli effetti uno spezzone di questo e dando quindi un veloce anticipo su ciò che si potrà poi ascoltare nella successiva traccia. Allo stesso tempo “Intro” anticipa a livello di sound ciò che può essere ritrovato nell’album.

“Kibun” è il primo brano vero e proprio dell’album, che come introdotto da “Intro” presenta delle chiare sonorità funk, con una linea ritmica formata da un basso e una batteria con un gran groove, una chitarra ritmica estremamente funk e una seconda chitarra che propone delle melodie che regalano al pezzo anche delle sfumature un po’ più rock.
La voce androgina del cantante e l’organo in sottofondo richiamano il funk anni ’70, mentre i riff di chitarra funk-rock nella strofa richiamano molto il funk anni ’90 (d’altronde decade di uscita dell’album) dei Red Hot Chili Peppers.

L’album prosegue con “Wasurechau Hitotoki”: anche in questa traccia possiamo ritrovare le influenze funk, con dei suoni a tratti tendenti all’hip hop. La voce del cantante ancora una volta si presenta come estremamente suggestiva e raffinata, con un ritornello decisamente orecchiabile.

Il successivo brano, “My Life”, è un brano più tendente al pop, dalle sonorità più dreamy e a tratti anche jazzy, con melodie che sanno rapire l’orecchio.

“Melody” è una traccia che riprende ma con ancora più enfasi la frenesia dei brani precedenti, con una bella e movimentata linea di basso dal sapore quasi jazz e un assolo di chitarra nel mezzo sporco che accantona la melodia in favore dell’energia, seguito da un crescendo emotivo che culmina con un assolo di organo e una batteria sempre incalzante e convincente.

Il successivo brano “Kaerimichi” inizia con un’intro onirica seguita da un verso in cui si possono sentire a pieno le influenze dub e dream pop della band. Brano molto “laid-back”, un momento più calmo dopo la incalzante “Melody”.

“Kansha (Odoroki)” è un brano che riprende le influenze funk viste in precedenza, con quasi un richiamo al City Pop giapponese anni ’80, decade precedente all’uscita dell’album, e una chitarra ritmica funk incalzante.

L’album prosegue con “Woofer Girl”: anche in questa traccia si possono trovare le influenze dub della band, con la sempre suggestiva voce del cantante, e un finale che richiama i migliori momenti della musica raggae.

La conclusione de’album avviene con “Yoru no Omoi”: traccia che presenta un forte sapore hip hop anni ’90 nella strumentale di basso, batteria e tastiera, con le solite accattivanti melodie della voce, e una chitarra minimal a tratti funk e a tratti più volta al creare suoni che donino un’atmosfera più dreamy/psichedelica al brano, con anche la presenza di una chitarra acustica. La traccia si chiude con un’orecchiabile melodia con cori che sfuma chiudendo appunto l’album.

L’album, molto variegato e divertente, rappresenta sicuramente un must per chi vuole approcciarsi ai Fishmans.

Recensione di Calogero Frangiamone

Cha no Aji || Cineteca JFS

Cha No Aji, in inglese noto come the taste of tea, è un film del 2004 slice of life scritto e diretto diretto da Ishii Katsuhito. La pellicola offre un breve sguardo quasi onirico sulla vita della famiglia Haruno, e gli strani fenomeni che li circondano.

La famiglia è composta dal nonno Akira, la madre Yoshiko, il padre Nobuo, il figlio maggiore Hajime, sua sorella Sachiko e lo zio Ayano. Ognuno di loro si trova ad affrontare problematiche diverse, che sono sia correlate a degli eventi soprannaturali che a cause semplici e mondane. Ad esempio, Sachiko cerca di capire perché venga sempre seguita da una se stessa gigante, mentre Hajime è alla presa con una cotta scolastica. Yoshiko stessa rifiuta la vita da casalinga, in quanto sta lavorando ad un progetto di animazione, aiutata nonno Akira che posa per lei.

La pellicola, che è stato selezionata per il festival di Cannes, riesce a intrecciare tra loro elementi fantastici e surreali con personaggi realistici e problemi relativi alla vita di tutti i giorni. Nonostante il film abbia ben poca trama, ciò che spicca davvero sono i personaggi e la loro realizzazione nel corso della storia, nonché le interazioni tra di loro. Anche le scene ricche di emozione non mancano, tra cui spicca il momento in cui finalmente scoprono ciò che si nasconde all’interno della stanza del nonno.

Se volete continuare conoscere con noi la cinematografia giapponese vi invitiamo a seguirci sui nostri canali, trovate i link nella descrizione. Vi ricordiamo che il database di tutti i sottotitoli dei nostri film è a vostra disposizione qualora siate interessati a proiettarli all’interno delle vs manifestazioni. Oppure potete richiederci, anche una nuova sottotitolazione scrivendo a info@takamori.it!

Rashōmon e altri racconti || Recensione


Autore: Akutagawa Ryūnosuke
Editore: Einaudi
Collana: ET Scrittori
Traduzione: Antonietta Pastore, Laura Testaverde, Lydia Origlia
Edizione: 2018

Personaggi grotteschi, elementi soprannaturali, e temi tradizionali sono tutti tratti ricorrenti in questa raccolta dei più celebri racconti di Akutagawa. In particolare “Rashōmon”, spesso visto come emblema della sua produzione, narra di un servo licenziato dalla sua famiglia e dell’incontro che ha con una vecchia nell’antica porta Rashōmon, ormai diroccata. Il tema della moralità ricorre in questo racconto, in cui il servo e la vecchia entrambi rubano nonostante pensino di essere giustificati nelle loro azioni. Un altro racconto iconico di Akutagawa è “La rappresentazione dell’inferno”, in cui al pittore di corte viene commissionato di dipingere un paravento che illustri l’inferno buddista. Per essere il più accurato possibile, il pittore compie azioni estreme, anche torturando i suoi apprendisti. Anche in questo racconto si affronta il tema dell’umanità e delle atrocità un essere umano è disposto a fare.

Akutagawa scrive in uno stile semplice, che con pochi tratti riesce a cogliere l’elemento di terrore e l’atmosfera inquietante che caratterizzano i suoi racconti, è una scrittura che lascia il lettore turbato. Riprende spesso elementi tipici della tradizione giapponese e li rivisita in chiave angosciante, con un elemento di sospensione nel modo in cui i racconti finiscono, tipico della narrativa giapponese. Da due dei racconti, “Nel Bosco” e “Rashōmon”, è stata tratta una pellicola famosa di Kurosawa Akira, film che riprende la trama di “Nel Bosco” ma con elementi e titolo presi da “Rashōmon”. Inoltre, ad Akutagawa è dedicato l’omonimo premio letterario, il più prestigioso in Giappone per gli scrittori esordienti. 

Recensione di Camilla Ciresa