EDIZIONE SPECIALE: FAR EAST FILM FESTIVAL – MORI, THE ARTIST’S HABITAT

     Mori, the Artist’s Habitat (2018)

di Shuichi Okita.

 

Quanto sarebbe bello poter rallentare anche per una sola giornata, dedicarsi solo a ciò che ci fa stare bene. Seconda metà degli anni ’70: Morikazu Kumagai (Mori, intepretato da Tsutomu Yamazaki) è uno dei pittori giapponesi più acclamati, e conduce la propria vita dedicandosi solo a ciò che lo fa stare bene. Ritiratosi a vita privata da ormai trent’anni, il pittore novantaquattrenne passa le sue giornate all’interno dei confini della sua casa di campagna, in cui vive con la moglie Hideko, di circa vent’anni più giovane, e la simpatica badante Mie-chan. L’artista, bastone da passeggio alla mano, si immerge quotidianamente nel suo giardino rigoglioso e selvaggio, esaminando minuziosamente la fauna che lo occupa, il soggetto principale delle sue opere. Osserva attentamente le marce delle formiche, gli insetti sui rami degli alberi, si interroga sui sassi che trova a terra. Si rilassa fumando pipa di legno e sedendo sui tronchi presenti in giardino.

La casa di Mori è il ritrovo preferito degli altri personaggi, tra cui i vicini di casa chiacchieroni e un fotografo con il suo assistente, attirati dalla purezza del luogo e dal carisma silenzioso proprietario. All’esterno della casa, orde di giovani artisti e ammiratori appendono cartelloni di protesta contro i costruttori di un condominio che, una volta completato, priverà di luce solare la piccola foresta di Mori. Mentre Hideko e Mie Chan si trovano spesso a cucinare per gli ospiti e ad intrattenerli, Mori sembra piuttosto infastidito dalla presenza molesta di tante persone, ma il suo stato contemplativo viene difficilmente interrotto. Le interazioni con questi amici danno vita a situazioni comiche di cui Mori neanche si accorge. Al contrario, chiunque entri in contatto col saggio artista, lo riverisce e ne è arricchito profondamente.

Il film si svolge quasi interamente all’interno della proprietà di Mori, nel giardino che egli percepisce come sconfinato perché effettivamente le cose da osservare non finiscono mai, anche dopo trent’anni. Lo spazio vitale di Mori cambia ogni minuto, ogni secondo, e l’artista ne vorrebbe carpire ogni segreto. Egli stesso ammette che, se potesse, vivrebbe la stessa vita ancora e ancora, per sempre. Col suo andamento rilassato, una fotografia eccellente, personaggi semplici ma divertenti, il film è un’autentica gemma, una leggera biografia romanzata, rasserenante e piacevole che solleva piccole riflessioni sulla vita e sul rapporto con la natura.

Jacopo Corbelli

 

 

EDIZIONE SPECIALE: FAR EAST FILM FESTIVAL – THE SCYTHIAN LAMB

THE SCYTHIAN LAMB

Un teatro affollato, padiglioni ed infopoint presi d’assalto da un mare di persone armate di badge; può sembrare uno scenario apocalittico ma si tratta del Far East Film Festival (ormai giunto alla sua ventesima edizione) e questa è una giornata di normale amministrazione. Una lunga serpentina di cinefili, giornalisti e addetti stampa in attesa di entrare nella sala proiezioni, noi ne siamo la coda ma la fila si muove più in fretta di quello che ci aspettassimo e finalmente entriamo. Cerchiamo subito di accaparrarci delle buone posizioni con i moltissimi presenti in sala e dopo aver discusso di prospettive ed angoli di visione ottimale ci accontentiamo di posti defilati e abbastanza vicini allo schermo. Scoppia un applauso, il regista è entrato in sala. Daihachi Yoshida ci augura una buona visione in un Italiano spigliato ma semplice ed ha inizio “The Scythian Lamb“.

Il film prende elementi di black comedy e thriller per raccontare la storia di un giovane impiegato comunale (l’idol Ryo Nishikido): questi dovrà assicurare il reinserimento nella società di sei ex detenuti nella piccola città di campagna in cui vive. L’obbiettivo è quello di ripopolare la campagna e instillare nuova linfa vitale in una comunità ormai svuotata di giovani, tacendo però sui dettagli del passato problematico dei sei individui. I toni cupi della pellicola sono aggravati dalla presenza simbolica inquietante di Nororo, un kaiju simbolo della tradizione folkloristica locale, temuto e riverito e la cui statua giganteggia sul villaggio. La leggenda che lo accompagna si intreccia con le vicende dei personaggi, muovendo la trama verso un climax inaspettato.

Tra i sei nuovi cittadini, c’è chi ricadrà nelle vecchie abitudini. C’è anche chi riuscirà a lasciarsi alle spalle il proprio passato e, con l’aiuto della comunità, a ripartire da zero. Un tema ricorrente del film è infatti la rinascita, parafrasi di un ciclo vitale inarrestabile di morte e vita, espresso forse dal titolo del film. L’agnello della Scizia (traduzione italiana del titolo del film) fa riferimento ad una pianta leggendaria asiatica che ha come frutto un agnello legato alla terra per un cordone ombelicale e la quale, una volta perse tutte le foglie, muore assieme all’agnello. Questa icona appare spesso durante il film come memento di quella ciclicità di vita e morte e rinascita.

Il film, come ogni buon thriller, esige che gli occhi restino attaccati allo schermo. Noi, sicuramente, abbiamo pure consumato i braccioli delle poltrone rosse del Teatro Nuovo fino alla conclusione del film. Ma per noi, ahimè, è proprio il finale la pecca più grande: ci è sembrato pigro, anticlimatico, ci ha lasciati con l’amaro in bocca. Tuttavia, per l’attualità del problema presentato, la misteriosa tensione che viene costruita di scena in scena e l’occasionale black comedy, non ci sentiamo proprio di non consigliarne la visione.

Marco Manfroni e Jacopo Corbelli

INTERVISTA A VAN PAUGAM – IL CULTORE DEL シティーポップ (SHITĪ POPPU) ONLINE.

 

Abbiamo visto la musica (e poi la cultura) vaporwave ottenere un successo grandissimo negli ultimi anni, riuscendo a contaminare ogni aspetto della vita su internet. Sono stati creati una pletora di spin-offs, discografie, sottogruppi che seguono la sua estetica caratteristica e inconfondibile, in tensione tra un passato irrecuperabile e un futuro tecnologicamente avanzato. Più recentemente è stato il lo-fi hip hop (di cui abbiamo già parlato in almeno un paio d’occasioni) a raggiungere la fama internazionale, aiutando milioni e milioni di studenti ad affrontare le sessioni d’esami e firmando gli ultimi meme trends. I due generi attingono a piene mani dalla cultura giapponese, vestendosi in particolare di immagini tratte dagli anime con cui praticamente ogni millennial è cresciuto.

A fianco di queste due tendenze, si è sviluppata anche la fan base del シティーポップ, o city pop. Questo è però un genere completamente giapponese, sviluppatosi nelle città del paese del sol levante durante gli anni ’80, sulla spinta del miracolo economico successivo alla Seconda Guerra Mondiale. Dal punto di vista lirico, i testi parlano principalmente d’amore e di vita urbana. Tuttavia è difficile da descrivere dal punto di vista musicale, perchè comprende elementi di jazz, funk, soul, disco… e la lista continua.  Youtube ha supportato questa riscoperta consigliando a chiunque i video dei vari Maria Takeuchi, Tatsuro Yamashita e Taeko Ohnuki, artisti che tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 erano le vere star del panorama musicale giapponese. Il genere morì letteralmente dopo lo scoppio della bolla del mercato immobiliare degli anni ’90, mettendo fine all’illusione di ricchezza e all’ottimismo che si viveva nelle città del Giappone. Internet ha quindi messo in campo un processo quasi filologico che ha portato alla riscoperta di un genere dall’appeal innegabile che fonde i maggiori trend della musica occidentale dagli anni ’70 e li unisce in un irresistibile melting pot musicale in uno stile profondamente giapponese. E Van Paugam ne è il vero gatekeeper.

Van Paugam è un giovane musicista e dj, conceptualist d’istanza a Chicago. Nonostante il suo canale youtube non abbia numeri impressionanti per quanto riguarda le iscrizioni, le sue playlist hanno accumulato milioni di plays e un seguito affezionato. Tutti i giorni per 24 ore sullo stesso canale viene anche trasmessa la radio dedicata al city pop. È anche l’autore di un video esplicativo, egregiamente realizzato, sulla storia e le origini del city pop.

Gli abbiamo rivolto qualche domanda per sapere da cosa deriva la sua passione per il genere e quale sia la sua opinione riguardo al binomio cultura giapponese-meme che si è consolidato negli ultimi anni. Qui di seguito è riportata l’intervista integrale, in inglese e poi tradotta in italiano.

 

1) This interest for city pop, is it a broader passion for Japanese culture in general or is it just about the music? How did you discover it and what where the things drawing you to it?
I’ve always had an interest in lesser known genres of music and also a great appreciation for Japanese culture, so when I discovered City Pop by tracing samples from classic Vaporwave songs from early 2010s the music already felt very familiar and easy to absorb.  City Pop while being Japanese is still just good music in the end, and it’s able to transcend language barriers to speak to many people all over the world who are drawn to the sound regardless of where it originated. I think in a sense you don’t have to particularly love Japanese Culture to appreciate the music as much as just having an attraction to good melodies, grooves and especially amazing slap basslines.
I used to make mixes of Future Funk and Vaporwave, so without knowing it I was already listening to City Pop all along. The genre was sort of just hiding underneath the layers of distorted sounds of the music which I already liked, so once I started digging up the samples I found that the original music had so much charisma and authenticity that they sounded better to me than the songs that sampled them. Once you hear the original it’s hard to go back. I feel what draws me in the most is that the music in a sense sounds so familiar because it has many influences I recognized already, while at the same time being such a unique new blending of those influences that it felt like a strange kind of nostalgia for a time and place you did not grow up in, it’s a comforting feeling for some reason, maybe because humans like a bit of escapism and the music can sometimes evoke that.
2) Is there other music genres or bands from Japan that you enjoy?
 I enjoy a lot Japanese Jazz Fusion from the 80s. Himiko Kikuchi is one of my favorites, and of course the incredible Takako Mamiya. Japan also had a very under-rated funk and disco music scene that could rival anything made in the west. Typically my tastes stay within the late 70s early 80s music scene of Japan, and very rarely venture out of that bubble. I find most contemporary J-Pop to be a bit mindless and too often derivative. There are exceptions to that, but for the most part I don’t usually find as much pleasure in new J-Pop as much the old.  I think there are many incredible Japanese musicians that are still to be uncovered in Japan’s music history; it really is a land of mystery and intrigue in many ways.
3) What do you mean when you refer to yourself as a conceptualist?
It’s a joke more than anything, but I enjoy merging concepts such as nostalgia, distortion, and melancholia into new forms of creative experiences. I find inspiration in high concept art, cinema, and philosophies which sometimes merge and reflect in my work. My views tend to be very idealist so I tend to express things in a very liberal way in regards to emotions, memories, and especially music. Maybe Conceptualist is the wrong word, I’m not sure really, but I like the way it sounds.
4) Overall it seems like Japanese culture has a big influence over internet trends. Vaporwave, for example, takes lots of influence from Japanese icons too. I’ve heard people consider Vaporwave merely a meme, others consider it a reaction to the instability and uncertainty defining the life of most millennials. Why do you think the internet crowd has this kind of pull towards japanese culture? Does nostalgia have anything to do with it?
Japan has always been a strong cultural force and continues to influences everything from fashion, design, technology, and all things cool. I was really into Vaporwave when the scene was still new and the feeling at first was that the genre started as a reaction to rampant consumer excess, aggressive corporate marketing, and the idea that capitalism’s forgotten music could be recycled into something new and fresh, but that philosophy was quickly surpassed by the obsession that became the aesthetics. I think it was almost a poetic irony that much of Japanese City Pop was sampled into Vaporwave considering the music was a reaction to the economic bubble Japan was enjoying at the time that eventually burst causing the genre to practically disappear.
5) If you could be driving in 80’s Tokyo, convertible top down, 2 AM, what would be the perfect soundtrack to your joyride?
Tomoko Aran, Tatsuro Yamashita, Mariya Takeuchi, Anri, and Toshiki Kadomatsu on repeat while driving forever in a permanent loop in time.

Qui di seguito, l’intera intervista in traduzione italiana.

1) Questo tuo interesse verso il city pop, deriva da una passione per la cultura giapponese in generale o si tratta solo della musica? Inoltre, come hai scoperto il genere e quali sono stati i tratti che ti hanno attirato verso di esso?
Ho sempre provato interesse per generi musicali meno conosciuti e apprezzo molto la cultura giapponese; quando ho scoperto il City Pop, rintracciando samples da classici vaporwave recenti, la musica già mi suonava familiare e di facile assimilazione. Alla fine, prima di essere giapponese, il City Pop è buona musica e indipendentemente da dove si è generato può superare le barriere linguistiche raggiungendo chiunque nel mondo sia attratto dal suo sound. Credo che non serva essere particolarmente innamorati della cultura giapponese per apprezzarlo, ma piuttosto avere un’infatuazione per le belle melodie, i grooves e soprattutto per i fantastici giri di basso slap.
Facevo mix di future funk e vaporwave, quindi senza saperlo stavo già ascoltando City Pop. In un certo senso era solo nascosto sotto strati dei suoni distorti della musica che già mi piaceva. Di conseguenza, quando ho iniziato a scoprire quei samples, ho realizzato che la musica originale aveva un carisma e un’autenticità superiori e mi sembravano migliori delle canzoni che le avevano campionate. È difficile tornare indietro una volta che hai sentito l’originale. Credo che la cosa che mi attira al genere sia che la musica suona così familiare, per via delle influenze che ci riconosco, ma allo stesso tempo è un mix talmente unico di quelle stesse influenze che trasmette uno strano senso di nostalgia per un tempo e un luogo in cui non siamo potuti crescere; può essere di conforto, forse perchè come umani bramiamo una fuga dalla realtà che la musica può offrire.
2) Ci sono altri generi musicali o band giapponesi che ti piacciono?
Mi piace tanto jazz fusion giapponese degli anni ’80. Himiko Kikuchi è uno dei miei artisti preferiti, e ovviamente anche l’incredibile Takako Mamiya. In Giappone c’è stata una sottovalutata scena disco funk che potrebbe sfidare tutto ciò che è uscito in occidente. In generale, i miei gusti restano all’interno della scena musicale giapponese tra gli anni ’70 e i primi anni ’80 e raramente escono da questa sfera. La maggior parte del j-pop contemporaneo mi sembra sia un po’ ripetitivo e spesso troppo derivativo. Ci sono eccezioni, ma il nuovo J-pop non mi coinvolge come quello vecchio. Ci sono ancora molti musicisti straordinari da scoprire nella storia musicale giapponese; il Giappone è una terra di mistero e intrighi per tanti aspetti.
3) Cosa intendi quando ti descrivi come concettualista?
È uno scherzo più che altro, ma mi piace fondere concetti quali la nostalgia, la distorsione, la malinconia in nuove forme di esperienza creativa. Sono ispirato dall’arte high concept, dal cinema e dalla filosofia e ciò può riflettersi nei miei lavori. Le mie opinioni sono spesso idealiste e tendo ad esprimermi in modo molto libero per quanto riguarda emozioni, ricordi e soprattutto musica. Probabilmente concettualista è la parola sbagliata, non ne sono sicuro, ma mi piace come suona.
4) Sembra che la cultura giapponese abbia un’enorme influenza sui trend di internet. La vaporwave, per esempio, attinge molto da icone giapponesi. Per alcuni, la vaporwave è semplicemente un meme, per altri è una reazione all’instabilità e all’incertezza che definiscono la vita di molti millennials. Perchè credi che le persone su internet siano così attratte verso la cultura giapponese? Centra qualcosa il fattore nostalgia?
Il Giappone è sempre stato una forza culturale e continua ad influenzare tutto ciò che sia figo, dalla moda e il design alla tecnologia. Ero appassionato di vaporwave quando la scena era appena spuntata e sembrava che fosse una reazione agli eccessi dilaganti dei consumatori e del marketing aggressivo delle corporazioni; dava l’idea che la musica del passato potesse essere riclicata per creare qualcosa di nuovo e fresco; ma questa idea è stata presto superata dall’ossessione che ne è diventata l’estetica. È quasi ironico che molto del vecchio city pop sia stato campionato nella vaporwave, considerando che quello era una conseguenza proprio della bolla economica che alla fine è scoppiata condannando il genere a scomparire.
5) Se potessi guidare nella Tokyo degli anni ’80, decappottabile a tetto abbassato, 2 di notte, quale sarebbe la perfetta soundtrack?
 Tomoko Aran, Tatsuro Yamashita, Mariya Takeuchi, Anri, e Toshiki Kadomatsu, a ripetizione e guidando per sempre in un loop nel tempo.
Scritta da Jacopo Corbelli.

隆盛日本映画観賞会 FESTIVAL DEL CINEMA GIAPPONESE TAKAMORI (8)

 

笑の大学

     University of Laughs (2004)

Durata: 121 minuti

Film diretto da  Hoshi Mamoru

Commedia originale Mitani Kōki 

Con: Yakusho Kōji , Inagaki Gorō , Takahashi Masaya 

Lingua originale, sottotitoli italiani di Federico De Marchi

Sala Eventi, Mediateca di San Lazzaro di Savena (BO) 

7 maggio 2018 – ore 20:30

Ambientato nel Giappone anteguerra del 1940, il giovane commediografo Hajime Tsubaki si deve confrontare con il nuovo censore del governo Mutsuo Sakisaka per l’approvazione della sua nuova commedia. Il ruolo di un censore sarebbe eliminare tutto ciò che è considerato “taboo” per l’epoca dai copioni, ma in realtà il nuovo censore Sakisaka pare proprio avere qualcosa contro la commedia. Tsubaki dovrà impegnarsi a realizzare ogni richiesta della sua apparente nemesi prima di poter ricevere l’approvazione del copione e mettere in scena la sua opera.

Entrata Gratuita