L’ultimo Yakuza || Recensione

Regia: Takashi Miike

Anno: 2019

Durata: 108 minuti

Genere: azione, poliziesco, commedia

Attori principali: Masataka Kubota, Sakurako Konishi

L’ultimo Yakuza” è un film del rinomato regista Takashi Miike che mostra al pubblico la visione peculiare e controversa dell’autore di amore e violenza. Una pellicola portata in Italia nel 2019, nonostante il cinema occidentale non fosse abituato a film così fuori dagli schemi. Proprio per questo, il titolo originale 初恋 (letteralmente “primo amore”)  fu modificato in “L’ultimo Yakuza” nel nostro paese, per dare l’impressione al pubblico di star guardando un film classico sulla mafia giapponese.

Questa pellicola racconta di Leo, un giovane senza famiglia che fa il pugile e che apparentemente non mostra alcuna emozione, e di Monica, una ragazza abbandonata dal padre e costretta a prostituirsi per pagare i suoi debiti, finendo per diventare una tossicodipendente. Monica rimane coinvolta in un traffico di sostanze stupefacenti organizzato dalla Yakuza e un giorno, inseguita dal poliziotto corrotto Ōtomo, si imbatte in Leo. Il ragazzo mette al tappeto lo sbirro e decide di aiutarla a scappare. Lui intanto aveva scoperto di essere affetto da un grave tumore al cervello e quella notizia era stata la spinta necessaria per trovare il coraggio di farsi avanti e aiutare la ragazza di cui si era innamorato. I due si ritroveranno immersi in una folle avventura che, in una sola notte, porterà entrambi i protagonisti a scontrarsi con la triste e cruda realtà di quel mondo spietato da cui desideravano fuggire.

Il contrasto tra la storia dei due ragazzi, molto attenta alle loro emozioni e ai loro dolori più profondi, con racconti delicati e personali, e quella dell’inseguimento, dove la narrazione mostra evidente l’impronta del regista con sparatorie, tradimenti e violenze di ogni tipo, crea un film che riesce a passare dal dramma alla commedia, con dinamiche uniche e sopra le righe che hanno sempre caratterizzato tutta la grande produzione di Takashi Miike.   

Con questa pellicola, il regista vuole mostrare allo spettatore un’aspra critica del Giappone e degli aspetti più marci della sua società ma anche a scontrarsi con temi come la paura del proprio passato e il trovare il coraggio di affrontarlo a testa alta.

“L’inferno delle ragazze” – Yumeno Kyūsaku || Recensione

Edito da Luni Editrice, “L’inferno delle ragazze” di Yumeno Kyūsaku narra sotto forma di racconti epistolari le storie di tre personaggi femminili che, pur diversi per esperienze, sono infine uniti da un destino comune.

In quest’opera l’inferno si incarna nella realtà divenendo metafora della vita quotidiana, del logorante trascorrere dei giorni in un sistema costruito sull’oppressione delle voci femminili.

Tutte e tre le protagoniste sono donne “diverse”, considerate come delle invertite o delle aliene, prive per caso o per scelta della maternità che caratterizza il prototipo sociale della donna perfetta, relegata dall’opinione comune dell’epoca al ruolo di moglie fedele e di angelo del focolare. La maternità viene da loro anzi negata con una scelta cosciente –come nel secondo racconto- o si presenta come una caratteristica totalmente estranea al personaggio, frutto di una pressione sociale inattingibile. La rinuncia al ruolo di madre e alle funzioni imposte come “naturali” fanno parte di una più ampia ribellione che non arriva tuttavia mai ad assumere i toni di una volontà di cambiamento sistemico dei rapporti di potere patriarcali o di una lucida critica femminista.

L’opera ha il pregio raro di offrire una prospettiva altra sul Giappone dell’inizio dell’epoca  Shōwa.

Pur se condizionata dallo sguardo maschile dell’autore, essa rappresenta infatti una preziosa riflessione sulla tematica di genere e tratta di personaggi ai margini della società, troppo spesso esclusi dalle pagine della letteratura; donne di condizione medio-bassa, lavoratrici o studentesse, non conformi al modello tradizionale richiesto alla donna giapponese quando non addirittura opposte a esso per caratteristiche psicologiche (o presunte tali) e fisiche. Vi compare non secondaria anche la tematica dell’omosessualità, di trattazione particolarmente delicata in un’epoca di rigida censura che infatti colpisce alcune parole nelle ultime pagine dell’ultimo racconto. Dalla testimonianza dei personaggi appare un altro grande protagonista, un sistema invisibile ma oppressivo che incombe sulle protagoniste e le schiaccia con il peso delle sue aspettative e obbligazioni, quando non con la più cruda violenza fisica e sessuale.

La forma epistolare contribuisce a rendere ancora più unica l’opera, filtrando con delicatezza da un determinato punto di vista gli eventi e giocando sottilmente con i tempi narrativi distorcendoli, accavallandoli, rispondendo a una razionale più emotiva che prettamente cronologica.

L’autore, figlio della sua epoca, non giunge mai all’elaborazione di una vera critica femminista; dall’opera non traspare infatti mai una precisa volontà di cambiamento delle relazioni tra i sessi né una salda intenzione di modificare il ruolo della donna trasformando la struttura di una nazione, il Giappone degli anni ’30, caratterizzata da un accentuato paternalismo e modellata proprio sulle strutture famigliari tradizionali. Appare però evidente una forte attenzione per la condizione femminile a cui l’autore guarda con profonda empatia e con una certa solidarietà ma dall’esterno, senza che questo sentimento si concretizzi in una forma di effettiva protesta sociale o in solide proposte di cambiamento; unica parziale eccezione è costituita dal discorso del direttore all’interno del terzo capitolo, che alla luce dei fatti narrati si svela però essere vuota retorica. Le varie forme di ribellione dei personaggi dell’opera non offrono quindi nessuna possibilità di redenzione.

Anche le vittorie apparenti sono accompagnate dalla tragedia che le prepara o le segue, non riuscendo in nessun modo a costruire una realtà migliore.

Al contrario, la protesta sembra incapace di approdare a una dimensione costruttiva, riuscendo solo a rendere più profondo l’inferno del quotidiano trascinandovi anche i personaggi maschili che ne sono responsabili.

Recensione di Mattia Natali

Mediateca San Lazzaro || Presentazione “Il teatro Fantasma”

Dopo l’appuntamento al Mondadori Bookstore di Mestre e alla biblioteca Sala Borsa a Bologna, continua il giro di presentazioni de “Il teatro Fantasma“.
Questa volta l’appuntamento è a San Lazzaro presso la Mediateca il 9 novembre, a tenere la presentazione come sempre il Professore Francesco Vitucci, uno dei traduttori del libro di Yokomizo Seishi.

Vi aspettiamo numerosi e come sempre vi rimandiamo alla nostra personale recensione del libro!