L’attesa – Matsumoto Seichō || Recensione

Autore: Matsumoto Seichō
Traduttrice: Gala Maria Follaco
Editore: Adelphi
Edizione: 2024

Pubblicato negli anni Sessanta, L’attesa (強気あり, Tsuyokiari) rappresenta forse uno dei romanzi più densi di Matsumoto Seichō.

Maestro dello Shakai Ha (社会派, “scuola sociale“), l’autore è in grado di costruire in appena trecento pagine un abile commentario della metropoli del suo tempo attraverso la vita di Isako, donna scaltra e ambiziosa sposata ad un uomo di trent’anni più anziano di lei, Nobuhiro, alla cui eredità questa guarda senza scrupolo alcuno, augurandosi una subitanea morte del consorte.

La trama si infittisce non appena Isako scopre che la fidanzata di Ishii Kanji — uno dei suoi tanti amanti più giovani — è morta in circostanze a dir poco sospette. Tremendamente scossa dalla notizia non tanto per il fatto macabro quanto per la minaccia che la sua presenza nell’appartamento di Kanji la sera dell’accaduto potrebbe risultare compromettente per la sua reputazione (e quindi per il suo piano di ereditare le fortune di Nobuhiro), Isako cercherà in ogni modo di arginare le sue possibilità di essere scoperta nel suo meschino intento attraverso inganni, ricorsi a favori, menzogne e manipolazioni.

Il freddo cinismo della protagonista è evidenziato ad ogni pagina — le sequenze diegetiche e dialogiche sono quindi spesso interrotte da un turbinare di pensieri irrequieti: “cosa succederà se agisco in questo modo?”, “e se le vere intenzioni di questa persona fossero ben altre?”.

Attraverso la sua sapiente prosa, Matsumoto rende tangibilmente gravosa l’*attesa* di Isako, creando tensione ad ogni svolta della trama, alimentando una sostenuta patina di ansietà e incertezza che permette al lettore quasi di entrare nella testa della donna: Isako non solo attende che il marito muoia, ma è sospesa nell’attesa incerta e angosciosa degli avvenimenti futuri, che — nonostante l’acume delle sue previsioni riguardo le mosse altrui — non può in alcun modo conoscere.

Forse uno dei romanzi noir più densi di Matsumoto, Tsuyokiari mette a nudo uno dei lati più oscuri della intrinseca relazionalità sottostante la società giapponese, rivelando la rete sociale fragile, diffidente, crudamente opportunista del Giappone del proprio tempo.

Recensione di Francesco Meco

Ring – Kōji Suzuki || Recensione

Autore: Kōji Suzuki

Traduzione: Lidia Perria

Editore: Nord

Edizione: 2003

Ring (りんぐ) è un romanzo horror psicologico di Kōji Suzuki. Sebbene il libro non sia altrettanto noto, il film statunitense The Ring, diventato ormai un’icona della cultura pop, è basato su questo romanzo. Con la produzione di film, videogiochi, manga e serie TV, Ring è diventato un vero e proprio franchise conosciuto in tutto il mondo. Tuttavia, le differenze che intercorrono tra la pellicola The Ring e l’opera scritta sono molteplici.

Kazuyuki Asakawa è un giornalista del Daily News. In seguito alla morte della nipote a causa di un misterioso attacco cardiaco, comincia ad indagare scoprendo che altri tre amici della ragazza sono morti alla stessa ora e per lo stesso motivo. Sorprendentemente, Asakawa viene a sapere che, soltanto una settimana prima, i quattro amici avevano pernottato insieme in un villaggio turistico fuori città. Nonostante la percezione che qualcosa di maligno si stia avvicinando a lui, decide di continuare le indagini per scoprire la verità.

Arrivato nel cottage che aveva ospitato i quattro ragazzi viene attirato da una videocassetta senza etichetta: cercando di distogliere la mente dal caso, decide di guardarla. Una serie di immagini apparentemente innocue ma sottilmente disturbanti vengono riprodotte sullo schermo del televisore: un cerchio, dei dadi, un vulcano che erutta, dei numeri, il viso paonazzo di un uomo. Una scritta informa Asakawa che morirà tra una settimana esatta, dopodiché il video recita: “Se non vuoi morire, devi seguire queste istruzioni”. Purtroppo la cassetta si interrompe prima che possa rivelare la soluzione ad Asakawa.

Incredulo e terrorizzato, il giornalista si convince sempre più che la profezia della cassetta sia vera e che sia stata la visione di quest’ultima ad uccidere i quattro ragazzi che, secondo i calcoli, sarebbero morti esattamente sette giorni dopo la visione del video. Tornato a Tokyo, Asakawa decide di chiedere aiuto all’ex compagno di superiori Ryuji Takayama, professore cinico ed eclettico appassionato di occulto. Ora le indagini possono vertere solo su due punti fondamentali: chi ha creato la cassetta e per quale motivo. 

Man mano che le indagini proseguono, i due uomini giungono ad una conclusione: la videocassetta può essere stata creata solamente da un qualcuno che, grazie a poteri soprannaturali, è riuscito a incidere immagini mentali sulla pellicola. In un vortice di terrore che accompagna come una maledizione anche il lettore, Ryuji e Asakawa ricostruiscono la vita di una donna dal passato traumatico e di una maledizione che si espande come un virus…

La narrazione incessantemente rapida segue una linea ascendente che tiene il lettore ancorato al romanzo fino alla scoperta della tragica verità sulla maledizione. La trama intricata e perfettamente articolata fa impallidire lo storytelling dell’omonimo film statunitense, lasciando una sensazione di vuoto e pressione psicologica anche dopo il termine della lettura. Suzuki riesce a fabbricare una storia così realistica da entrare nella mente del lettore, facendogli dubitare di quale sia la realtà e quale la finzione.

Recensione di Martina Benedetta Calabrese

E voi come vivrete? – Yoshino Genzaburō || Recensione

Autore: Yoshino Genzaburō 

Traduzione: Silvia Ricci Nakashima

Editore: Kappalab

Edizione: 2019

Scritto nel 1937 da Yoshino Genzaburō, il romanzo E voi come vivrete? (titolo originale  君たちはどう生きるか, Kimitachi wa dō ikiru ka), fu concepito inizialmente come ultimo volume della collana editoriale Nihon shōkokumin bunko, (日本少国民文庫, Collana di libri per i giovani). Redatta da Yamamoto Yūzō nel 1930 in un clima di forte oppressione, essa rappresentò per l’ideatore un geniale strumento per aggirare la censura: infatti, Yoshino realizzò come la narrativa per bambini non fosse altrettanto soggetta a controllo da parte delle autorità e colse l’occasione per creare una serie di libri al fine di trasmettere conoscenze e idee di cultura libera e progressista ai bambini in età scolare in Giappone. Tuttavia, dopo la fine della Seconda guerra mondiale,  il libro fu sottoposto a una revisione lessicale e all’eliminazione dei riferimenti all’imperialismo giapponese, al capitalismo e alla lotta di classe. 

Il romanzo narra della quotidianità di Jun’ichi Honda, uno studente delle medie di 15 anni il quale, orfano di padre, è affidato alle amorevoli cure della madre e il fratello di quest’ultima, suo zio, che funge per lui da mentore e amico a cui confidarsi e chiedere consiglio. È proprio lo zio ad affibbiargli un buffo soprannome, “Coper”, ispirato al celeberrimo scienziato Copernico, in seguito a un commento del giovane di fronte alla suggestiva visione di una Tōkyō dall’alto: vedendo le macchine sfrecciare sotto di lui, veloci e numerose, minute così come i tetti dal cui caminetto si innalza un fumo pregno di vita, Coper non può fare a meno di sentirsi altrettanto piccolo. Microscopico, proprio come una molecola, appartenente a un sistema enorme che intreccia al suo interno miliardi di molecole, ovvero, esseri viventi come lui.

Lo zio, al quale il giovane confessa questa sua strana sensazione di vertigine dinanzi all’immensità dell’universo, rimane estremamente colpito dalla maturità del nipote ed è così che, da quella sera, comincia a scrivere i propri pensieri in un quaderno indirizzato a quest’ultimo, ormai divenuto Coper poiché, proprio come Copernico aveva rivoluzionato la scienza con la teoria eliocentrica, anche il giovane era stato in grado, da solo, di estraniarsi talmente tanto da se stesso da comprendere di non essere al centro dell’universo.

A partire da questa esperienza, che segna l’inizio di un percorso di crescita per Coper, la storia intreccia brillantemente capitoli dedicati alla vita del protagonista e dei suoi tre amici Mizutani (suo compagno fin dalle elementari), Kitami (con un cuore puro velato da un carattere irruento) e Urakawa (deriso dai compagni per le sue modeste estrazioni sociali), con capitoli dedicati alle riflessioni in prima persona dello zio, incentrate sulle condizioni, i tormenti e il valore dell’essere umano. Riflessioni che, egli spera, saranno utili a Coper per crescere e divenire un vero uomo maturo e di valore, con la raccomandazione che i suoi insegnamenti non si trasformino però in un carattere di facciata. Infatti “Coper, se non sarai onesto con te stesso, non avrà importanza quanto cercherai di pensare e parlare in modo rispettabile, perché sarà tutto una menzogna”.  

Fonte di ispirazione dell’ultimo film d’animazione “Il ragazzo e l’aironePremio Oscar di Hayao Miyazaki per lo Studio Ghibli dal titolo originale, appunto, Kimitachi wa dō ikiru ka (君たちはどう生きるか – E voi come vivrete?), il romanzo, attraverso l’utilizzo del “tu” è deliziosamente in grado di instaurare, celato dietro la dolcezza di un’intima lettera tra zio e nipote, un dialogo col lettore, interrogandolo direttamente sul significato e il valore della vita dell’uomo.

E voi, come risponderete?

Recensione di Rachele Cesarini

Red Girls – Sakuraba Kazuki || Recensione

Autrice: Sakuraba Kazuki

Traduzione: Anna Specchio

Editore: Edizioni e/o

Edizione: 2017

Il romanzo Red Girls di Sakuraba Kazuki (titolo originale 赤朽葉家の伝説, Akakuchiba ke no densetsu, “La leggenda della famiglia Akakuchiba”), è una saga familiare che narra di tre generazioni di donne nate nel dopoguerra, vincitore del Mystery Writers of Japan Awards. L’autrice è celebre nel panorama letterario giapponese per il romanzo My Man, storia di un amore incestuoso tra padre e figlia, con il quale ha vinto il Nobu Prize nel 2008. La prima parte del romanzo è ambientata negli anni Cinquanta in una piccola cittadina sulle colline del Chūgoku, Benimidori. La protagonista Man’yō viene adottata da una giovane coppia quando viene trovata di fianco a un pozzo appena neonata. Fin da subito, grazie alla sua pelle scura e ai suoi lineamenti marcati, si capisce che la bambina è figlia della “gente delle montagne”, probabilmente la popolazione Sanka, delle presenze misteriose e sfuggenti che si tengono ben lontane dagli abitanti della cittadina.

Alla sua origine peculiare si aggiunge anche il potere di chiaroveggenza che Man’yō dimostra di possedere: fin dall’infanzia, infatti, inizia ad avere visioni di un futuro nefasto. Nonostante la bassa posizione sociale della famiglia adottiva, Man’yō viene scelta come sposa dell’erede della nobile famiglia Akakuchiba, proprietaria della fonderia che domina il paese dall’alto della collina. Man’yõ diventa quindi la padrona di casa della sontuosa dimora Akakuchiba nel periodo che precede la crisi energetica, che metterà a dura prova la fonderia e gli ideali del dopoguerra.

Kemari, la figlia di Man’yõ, vive la sua adolescenza negli anni Ottanta, periodo in cui la fiducia nel futuro del dopoguerra fa spazio ad un senso di vacuità e disillusione. È il periodo di crescita della cosiddetta “subcultura delinquenziale”, di cui Kemari è l’evidente incarnazione. Nata sotto il segno del Cavallo di Fuoco, è una ragazza ribelle dal carattere impulsivo: alla tenera età di tredici anni è a capo di un gruppo di motocicliste minorenni che mettono a ferro e fuoco Benimidori e si lanciano in violente lotte tra bande.

È Toko, la figlia di Kemari, a raccontarci questa storia: si considera l’indegna nipote di Man’yō in quanto non possiede né i poteri di chiaroveggenza, né la forza d’animo della nonna. Ventenne e disoccupata per scelta, Toko inizia a sentire la pressione dell’enorme eredità che Man’yō le sta lasciando. Prima di morire, Man’yō pronuncia una frase davanti alla nipote: «Sono un’assassina.» Starà a Toko risolvere il mistero della grande padrona di casa Akakuchiba.

Red Girls intreccia un’atmosfera misteriosa e surreale ad un accurato studio della storia e della sociologia giapponese dal dopoguerra fino ai giorni nostri; i personaggi sono caratterizzati in modo superbo: le loro vicende narrano di una famiglia nobile a un passo dal cielo ma, in realtà, le loro paure e i loro sogni sono gli stessi di qualunque famiglia comune. Questi elementi portano il lettore a immergersi completamente nella storia e, alla fine del romanzo, a sentirsi parte della grande famiglia Akakuchiba.

Recensione di Martina Benedetta Calabrese

Il Sindaco della Notte – Unno Jūza || Recensione

Autore: Unno Jūza

Traduttore: Alberto Zanonato

Editore: Marsilio

Edizione: 2025

Serializzato sulla rivista Shinseinen dal febbraio al giugno del 1936, Il sindaco della notte (titolo originale 深夜の市長, Shin’ya no Shichō) è il primo romanzo lungo di genere mystery di Unno Jūza (1897-1949). Ancora poco conosciuto in Italia, Unno Jūza, pseudonimo di Sano Shōichi, è considerato il padre del romanzo fantascientifico giapponese.

In una prima parte della sua carriera si è concentrato sulla categoria del cosiddetto “giallo eterodosso” (honkaku tantei shōsetsu), che, piuttosto di basarsi su un metodo razionale di risoluzione di un enigma, più tipicamente occidentale, fa leva sugli elementi emotivi e irrazionali e sullo scioglimento del rompicapo dato dal caso. Il romanzo si colloca infatti in un periodo di sperimentazioni che esplorano il bizzarro, la stranezza e, di particolare interesse per l’autore, la fantascienza.

Il protagonista del romanzo, Asama Shinjūrō, è un apprendista ufficiale giudiziario, ma di notte diventa un autore di romanzi gialli sotto lo pseudonimo di Kigaya Aoni. Egli ama fare passeggiate notturne nella città di T. e, per questo motivo, ha anche elaborato una strategia per parcellizzare il suo sonno. È proprio durante una di queste passeggiate notturne che Asama, dopo aver sentito urlare, scopre un omicidio: due uomini stanno trasportando un cadavere che presenta un pugnale conficcato nella schiena. Il protagonista tenta di fermarli, ma i due riescono a fuggire e, al sopraggiungere della polizia, Asama rischia di essere scambiato per il colpevole e viene salvato da una figura misteriosa dalla folta barba, nota come il “sindaco” della notte, che domina la città dopo il calare del sole.

Dalla sera del delitto si susseguono una serie di avventure nella metropoli notturna che coinvolgeranno i due per svelare il mistero che si cela dietro l’omicidio. Allo stesso tempo, le attività notturne porteranno alla luce uno scandalo politico che coinvolge l’amministrazione cittadina. Il tutto è narrato a ritroso attraverso la voce di Asama, permettendo al lettore di comprendere le sue sensazioni, la sua curiosità (e allo stesso tempo perplessità) verso la figura del “sindaco” e il suo dilemma. Asama si ritroverà infatti ad un certo punto a metà tra il mondo diurno e quello notturno: dovrà decidere se portare avanti la sua carriera e raggiungere una posizione di spicco o abbandonare il suo lavoro a seguito di tutte le vicende che hanno avuto luogo alla luce della luna.

Una caratteristica che pervade l’intero romanzo è infatti la dualità: il contrasto tra l’apparente ordine della città e il caos che si cela nei vicoli bui, la figura del sindaco della città e il “sindaco” della notte, e la doppia identità di Asama. La narrazione mescola un linguaggio diretto ed evocativo al fine di evidenziare tale dualismo e, con questo sistema, il romanzo suggerisce che ci sia un mondo parallelo a quello diurno, con verità nascoste e scandali cittadini che solo chi vive nelle tenebre può conoscere, permettendo di porre una riflessione sull’idea di progresso e di corruzione.

Recensione di Valeria Varrenti

Il Cuore delle Cose – Natsume Sōseki || Recensione

Autore: Natsume Sōseki

Traduzione: Gian Carlo Calza

Editore: Neri Pozza

Edizione: 2006

Il romanzo Kokoro di Natsume Sōseki, (titolo reso in questa edizione con: Il Cuore delle Cose) venne pubblicato in Giappone per la prima volta nel 1914. Venne annoverato in poco tempo tra testi ‘canonici’ della letteratura giapponese postmoderna e tutt’oggi gli è riservato un posto di spicco nella letteratura nazionale. L’autore, Natsume Kinnosuke (1867 -1916) scrive sotto lo pseudonimo di Natsume Sōseki alcuni dei romanzi più rinomati del ventesimo secolo in Giappone, tra cui Io sono un gatto (1905) Il Signorino e Il Guanciale d’erba (1906).

Sōseki ci narra del rapporto tra un giovane ragazzo che studia a Tokyo e il suo sensei, un uomo in cui il protagonista e narratore del romanzo ha trovato un amico e guida spirituale. Già dal primo incontro dei due la figura del sensei si rivela centrale della narrazione, silenziosa ed enigmatica, spesso contraddittoria. Nel corso della storia si rimane stregati da questo personaggio che sembra avere nulla eppure molto da dire sulla vita e in particolare sulla società a lui contemporanea. Nell’ultimo terzo del libro le prospettive si ribaltano e i lettori vengono catapultati nella vita del sensei. Proprio questa si rivela il cuore della narrazione, durante la quale l’animo ed i pensieri del sensei finalmente ci vengono resi noti e attraverso i quali si intravede una realtà che fino a quel momento era stata abilmente nascosta ai lettori.

Uno dei temi centrali del romanzo, come in altri dell’autore, è il sentimento di disagio e repulsione verso l’epoca contemporanea a cui concorre la costante volontà di isolamento e la ricerca costante da parte dei protagonisti della propria identità. Soseki si fa narratore di sentimenti condivisi da molti autori del primo Novecento: il disagio del cambiamento, l’avversione verso i modelli occidentali e allo stesso tempo la consapevolezza di non potersi affidare alla tradizione. Il ‘dramma dell’uomo Meiji’ emerge dalle pagine del romanzo attraverso il personaggio del sensei, forse alter ego dello stesso Sōseki.

Il gesto finale del sensei diventa quindi metafora della transizione dai valori tradizionali ad una nuova e inarrestabile serie di cambiamenti nella società giapponese portati dal confronto e paragone con l’Occidente. Solamente nell’ultimo atto del sensei lui riesce, seppur a caro prezzo, nel processo di autorealizzazione che gli permette di prendere pieno possesso della propria esistenza durante un periodo di cambiamenti radicali, di individualismo ed egocentrismo che si stavano diffondendo sempre più nel Giappone Meiji.

Recensione di Valeria D’Alessandro