9 Marzo 2025 | Letteratura, Recensioni

Autrice: Togawa Masako
Traduttrice: Antonietta Pastore
Editore: Marsilio
Edizione: 2022
Pubblicato per la prima volta nel 1962, Residenza per signore sole (titolo originale 大いなる幻影, Ōinaru gen’ei) è un grande classico del noir giapponese, ricco di tensione e atmosfera, che ricorda i thriller di P.D. James, conservando però l’inconfondibile tocco di magia che continua a far innamorare della letteratura del Sol Levante le lettrici e i lettori di tutto il mondo.
Residenza per signore sole di Togawa Masako è un un mystery psicologico ambientato nella Tokyo degli anni ’50 in una tranquilla dimora per signore nubili. La Residenza K fu creata nel dopoguerra con lo scopo di agevolare queste donne dal punto di vista economico e offrire loro protezione e privacy. Appare a tutti come un luogo tranquillo per signore per bene, ma nasconde in realtà un passato sinistro.
La palazzina sta subendo dei lavori atti a farla scivolare di qualche metro rispetto alla posizione originaria, in modo da permettere di far passare una strada. Tuttavia i lavori potrebbero portare alla luce un crimine avvenuto anni prima, e con esso tanti altri segreti inconfessabili che le pareti spesse della Residenza K serbano con discrezione. Il racconto infatti si apre con un flashback in cui si assiste all’occultamento di un cadavere proprio all’interno della palazzina e che fino ad ora è rimasto silente.
Ognuna delle centocinquanta stanze della residenza è come un piccolo mondo che fluttua nell’immensa solitudine delle sue sue inquiline, donne sole che vivono rimpiangendo i tempi andati. Ciascuna di loro custodisce scrupolosamente oscuri segreti che rischiano di venire alla luce quando dalla portineria sparisce misteriosamente il passe-partout, la chiave universale che apre tutte le stanze, provocando in loro una profonda inquietudine. Questo evento unito allo spostamento dell’edificio fa presagire l’avvenimento di qualcosa di orribile.
La narrazione si sviluppa su diversi piani temporali che si intrecciano, ognuno caratterizzato da uno stile narrativo distinto. Si alternano la terza persona, utilizzata per raccontare eventi avvenuti anni prima dello spostamento del palazzo, e la prima persona, che dà voce al racconto di una delle portinaie. Si trovano inoltre estratti di lettere scritte da un’inquilina a persone esterne alla residenza, mentre la terza persona viene ripresa per narrare le vicende individuali di alcune protagoniste.
Lo stile è essenziale e incisivo, evocando un senso di disagio. Seguendo le vicende delle varie inquiline il lettore si trasforma in un osservatore furtivo, quasi un complice, che insieme a loro sbircia nelle stanze altrui con il cuore in gola per la paura di essere scoperto. Ci si muove attraverso corridoi oscuri, cortili silenziosi e stanze dimenticate, lasciandosi avvolgere dai sussurri che riempiono il vuoto.
La narrazione è molto scorrevole e, senza nemmeno accorgersi, si arriva nelle ultime pagine dove i fili della vicenda vengono riannodati, forse in modo troppo rapido. Ciò che colpisce è la capacità dell’autrice di delineare l’interiorità delle protagoniste, rendendole vive nelle loro insicurezze, nei loro segreti e nelle loro fragilità.
Recensione di Monica Andreolla
2 Marzo 2025 | Letteratura, Recensioni

Autrice: Ōta Yōko
Traduzione: Veronica De Pieri
Editore: Inari Books
Edizione: 2021
Il romanzo Città di Cadaveri (in giapponese Shikabane no machi) venne pubblicato inizialmente nel 1948, a soli 3 anni dalla catastrofe di Hiroshima e fu successivamente riproposto nella sua versione integrale nell’edizione del 1950, in cui compare per la prima volta la prefazione dell’autrice (in questa edizione è posta come prima postfazione). Ōta Yōko, giornalista e scrittrice, dopo aver vissuto in prima persona il bombardamento atomico si fa portavoce dei sopravvissuti di Hiroshima, gli hibakusha, e delle vicende che sono seguite al 6 agosto 1945.
La prima edizione del romanzo fu pesantemente censurata dai provvedimenti governativi e fu sfortunata nella ricezione a causa dell’atteggiamento discriminatorio verso i sopravvissuti al bombardamento. L’autrice stessa, ossessionata dal terrore di una possibile morte improvvisa a causa delle radiazioni, scrive il testo tra l’agosto e il novembre del 1945. Il romanzo si presenta come un resoconto dei giorni immediatamente successivi alla catastrofe fino ad un mese dallo scoppio della bomba. Esperienze personali si uniscono ad un report dallo stampo giornalistico che fanno del testo sia una testimonianza personale dell’autrice sia un reportage oggettivo dei giorni e mesi a seguito del bombardamento.
Il romanzo racconta l’esperienza dell’autrice che, a poca distanza dall’epicentro nel momento dello scoppio della bomba, si salva miracolosamente insieme alla madre e alla sorella. Ōta Yōko ci offre la sua testimonianza di quelli che sono stati gli strazianti minuti, giorni e settimane a seguito del disastro. Non solo ci viene narrata la sua esperienza, ma quella di molti altri hibakusha, sopravvissuti al bombardamento ma persi nella desolazione e nel dolore degli eventi. Racconta il dolore dell’umanità davanti al terrore e alla sofferenza della bomba atomica, ma anche la forza e resilienza necessari per continuare a vivere dopo aver visto la propria casa, la propria città ardere davanti ai propri occhi, senza sapere cosa ne è dei propri cari e cosa ne sarà del domani.
Ōta Yōko ci rivela grazie alla sua testimonianza la necessità di coltivare una memoria collettiva, ci racconta un tempo ormai passato che non può e non deve essere dimenticato. Il racconto sensibile ed allo stesso tempo apatico di Ōta si presenta come un tentativo di fornire un resoconto il quanto più oggettivo della situazione ad Hiroshima e riesce così catturare l’umanità che nel mare di devastazione causato dalla bomba atomica, persiste incessantemente nella ricerca della speranza di un futuro migliore.
Recensione di Valeria D’Alessandro
23 Febbraio 2025 | Letteratura, Recensioni

Autore: Oyamada Hiroko
Anno di pubblicazione: 2021
Traduzione: Gianluca Coci
Editore: Neri Pozza
Yoshiko è una giovane neolaureata in ambito umanistico che, seppur con un certo timore, accetta di lavorare per una fabbrica in città, nonostante il contratto a tempo determinato e le tante domande senza risposta circa quel luogo oscuro. La sua mansione? Distruggere documenti inserendoli in un macchinario, per tutto il giorno, dalle 9 alle 17:30. La stessa Yoshiko si chiede se una mansione del genere meriti addirittura uno stipendio.
Anche Yoshio inizia a lavorare per la fabbrica, come biologo esperto di muschi. La sua mansione? Dirigere l’ambiguo ufficio “sviluppo tetti verdi” totalmente da solo, dal momento che prima del suo arrivo tale ufficio nemmeno esisteva. È davvero questo lavoro ciò per cui dovrebbe gioire un giovane brillante come lui, secondo il professore universitario che lo aveva incoraggiato ad accettare l’offerta? Non vede come ciò sia meglio di fare ricerca nella sua piccola e poco rinomata università.
Ushiyama, invece, aveva già un lavoro stabile, circondato dai computer, oggetti per cui aveva dedicato praticamente tutto se stesso, ma un licenziamento in tronco senza alcuna spiegazione lo ha condotto alla fabbrica. La sua mansione? Correggere bozze al reparto “dati e documenti” della fabbrica. Da circuiti, schede madri e schermi a tradizionali carta e matite, tutto il giorno, anche quando errori nelle bozze non ce ne sono. Dovrebbe ritenersi fortunato? Non sa bene cosa pensare.
La fabbrica è lo specchio della condizione lavorativa del Giappone contemporaneo, la rappresentazione di come dedicarsi solo ed esclusivamente al lavoro sia a dir poco alienante e controproducente. Nonostante la fabbrica sia grande e rifornita come una città, nonostante goda di un apparato di risorse umane a dir poco eccellente, nonostante i servizi che offre. I tre protagonisti, infatti, si sentono a dir poco dei pesci fuor d’acqua in mezzo ai colleghi che paiono perfettamente integrati – e sottomessi – alla mole e alle condizioni di lavoro di quel luogo così strano, inquietante e ricoperto quasi da un velo mistico. Si troveranno spesso a riflettere sulla loro condizione, osservando la natura che circonda quegli edifici, e il ponte a due corsie così grande da creare un senso di vertigine, specialmente in Yoshiko, alla sola vista. Chissà cosa si cela al di là di quel ponte, e cosa sono questi uccelli strani…e perché mai dovrebbero esserci le nutrie? In Giappone, poi. Oh, e qualcuno ha mai capito di che cosa si occupi la fabbrica? – l’immaginazione è tutto ciò che resta ai tre giovani.
La scrittura di Oyamada rende questo libro una lettura a dir poco innovativa e accattivante, volutamente lenta e “monotona”, raccontando anche fatti all’apparenza poco importanti, e rendendoci partecipi dei pensieri di ogni personaggio. Il fine è quello di suscitare nel lettore lo stesso senso di alienazione provato dai tre protagonisti, il ritrovarsi totalmente spaesati e vedere le proprie certezze crollare di fronte a una realtà ben diversa da quella a cui si è abituati secondo le tipiche narrazioni. Si è, di conseguenza, invogliati a voltare pagina, con la curiosità e l’impegno di voler sapere di più circa quella strana fabbrica.
Il finale, come spesso accade nella letteratura giapponese, è aperto, ma l’idea di fondo della denuncia sociale è assolutamente tangibile: l’autrice illustra le condizioni che moltissimi giovani sono costretti ad accettare, senza alternative, a fronte di una società che basa il valore degli esseri umani sul possedere un contratto a tempo indeterminato in una grande azienda, possibilmente una multinazionale. Oyamada provoca il lettore, lo invita ad aprire gli occhi davanti al problema che, come comunità umana, si ha e si deve affrontare, e lo fa con un racconto breve, da leggere in un fine settimana, ma che aleggerà nei vostri pensieri per ben più tempo.
Una lettura totalmente consigliata per esplorare gli aspetti più sociologici del Giappone odierno.
Recensione di Alessandra Bertonazzi
16 Febbraio 2025 | Letteratura, Recensioni

Autrice: Kirino Natsuo
Traduzione: Gianluca Coci
Editore: Neri Pozza
Edizione: 2011
Kirino Natsuo, una delle voci più intense del noir giapponese contemporaneo, con “Una storia crudele“, presenta un romanzo che sfida il lettore ad immergersi in un racconto oscuro e ambiguo. Lontano dai thriller convenzionali, questo libro si distingue per la sua capacità di mescolare psicologia, tensione e introspezione in una narrazione stratificata e ipnotica.
“Una storia crudele” di Kirino Natsuo è un thriller psicologico che esplora il confine tra realtà e finzione. Una scrittrice affermata, segnata da un passato travagliato, scompare misteriosamente, lasciando dietro di sé un manoscritto inquietante. Mentre il marito e un editore cercano di
comprenderne il contenuto, emergono verità scomode e ambigue. Ciò che colpisce maggiormente è la costruzione della protagonista, un personaggio complesso e stratificato che sfugge a facili classificazioni. Kirino evita di dipingere figure
stereotipate, preferendo esplorare le contraddizioni e le ambiguità della psiche umana. Anche i personaggi secondari, pur meno centrali, sono tratteggiati con grande attenzione, contribuendo a creare un mosaico di relazioni e dinamiche psicologiche affascinanti.
Attraverso una narrazione stratificata, il romanzo indaga memoria, trauma e potere delle storie nel plasmare la realtà.
La struttura del romanzo è una delle sue caratteristiche più affascinanti. Kirino gioca con ilconcetto di metanarrazione, intrecciando presente e passato, verità e finzione, attraverso un espediente narrativo che trascina il lettore non labirinto di segreti, per costruire un racconto
che si svela lentamente.
A differenza di un classico thriller, il romanzo non punta su colpi di scena frenetici o su un ritmo incalzante, ma gioca sulla tensione psicologica e sull’ambiguità narrativa. La scrittura di Kirino è chirurgica: non c’è spazio per il superfluo, ogni parola è pensata per insinuare dubbi e lasciare spazio all’interpretazione, contribuendo a creare un’atmosfera a carica di tensione, sospesa tra inquietudine e malinconia. L’intreccio è studiato per disorientare il lettore, conducendolo gradualmente verso una realtà sempre più sfuggente.
Ciò che rende “Una storia crudele” un’opera così potente è la sua capacità di affrontare temi profondi senza mai cadere nel sensazionalismo. Kirino esplora il trauma, la memoria e il potere della scrittura come mezzo per elaborare il passato. Il romanzo non offre risposte definitive, ma costringe il lettore ad interrogarsi sulla natura della verità e sulla complessità
delle esperienze umane.
“Una storia crudele” è un thriller psicologico che lascia il segno.
Con la sua scrittura asciutta e tagliente, Kirino costruisce una storia che trascina il lettore in un’atmosfera cupa e disturbante, dove il confine tra verità e illusione si fa sempre più sottile. Kirino Natsuo confeziona un thriller psicologico sofisticato, in cui la tensione non nasce dall’azione ma dall’introspezione e dalla complessità dei suoi personaggi. Il romanzo si sviluppa come un’indagine sulla mente umana, affrontando temi delicati e
profondi con uno stile elegante e incisivo, attraverso storie psicologicamente complesse è un tipo di narrazione che mette in discussione la percezione e la realtà.
Recensione di Giulia Erriquez
12 Gennaio 2025 | Letteratura, Recensioni

Autore: Matsumoto Seichō
Traduzione: Gala Maria Follaco
Editore: Adelphi
Edizione: 2018 (ebook)
Ten to Sen (tradotto in inglese con il titolo di “Tōkyō Express”) si apre con la morte di un funzionario del Ministero dei Trasporti trovato accanto al cadavere di una donna che pare essersi suicidata insieme a lui, sulla costa di Kyūshū. La cosa viene archiviata come un suicidio d’amore, ma l’ispettore Torigai, protagonista del libro, sospetta che la tragica vicenda non sia in fondo quello che appare.
Pubblicato nel 1958, il testo presenta una quasi ossessiva descrizione di puntualità e progresso tecnologico in un paese che si trova a dover fare i conti con il cambiamento: Matsumoto ci porta, in una corsa contro il tempo e contro gli orari dei treni, in un viaggio attraverso il Giappone del Secondo Dopoguerra, in una narrazione avvincente che denota una profonda denuncia sociale.
L’isolamento del viaggiatore riflette la medesima precarietà di un mondo che si trova a dover ricostruirsi dopo la distruzione che la guerra ha arrecato: siamo partecipi di una società in cui il senso del dovere deve venire a compromessi con la corruzione e l’ambizione personale, in un mondo sospeso tra interessi contrastanti, in cui l’unico conforto pare essere dato dalla precarietà stessa, dalle fredde luci al neon dello spazio liminale delle stazioni alle viste paesaggistiche della costa giapponese, in una profonda malinconia.
Il graduale susseguirsi delle vicende premia il lettore attento e paziente: Matsumoto è in grado di creare una graduale tensione, che attraverso ogni singolo dettaglio si risolve in un finale dove tutti i pezzi combaciano, ma che riesce tuttavia a sconvolgere il lettore più attento.
Un romanzo meticolosamente architettato, un’indagine dal ritmo calcolato, resa viva dallo spaccato di vita quotidiana che Matsumoto così abilmente dipinge: un romanzo degno dell’attenzione che esso stesso esige dai suoi lettori.
Recensione di Francesco Meco
29 Dicembre 2024 | Letteratura, Recensioni

Autore: Yuzuki Asako
Traduzione: Bruno Forzan
Editore: HarperCollins
Anno: 2024
Rika è una giovane giornalista, incaricata di indagare su una donna, Kajii Manako, accusata di aver manipolato e successivamente ucciso diversi uomini, utilizzando come strumento di seduzione il cibo. Al fine di scrivere un articolo interessante e di farsi sempre più largo in un ambiente lavorativo dominato principalmente da uomini, intrattiene una corrispondenza con Manako, andando persino a trovarla più volte in carcere. Quest’ultima non ha intenzione di rivelare assolutamente niente, specialmente a una giornalista a cui stanno a cuore i diritti delle donne – Manako, infatti, disprezza qualsiasi cosa abbia a che fare con il femminismo e la parità di genere. Ciò che veramente l’appassiona e di cui parlerebbe volentieri è la cucina. Tante sono le ricette che suggerisce di provare a Rika, e quest’ultima obbedisce, vittima delle capacità manipolatorie della donna da un lato e curiosa di sapere cosa si cela dietro gli omicidi dall’altro. Quello che hanno in comune queste ricette, che spaziano dal dolce al salato, è un ingrediente in particolare: il burro. Per quale motivo Manako si è servita proprio del burro e di pasti preparati con amore per commettere un crimine tanto oscuro? Che cosa si nasconde realmente dietro tutto questo?
Tra interviste, confronti con la propria migliore amica e riflessioni personali, Rika verrà trascinata in un turbinio di esperienze e sensazioni, mettendo in discussione la propria morale e venendo a conoscenza di lati di sé che mai aveva indagato prima. Tra questi la ricezione – in parte cosciente – alla manipolazione, e persino la sfera sessuale. A fare da sfondo è la capitale nipponica contemporanea, ricca di spunti per ragionare su questioni attuali, che stanno interessando sempre di più una società in costante trasformazione.
Uno degli aspetti più affascinanti di Butter è la capacità dell’autrice di coinvolgere il lettore, tenendolo con il fiato sospeso in più e più occasioni, tramite un linguaggio semplice, ma preciso e sensoriale. La tensione nelle interviste di Rika a Manako in carcere e la descrizione dei piatti di cui l’assassina si è servita sono perfettamente tangibili, e non fanno altro che invogliare il lettore a voltare pagina per scoprire la verità.
Il libro si distingue anche per la profondità dei temi trattati. Yuzuki Asako ci invita, infatti, a esplorare le complessità delle relazioni umane e delle aspettative sociali. Lo si vede bene osservando l’evoluzione della protagonista, la cui vita scandita dalla solita routine viene messa a soqquadro dalla relazione con Manako. Tutte le sue certezze non sono più tali di fronte a una miriade di nuovi stimoli, che Rika decide di affrontare a testa alta per venire a capo di questo pluriomicidio mai visto prima. Questo la rende un’opera che non solo intrattiene, ma stimola anche una riflessione profonda.
Butter è perfetto per chi ama i romanzi che sfidano le convenzioni e lasciano il segno. È un libro che parla al cuore, alla mente e sicuramente anche al palato, un libro che fa sorgere mille quesiti e attiva la mente dei suoi lettori a spingersi sempre oltre. Se cercate un romanzo originale, che sfida misoginia e stereotipi e, perché no, che vi faccia fare un giro nella cultura gastronomica giapponese, Butter è la scelta migliore.
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