Nuotare con un elefante tenendo in braccio un gatto
Autore: Ogawa Yōko
Titolo originale: 猫を抱いて象と泳ぐ (Neko wo Daite Zō to Oyogu)
Editore: Il Saggiatore
Collana: La Cultura
Traduzione: Laura Testaverde
Edizione: 2015
Pagine: 237
Il romanzo ha come protagonista un bambino, di cui non sappiamo il nome, che ha una particolarità fisica piuttosto bizzarra. Appena nato, le sue labbra sono completamente serrate. I medici lo operano immediatamente, e per ricostruire le labbra lacerate utilizzano un pezzo di pelle asportato dallo stinco del neonato. Questo causerà la crescita, seppur lieve in un primo momento, di una leggera peluria sulle sue labbra. Come se non bastasse questo a renderlo bersaglio dei suoi coetanei a scuola, il bambino è molto taciturno e non ha amici o passatempi. Gli unici con cui si sente a suo agio sono Indira, un’elefantessa morta molto tempo prima sul tetto dei grandi magazzini, e Mummia, una misteriosa bambina rimasta intrappolata nello spazio stretto fra i muri di due abitazioni, una delle quali è proprio quella del nostro protagonista. In lui cresce quindi l’idea che la parola non sia necessaria di per sé, e che sarebbe stato meglio rimanere nel silenzio della sua bocca chiusa, come quando era un neonato.
Il poeta sotto la scacchiera
Ciò che cambia per sempre la sua vita, è l’incontro col Maestro, un ex-conducente che vive in un vecchio autobus fuori servizio assieme al suo gatto bianco e nero, Pedone. Qui, accompagnato dalle golose merende del Maestro, il bambino imparerà a giocare a scacchi sul suo tavolino-scacchiera. Mostra subito una predisposizione naturale, ma qualcosa sembra non funzionare. Durante le partite, il bambino sente un’ansia schiacciante che non gli permette di concentrarsi al meglio. Decide quindi di accovacciarsi sotto al tavolino e di prendere in braccio Pedone, cercando di tranquillizzarsi. Il Maestro non dice nulla, come se capisse la naturalezza di quel gesto, e il bambino ritrova la serenità. Riesce a immaginare la scacchiera guardando la superficie inferiore del tavolo e a capire le mosse dell’avversario dal solo suono che emettono i pezzi. Sarà il primo passo perché gli venga attribuito, in omaggio al magnifico “poeta sulla scacchiera”, il famoso scacchista russo Aleksandr Alechin, il soprannome di Little Alechin, il “poeta sotto la scacchiera“.
Il mare degli scacchi
La metafora più ricorrente del romanzo è quella del “mare degli scacchi“. Il gioco infatti non viene percepito come tale, o come semplice sport, ma come l’esplorazione di un infinito mare di possibilità. Un luogo in cui nuotare da soli può sembrare spaventoso, ma che per il bambino non è così. Lui ha con sé Indira, Mummia e Pedone, una squadra formidabile in grado di trovare un varco di luce anche nel buio del fondale marino. Il Maestro gli ha insegnato a nuotare, ma col tempo il bambino dovrà imparare a cavarsela da solo, cercando di fare sempre “la mossa migliore, non la più forte“.
L’uomo lanciò il bambino nel mare degli scacchi e lo guidò nel tracciare un percorso ineguagliabile senza intimorirsi al cospetto di nessuna fossa oceanica, per quanto profonda, e di nessuna corrente, per quanto fredda.
L’automa
Nonostante giocare sotto alla scacchiera sia la base della strategia del ragazzo, si renderà presto conto che nessun circolo potrebbe mai accettare una condizione simile. Ma ecco che arriva l’idea, presa in prestito dall’inventore ungherese Wolfgang von Kempelen: il Turco.
Il Turco
Il Turco fu un automa costruito nel 1769 dal barone von Kempelen per l’imperatrice Maria Teresa d’Austria, che ne rimase subito affascinata. Era composto dal pupazzo di un uomo mediorientale con tanto di turbante, attaccato a una cassa di legno con scacchiera, che al suo interno rivelava i complessi marchingegni atti a farlo muovere. Ciò che mancava, era la presenza dell’uomo. Si diceva che potesse giocare a scacchi in completa autonomia e senza perdere mai. Incontro dopo incontro, la sua fama crebbe, tanto da farlo girare in tutta Europa e sbarcare negli Stati Uniti. Fra i personaggi più celebri che persero contro di lui, ricordiamo Giorgio III, Benjamin Franklin, Napoleone e Federico II di Prussia. Per molto tempo il Turco Meccanico venne studiato dalle più grandi menti, perfino da esorcisti, ma senza capirne il funzionamento. La svolta arrivò con le intuizioni di Edgar Allan Poe, che capì in che modo il giocatore “umano” all’interno della macchina riuscisse a muoversi e a mascherare la sua presenza. Il Turco venne avvolto dalle fiamme di un incendio nel 1854 e sarà il figlio dell’ultimo proprietario a fornirci ulteriori dettagli sull’invenzione qualche anno dopo.
Little Alechin
Al circolo di scacchi decidono quindi di costruire un automa sulla falsa riga del fantoccio messo a punto dal barone, in cui il bambino possa giocare indisturbato. Collegato al tanto amato tavolino-scacchiera del Maestro e tenendo in braccio la riproduzione di Pedone, si rivela il nascondiglio perfetto. E quale volto migliore di Aleksandr Alechin? Da qui, Little Alechin comincia a manovrare i meccanismi interni di Little Alechin, sfruttando la dimensione ridotta del suo corpo. Ma a differenza dell’automa originale, non sono necessarie scacchiere o candele per creare le condizioni agevoli per riprodurre la partita all’interno della cassa di legno. Il bambino continua a giocare guardando la faccia inferiore della scacchiera, immerso nell’oscurità, nuotando con i suoi affetti più cari nell’immenso mare degli scacchi.
Conclusione
Ognuno dei personaggi che incontreremo in questo viaggio, avrà un’idea tutta sua degli scacchi. Ma fra di loro, una costante rimane irremovibile. Gli scacchi sono l’espressione della libertà più pura dell’individuo, sotto forma di una semplice griglia 8×8. E Ogawa Yōko riesce alla perfezione a trasmettere questa sensazione, in un susseguirsi di mosse mozzafiato destinate a far innamorare.
Libro consigliato agli appassionati e non, perché sarà un vero piacere per tutti perdersi, almeno per un po’, nel meraviglioso mare degli scacchi sotto la guida del nostro Little Alechin.
— recensione di Laura Arca
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