37 Seconds ー HIKARI

37セカンズ

37 Seconds

(Giappone, 2019)

Regia: HIKARI

Cast: Kayama Mei, Kanno Misuzu, Daitō Shunsuke, Watanabe Makiko

Genere: drammatico

Durata: 115 minuti

37 Seconds è un film di genere drammatico del 2019 diretto dalla regista HIKARI. È stato presentato alla 69ᵃ edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino dove ha vinto il Premio CICAE (Confederazione Internazionale dei Cinema d’Essai) e il Premio del pubblico nella sezione Panorama. Nel 2020 è reso disponibile dalla piattaforma Netflix sottotitolato in italiano.

Il viaggio di Yuma

Yuma (Kayama Mei) è una mangaka che vive sulla sedia a rotelle a causa di una paralisi cerebrale infantile. La giovane è una scrittrice brillante, con ottime capacità grafiche e un grande immaginario visivo, ma lavora come ghostwriter. A prendersi il merito del suo lavoro è invece Sayaka, ragazza di bella presenza. Intrappolata dalla società e dagli obblighi familiari, sogna un giorno di riuscire a diventare un’autrice di successo e di condurre la sua vita secondo i propri termini. Dopo un colloquio con la redattrice di una rivista di manga erotici, che definisce le sue raffigurazioni di atti sessuali non abbastanza realistiche,  viene esortata a tornare quando avrà fatto più esperienza. Ma Yuma è decisa a prendere in mano la sua vita, e tra battute d’arresto e una prima esperienza fallimentare con un gigolò, intraprende un insolito viaggio verso la libertà sessuale e la liberazione personale. Grazie all’aiuto dei suoi nuovi amici Toshiya (Daitō Shunsuke) e Mai (Watanabe Makiko), Yuma raggiunge l’emancipazione tanto desiderata, ma con essa tornerà a galla anche un traumatico segreto di famiglia.

Voci nascoste

I paesi di cultura buddhista sono stati più lenti rispetto all’Occidente a riconoscere i diritti delle persone diversamente abili. Secondo la concezione della reincarnazione, infatti, gli handicap sono visti come una punizione dovuta a malefatte compiute nelle vite precedenti, e il Giappone non fa eccezione. 37 Seconds si pone proprio l’obiettivo, come dichiara la regista, di dare voce a chi tendenzialmente viene nascosto dalla società e non solo; a parlare anche della sfera sessuale e del desiderio di emancipazione presente in queste persone, come in chiunque altro.

Due mondi

Nella costruzione di questo particolare Bildungsroman, HIKARI spezza il film in due sequenze. Una prima parte caratterizzata da uno stile abbastanza aggressivo, puro pop nipponico, in linea con l’immaginario dei manga proprio della protagonista. Le immagini della città o dei palazzi sono spesso avvicinate a immaginari infantili: gli ambienti sono filtrati dall’occhio della protagonista, con sovrapposizioni di elementi fantascientifici, creando interessanti ibridi di staticità e movimento. Il cambiamento dei toni della seconda parte è evidente: il ritmo della narrazione rallenta e si carica di emozioni intense, non più mitigate dall’ironia delle prime sequenze. La parte del viaggio in Thailandia pone una netta contrapposizione tra i paesaggi metropolitani giapponesi, vivaci e incalzanti come la prima parte del film, e il paesaggio naturale thailandese, che ben si sposa con il tono più contemplativo e meditativo di queste sequenze.

— recensione di Vittoria Foschi


Guarda anche:

Iwaki Kei – Arrivederci Arancione

Autrice: Iwaki Kei

Traduttrice: Anna Specchio

Titolo originale: さようなら、オレンジ (Sayōnara, orenji)

Editore: E/O

Collana: Dal mondo

Anno edizione: 2018

Pagine: 158

 

Australia, oggigiorno vista da molti come la nuova America, una terra piena di opportunità. È qui che Iwaki Kei (scrittrice giapponese trasferitasi stabilmente sul suolo australiano) articola le vicende di Salima e Sayuri, due immigrate dai background diametralmente opposti, ma animate dalla stessa determinazione.

Protagoniste agli antipodi

Il libro presenta una storia bipolare: da una parte abbiamo le vicende di Salima, immigrata da un paese africano in guerra (del quale non si saprà mai il nome). Una donna forte, che porta con sé le cicatrici di un passato duro e di un presente avverso, dove la sopravvivenza è una questione da affrontare prettamente in solitaria (il marito la lascia poco dopo l’arrivo nel nuovo paese). Oltre al peso dei figli da crescere, Salima si vede costretta in poco tempo a rimboccarsi le maniche e a fronteggiare lo scoglio della nuova lingua, la repulsione verso il nuovo lavoro e un crescente senso di solitudine e di emarginazione. Dall’altro lato abbiamo Sayuri, neo-mamma giapponese e moglie di un brillante professore universitario, ritrovatasi in Australia per seguire il marito. Nella sua quotidianità sogna ardentemente di scrivere un libro, ma senza successo. Inoltre, nonostante la sua vita possa sembrare assai più rosea dell’altra protagonista, la solitudine e il fato avverso la catapulteranno in un baratro da un momento all’altro, costringendola a un percorso di risalita impervio dove acquisterà man mano sempre più coscienza di se stessa.

Il filo conduttore che unisce le due donne, oltre alle avversità della vita più o meno marcate e un evidente senso di estraneità verso il nuovo ambiente, è un corso di inglese che entrambe decidono di frequentare, dove si conosceranno sviluppando una sorta di legame. Lungo la vicenda saranno supportate da Paola, una compagna di corso, e dall’affabile professoressa McDonald.

Due tecniche di narrazione

Le due protagoniste hanno tecniche narrative differenti l’una dall’altra: Salima gode nei suoi capitoli di un narratore in terza persona, che tuttavia non è completamente esterno ed oggettivo. Infatti, i vari personaggi hanno tutti dei soprannomi dettati dall’impressione che hanno dato alla protagonista (ad esempio, Sayuri nei capitoli di Salima viene chiamata “riccio”). Di Salima conosciamo la sua quotidianità nella sua interezza, dal risveglio all’alba per andare al supermercato a lavorare fino alla sera, al ritorno dopo il corso di inglese. Per quanto riguarda Sayuri, i suoi capitoli sono strutturati in lettere che lei stessa scrive al suo professore di scrittura creativa, il professor Jones. Abbiamo quindi un’impostazione molto più personale e meno ampia, ma che sicuramente ben si addice a una protagonista acculturata e con la passione della scrittura come lei.

Personaggi di supporto ben sviluppati

Interessante il fatto che non siano solo le storie delle due protagoniste a godere di una introspezione ben sviluppata, ma pure i personaggi secondari vengono approfonditi, permettendo al lettore di avere un quadro completo e di conoscere così ogni loro sfaccettatura.

È il caso di Paola, immigrata italiana e compagna di corso di Salima e Sayuri. Nonostante venga presentata come la classica donna italica in là con gli anni, sempre solare e con un profondo istinto materno, man mano che la trama prosegue si scoprono i suoi problemi e la sua depressione.

Altro personaggio di spessore è il camionista che vive nello stesso stabile di Sayuri. Il suo aspetto spaventoso e il suo passato da carcerato vengono messi in discussione quando rivela di possedere un cuore d’oro. Sarà proprio lui, infatti, a difendere Sayuri dal burbero batterista della porta accanto, e in cambio chiederà alla donna di leggergli qualcosa ogni tanto in quanto impossibilitato dal suo analfabetismo.

Per finire, l’enigmatico direttore di Salima, che malgrado il distacco dettato dal suo ruolo si avvicina lentamente alla donna, finendo per assumere connotati sempre più familiari ed informali.

Il problema della comunicazione

Uno dei temi al centro della vicenda è proprio la comunicazione, e non solo quella puramente dettata dalla sfera linguistica. Salima, per esempio, oltre a dover imparare a comunicare in inglese e far fronte al suo analfabetismo, si ritrova a fronteggiare anche il problema di stabilire un dialogo tra lei e i suoi stessi figli, molto più integrati nella cultura del nuovo paese rispetto alla madre. Questa sorta di barriera generazionale non faciliterà il rapporto familiare, portando Salima vicina alla perdita dei figli.

Sayuri d’altro canto è molto più avanti rispetto alla collega per quanto riguarda l’inglese, ma anche lei non è esente dall’isolamento. Infatti, si percepisce chiaramente il senso di solitudine della donna, che passa le sue giornate praticamente da sola ad accudire la neonata e a frequentare questo corso di inglese. È infatti curioso notare come la lingua in generale per lei non sia un problema, ma ciò non le impedisce di avere sempre questa sorta di “barriera” che le fa avere solo contatti sporadici coi suoi vicini di casa e con le compagne di corso.

Le donne e la loro straordinaria forza

Arrivederci Arancione è un libro dalle tante voci e dalle tante nazionalità, dove emerge chiaramente tutta la forza e la determinazione che una donna, indipendentemente dalla sua provenienza o dalle sue esperienze, può avere per fronteggiare le avversità della vita. Importante anche il tema di attualità trattato: l’immigrazione e l’integrazione all’interno di una nuova cultura estranea, non sempre favorito dall’ambiente circostante e dalla collettività.

Iwaki Kei ci insegna come le avversità che la vita ci propina possono essere sconfitte tramite la solidarietà di chi ci sta intorno, di chi sta probabilmente affrontando una battaglia simile alla nostra indipendentemente dalla diversità di background.

 

— recensione di Matteo Calzati


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Spitz (スピッツ)

Gli Spitz sono una band rock nata a Tokyo nel 1987 e formata da quattro studenti universitari: Kusano Masamune, voce del gruppo, ma anche chitarrista insieme a Miwa Tetsuya, Tamura Akihiro al basso e Sakiyama Tatsuo alla batteria. Sin dalla sua nascita, la band non ha mai interrotto la propria carriera e sono tuttora attivi all’interno del panorama musicale giapponese.

 

La nascita e il debutto

Kusano Masamume e Tamura Akihiro si incontrano nel 1986, entrambi studenti alla Tokyo Zokei University, dove decidono di formare insieme all’amico batterista Ono Atsushi il trio “Cheetahs”. La neo-band inizia ad esibirsi interpretando in chiave hard rock pezzi appartenenti al genere kayōkyoku, base dell’attuale J-pop, e folk rock tipici soprattutto degli anni ’60 e ’70. Poco dopo a loro si unisce anche il chitarrista Nishiwaki Taku, elemento fondamentale che permette a Kusano di concentrarsi maggiormente sul suo ruolo da cantante. Cambiano anche il nome e da Cheetahs diventano gli Spitz, però la decisione di Kusano di cambiare università porta all’immediato scioglimento della band.

Nonostante questo Kusano e Tamura non si separano e portano avanti il loro progetto musicale. In brevissimo tempo a loro si uniscono il chitarrista Miwa Tetsuya e il batterista Sakiyama Tatsuo, dando vita agli Spitz che oggi conosciamo.
Musicalmente e artisticamente influenzati da una delle band punk rock più famose del momento, “The Blue Hearts”, gli Spitz iniziano ad esibirsi negli storici locali di Shinjuku e Shibuya a partire dal 1988. Questo ambiente rappresenta una formazione primaria che porta allo sviluppo di uno stile proprio, grazie anche alla voce soft e malleabile di Kusano che si presta molto bene alla sperimentazione.
Nel 1991 esce il loro primo album eponimo pubblicato sotto l’etichetta discografica della Polydor Records, parte della Universal Music Group. Il riscontro positivo porta l’album al 60° posto nella classifica Oricon, mentre più recentemente, nel 2007 la rivista Rolling Stone Japan l’ha posizionato 94° nella classifica dei migliori 100 album rock giapponesi di tutti i tempi.

 

Il successo

Il successo della band arriva nell’aprile del 1995 con il rilascio del singolo Robinson (ロビンソン), contenuto nel loro 6° album intitolato Hachimitsu (ハチミツ). Il singolo si piazza al 9° posto della classifica Oricon e l’album vende quasi due milioni di copie. Nell’ottobre dello stesso anno parte anche il loro primo tour a lungo termine che li vede impegnati in 40 tappe. Ad accrescere la fama della band sono anche le numerose sigle che usano i loro pezzi, a partire dal singolo che dà il nome all’album, usato dalla Fuji Television per l’anime “Honey and Clover”.

Album dopo album, il successo degli Spitz cresce sempre di più, grazie anche alla loro volontà di reinventarsi e non omologarsi mai. Nel 1997, a dieci anni dalla loro nascita, la band si esibisce in un concerto live improvvisato nel Shinjuku Loft per ricordare l’inizio della carriera e nello stesso anno inaugura anche la Rock Rock Konnichiwa (ロックロックこんにちは) a Osaka, manifestazione simbolo del mondo della musica anticonvenzionale del momento.

 

SazanamiCD

Il loro 12° album, SazanamiCD (さざなみCD) viene rilasciato nell’ottobre del 2007 sotto l’etichetta discografica della Universal Music. Il disco contiene tredici tracce:

1. Boku no Guitar (僕のギター)
2. Momo (桃)
3. Gunjou (群青)
4. de.Na.de Boy (Na.de.Na.deボーイ)
5. Looking for (ルキンフォー)
6. Fushigi (不思議)
7. Ten to Ten (点と点)
8. P
9. Mahou no Kotoba (魔法のコトバ)
10. Tobiuo (トビウオ)
11. Nezumi no Shinka (ネズミの進化)
12. Sazanami (漣)
13. Sabaku no Hana (砂漠の花)

SazanamiCD è stata una gradevole scoperta per la leggerezza che trasmettono i pezzi. In questo caso il genere rock-pop si espande per inglobare al suo interno anche il ritmo delle ballate tipicamente scozzesi di Donovan, al quale gli Spitz si sono sempre ispirati.
La melodia semplice si adatta perfettamente alla voce di Kusano e viceversa, senza mai annoiare l’ascoltatore, che al contrario prova una sensazione piacevole, elettrizzante dal primo all’ultimo brano.

 

— recensione di Roxana Macovei.


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Avviso Lezioni serali di giapponese

A seguito delle recenti misure adottate dal Governo Italiano al fine di contenere il contagio del Covid-19, si comunica che le lezioni serali di lingua giapponese si terranno, sempre lunedì dalle 20 alle 22, in modalità online.
Associazione Culturale Takamori

Per info scrivere a: info@takamori.it

Oh Lucy! – Una parrucca e la ricerca della felicità

Oh Lucy! (2018) 

オー・ルーシー!

di Hirayanagi Atsuko 平柳敦子

con Terajima Shinobu 寺島しのぶ, Josh Hartnett Yakusho Kouji 役所広司

Una donna invisibile

Kawashima Setsuko (Terajima Shinobu) è una donna di mezza età priva di stimoli: accanita fumatrice, vive sola in un caotico appartamento di Tokyo. Durante il giorno, lavora come semplice impiegata in un ufficio dove l’ipocrisia la fa da sovrana. Nonostante la capitale sia piena di opportunità, la sua vita sembra un totale fallimento. L’unica persona a lei vicina è la nipote Mika (Kutsuna Shiori), figlia di sua sorella maggiore Ayako (Minami Kaho); la ragazza lavora come cameriera e, per poter risparmiare il più possibile, è stata costretta ad abbandonare il ciclo di lezioni annuali di inglese al quale si era iscritta tempo prima. Su richiesta della nipote, essendo il corso altrimenti non rimborsabile, Setsuko decide pertanto di provare lei stessa una prima lezione gratuita.

 

La nascita di Lucy

All’ingresso dell’aula (situata in una sorta di locale a luci rosse), la donna incontra il californiano John Woodruff (Josh Hartnett), un insegnante di inglese decisamente fuori dall’ordinario. L’uomo, abbracciandola calorosamente e impartendole il minimo indispensabile per poter comunicare, le ordina di parlare esclusivamente in inglese durante le sue lezioni: a detta sua, è difatti necessario immedesimarsi completamente in un parlante nativo per assorbire ogni aspetto di una lingua. Pertanto, agli occhi di John, Setsuko sarà sempre e soltanto l’americana Lucy, una donna dai capelli biondi e ricci (da qui l’uso della parrucca), sicura di sé, spregiudicata e amante dell’avventura.

Il nome Lucy viene scelto in maniera totalmente casuale, pescando dei bigliettini da una scatola; lo stesso vale per il compagno di corso della donna, Tom, ossia il consulente per la sicurezza Komori Takeshi (Yakusho Kouji). Il nuovo alter-ego, tuttavia, risveglia in Setsuko dei sentimenti nascosti da tempo, un desiderio di emancipazione che mai avrebbe sperato di ottenere nella sua veste di quarantenne single; esso le offre finalmente l’opportunità di abbandonare l’eccessiva rigidità giapponese a favore di una rilassatezza e disinibizione tipicamente americane.

Il viaggio

Affezionandosi immediatamente al suo nuovo insegnante, la donna resta però spiazzata alla notizia che John è ritornato a vivere a Los Angeles insieme a Mika, con la quale aveva instaurato una relazione segreta. Setsuko, calatasi ormai completamente nei panni di Lucy, si avventura allora a fianco della sorella Ayako (nonostante la loro controversa relazione) in un viaggio on the road nel caldo ambiente californiano alla ricerca dei due fuggiaschi. Qui, tra studi di tatuaggi e motel squallidi, le due donne faticano a venire a patti con una realtà così diversa e a tratti incomprensibile.

Alla vista di un John così diverso e americano rispetto alla sua variante giapponese (più una sorta di skater, al contrario dell’uomo raffinato e composto, con tanto di occhiali da vista e capelli laccati che aveva conosciuto a Tokyo), Setsuko non perde però l’attrazione che prova dal giorno del loro primo incontro, un amore che simboleggia il suo desiderio di evasione da una vita triste e fallimentare. Il suo alter-ego è determinato a riscattarsi, a trovare finalmente quel briciolo di felicità tanto agognata. Nella creazione di questo viaggio interiore dai risvolti inaspettati, la regista Hirayanagi Atsuko (al suo primo lungometraggio) pone lo spettatore di fronte alle differenze e agli stereotipi che dividono le due metropoli (la disumanizzata e soffocante Tokyo vs. la calda e accattivante Los Angeles) in un turbinio di comicità, momenti drammatici, scontri linguistici e forti emozioni che rendono Oh Lucy! un film unico nel suo genere.

Ecco il trailer:

 

— recensione di Sara Martignoni


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