Il detective Kindaichi e la maledizione degli Inugami – Yokomizo Seishi || Recensione

Yokomizo Seishi è considerato uno dei più grandi giallisti giapponesi dell’era Shōwa, noto principalmente per il suo personaggio “Kindaichi Kōsuke”, protagonista di ben 77 romanzi.

“La maledizione degli Inugami” è il decimo di questi celebri romanzi. Kindaichi si ritrova coinvolto nella lotta della famiglia Inugami per ottenere l’eredità del defunto capofamiglia, Inugami Sahee.  Sarà proprio lui, grazie al suo intelletto e anche alla sua eccentricità, a scoprire la verità dietro i violenti omicidi che avranno luogo nella residenza familiare a Nasu.

Sin da subito si può notare come Kindaichi sia una figura molto particolare, certamente sveglia e intuitiva, ma che si presenta in maniera sciatta e trasandata: si veste distrattamente con i primi abiti che trova, ha la brutta abitudine di grattarsi i capelli e quando è molto emozionato finisce spesso per balbettare. Tutte queste caratteristiche creano l’immagine di un inetto e certamente non quella di un detective professionista, ma è proprio grazie a questo contrasto che le sue qualità risaltano ancora di più nel corso della storia.

Kindaichi si dimostra sempre un passo avanti rispetto sia alla famiglia Inugami, che ai suoi colleghi della polizia, restando però un personaggio molto umano che ben si contrappone alla violenza a cui deve assistere.

La questione della famiglia Inugami è ciò che mette in moto lo svolgersi della trama sin dalle prime pagine e Yokomizo stabilisce subito una certa atmosfera di tensione tra i vari membri della famiglia, tutti pronti a sovrastare l’altro per ottenere l’eredità. La complessità del caso non toglie però spazio ai personaggi, che attraverso gli occhi di Kindaichi vengono anche analizzati nella loro psicologia, concentrandosi molto sui personaggi femminili più importanti, come la fredda Matsuko e l’introversa Tamayo.

Il narratore onnisciente, inoltre, si intromette spesso durante la storia per porre attenzione a determinati eventi e comportamenti, facendo intendere la loro futura importanza oppure spingendo il lettore a riflettere meglio su cosa ha appena letto. Fortunatamente questi interventi non distolgono l’attenzione del lettore, anzi, fanno l’effetto opposto e dimostrano una certa sicurezza dell’autore nella propria scrittura e nella qualità del mistero che propone.

Mistero, fra l’altro, che gioca molto bene con le aspettative di chi sta leggendo e che riesce a mantenersi intrigante fino all’ultimissima riga della storia.

Lo stile di Yokomizo risulta molto scorrevole, d’impatto e a tratti anche divertente. Riesce molto bene a passare da momenti comici con Kindaichi, a descrizioni piuttosto precise e crude degli omicidi a cui deve assistere. La differenza tra l’eleganza della villa familiare degli Inugami e la strana brutalità a cui fa da palcoscenico è quasi paradossale, sbagliata e fuori luogo. L’ottimismo e l’eccitazione di Kindaichi mentre lavora al caso sono gli elementi che impediscono di appesantire troppo l’atmosfera della trama e che garantiscono degli stacchi tra scene più rilassate e altre più tese.

“La maledizione degli Inugami” è una storia intricata e inaspettata ma che riesce sempre ad essere chiara, scorrevole e facile da seguire per il lettore, grazie anche ai commenti di Yokomizo che sfondano la quarta parete della finzione narrativa. Essenzialmente, è un mistero davvero coinvolgente.

Recensione di Biagio Furno

La cucina degli incontri della signora Megumi – Yamaguchi Eiko || Recensione

Autore: Yamaguchi Eiko

Traduzione: Raffaele Papa

Editore: Rizzoli

Edizione: febbraio 2024

La cucina degli incontri della signora Megumi è il primo libro pubblicato in Italia dell’autrice Yamaguchi Eiko, vincitrice del Matsumoto Seichō Literary Prize. Questo romanzo di narrativa contemporanea tratta della storia di Tamazaka Megumi, una donna, ormai cinquantenne e vedova, che un tempo era stata una famosa indovina conosciuta con il nome di Lady Moonlight. A causa di una tragedia che toccherà la sua vita privata e la sua carriera, Megumi decide di dedicarsi alla cucina, diventando proprietaria di un shokudō, un modesto locale specializzato in oden, la tipica zuppa giapponese. Quali sono le motivazioni che hanno spinto la signora Megumi a cambiare drasticamente vita? Il piccolo ristorante è attraversato da una calorosa atmosfera familiare che invita i clienti abituali a condividere le loro storie e preoccupazioni, mentre sorseggiano il sakè e gustano i deliziosi piatti preparati da Megumi.

All’interno dell’opera si possono trovare ricche descrizioni, estremamente dettagliate, dei piatti proposti dal ristorante: ostriche al curry, bistecca di taro, bambù con vongole saltate al burro, riso con salsa, tamagoyaki ripieni e infine l’oden, il piatto speciale che tutti i clienti amano. Il cibo viene utilizzato come veicolo letterario per la conoscenza della cultura giapponese: in Giappone l’arte culinaria denominata washoku ha una tradizione molto antica, legata all’alternarsi delle stagioni. I due elementi fondamentali sono l’estetica e l’armonia degli ingredienti; Megumi sperimenta diverse combinazioni e solo quando è soddisfatta procede ad inserire il nuovo piatto nel menu stagionale del suo ristorante. Così come nelle opere di Ogawa Ito e Banana Yoshimoto, anche Yamaguchi Eiko decide di far emergere il potere collettivo della cucina giapponese.

Inoltre, Megumi è una donna caratterizzata da una spiccata sensibilità che decide di mettere a disposizione le sue “doti” per aiutare gli altri, siano quelle culinarie o quelle da indovina. I clienti che popolano il suo locale instaurano un forte legame con lei: raccontano eventi di vita privata, chiedono consigli, e cercano tutti di sentirsi in qualche modo meno soli tra le mura di questo caloroso ed intimo shokudō.

Yamaguchi Eiko, tramite la sua scrittura ricca di particolari, è in grado di offrire al lettore delle vere e proprie fotografie mentali di ciò che descrive: è come se si potessero percepire direttamente le sensazioni provate da chi sta assaporando i piatti del menu della signora Megumi.

Recensione di Ludovica Vergaro

La foresta nascosta – Radhika Jha || Recensione

“Non sarebbe mai dovuto tornare, pensò amareggiato, ma ormai era troppo tardi”

“La foresta nascosta” è la storia di Kōsuke, uomo giapponese trasferitosi a New York per lavoro. La sua vita tranquilla viene sconvolta dalla notizia della morte del padre, con cui non aveva più contatti da anni; decide di tornare in Giappone e si trova costretto ad ereditare il tempio Shintoista di famiglia. Diviso tra i propri doveri di Kannushi e la sua vita negli Stati Uniti, Kōsuke cerca con grandi difficoltà di trovare una soluzione che possa soddisfare tutti, sé stesso incluso.

La trama è caratterizzata da un misto tra romanzo psicologico ed elementi tipici del giallo. Il dilemma interiore di Kōsuke è reso ancora più complesso dall’entrata in scena di personaggi  quasi surreali come Akemi e Andō, e dall’irruzione della Yakuza che cerca di comprare il tempio di famiglia. L’incontro di questi elementi narrativi è però gestito molto bene, al punto da intensificare i momenti più intimi ed emotivi che coinvolgono gli attori principali: nello specifico, oltre al protagonista, la sua compagna Kirsten e sua sorella Asako sono dei personaggi molto veri, con cui è facile empatizzare, anche quando commettono errori.

Nel corso della storia, Kōsuke cerca di raccattare da qualunque personaggio che incontra le memorie di suo padre, scoprendo che tipo di persona fosse, cosa pensava di lui mentre era all’estero e come ha affrontato la vita e le difficoltà economiche del santuario fino alla sua morte. Nonostante sia un personaggio già morto a inizio storia, ha un’influenza costante e duratura sugli eventi e suo figlio non può permettersi di ignorare la cosa, deve anzi scontrarsi costantemente con le proprie mancanze, la sua assenza da casa, e il rimpianto di non aver mai riallacciato i rapporti con suo padre.

L’occhio di Kōsuke per l’architettura è un ulteriore elemento fondamentale per la storia. Non solo nota con attenzione ogni singolo dettaglio del proprio tempio e degli altri che visita, ma la sua esperienza negli Stati Uniti gli fa riconoscere quanto il Giappone contemporaneo stia cambiando. Molti templi della sua infanzia sono o stati distrutti, o riammodernati in grattacieli all’occidentale e lui si scopre profondamente ferito dalla cosa. Nonostante abbia vissuto per almeno sette anni a New York, un simbolo della “modernità”, appena mette piede in Giappone diventa quasi un conservatore.

Con questo libro, l’autrice riflette su come una parte della nostra terra natia resti sempre con noi, anche inconsciamente. Il Kōsuke in Giappone è completamente diverso da quello in America. Radhika Jha stessa, infatti, ha vissuto per anni in Giappone: ha visto lo scontro tra tradizione e moderno, ha visto i templi Shintoisti venire venduti per profitto, e probabilmente ha vissuto anche il conflitto interiore che coinvolge l’intero romanzo dall’inizio alla fine.

Il conflitto che caratterizza l’intera storia non riceverà mai una risposta definitiva. L’unica persona che può davvero sapere cosa vuole è Kōsuke stesso e nessun altro. 

Recensione di Biagio Furno

Maschere di donna – Enchi Fumiko || Recensione

Titolo: Maschere di donna
Autrice: Enchi Fumiko
Traduttrice: Graziana Canova Tura
Editore: Marsilio
Edizione: 1999

“Per quanto un uomo si dia da fare non arriverà mai a capire le trame che una donna ordisce in silenzio, lenta ma inesorabile. […] Anche il sadico malanimo di Buddha o di Cristo verso la donna non è stato altro che un tentativo di sottomettere un avversario col quale non potevano competere.”

Parte di una trilogia informale di romanzi legati al Genji Monogatari, “Maschere di donna”, pubblicato per la prima volta nel 1958, è il titolo più cupo e inquietante dei tre.
La storia ruota attorno a Toganō Mieko, donna colta e studiosa di letteratura classica e di teatro Nō, che vive insieme a Yasuko, la moglie del defunto figlio. In un intrigo di vendette e rancori segretamente covati per anni, si sviluppa la trama del romanzo, in grado di ammaliare il lettore e renderlo un’altra vittima dell’inquietante fascino di Mieko.

Enchi Fumiko è tra le autrici che più hanno scosso il panorama letterario nipponico dello scorso secolo. Ancorata alla tradizione classica, dai monogatari ai grandi autori dell’Ottocento, le sue pagine risplendono di amore e dedizione per la letteratura del passato. In particolare, in Onnamen, Enchi si concentra sulla figura di Rokujō, uno dei personaggi femminili più famosi ed emblematici del Genji Monogatari. Dapprima amante del principe Genji, quando viene messa da parte e perde il suo status a corte, si trasforma, a sua insaputa, in un mononoke, uno spirito vendicativo che possiede le nuove consorti di Genji e ne causa la morte.

“Maschere di donna” parla esplicitamente di Rokujō e della sua vendetta soprannaturale, l’unica arma che le è concessa, e Mieko stessa si inserisce nella stessa tradizione karmica che la lega a Rokujō, alla dea Izanami, e tutte le donne ingabbiate dal potere maschile, il cui amore per il proprio uomo inevitabilmente si è tramutato in odio. In questo senso Rokujō diventa una vendicatrice del genere femminile, e Mieko è determinata a seguire le sue orme.

Mieko, imperturbabile come una maschera del Nō, agita l’animo degli altri protagonisti del romanzo. Questi non possono fare a meno di percepire le correnti torbide che scorrono sotto la superficie della sua quieta bellezza, ma non riescono a sondarle, non sanno decifrare i suoi piani, e rimangono irrimediabilmente intrappolati nella sue rete.

“Così come esiste un archetipo muliebre amato dagli uomini attraverso i secoli, nello stesso modo vi deve essere un genere di donna da essi eternamente temuto, possibile proiezione dei mali insiti nella natura maschile.”

Recensione di Elena Angelucci

Tutti i figli di Dio danzano || Recensione

Autore: Murakami Haruki

Traduzione: Giorgio Amitrano

Editore: Einaudi SuperET

Edizione: 2020-2021

 

Tutti i figli di Dio danzano di Murakami Haruki, rappresenta una delle opere meno conosciute di questo celebre autore: si tratta di una raccolta di sei racconti autoconclusivi dove i personaggi più disparati, accomunati da un flusso di pensieri simile, affronteranno la graduale scoperta di loro stessi. Ciò che collega queste storie è il riferimento diretto con l’avvenimento del terribile terremoto di Kobe del 17 gennaio 1995 che provocò la morte di più di seimila persone. Questo catastrofico evento che ha segnato profondamente il Giappone, a volte viene semplicemente citato, altre volte invece svolge un ruolo cruciale nella trama. Nei personaggi emerge la paura generata sia dal terremoto sia dalle proprie emozioni, e in particolar modo di ciò che ciascuno di noi ha dentro: si tratta di qualcosa di sconosciuto ed ignoto che può essere analizzato solo attraverso un’indagine introspettiva della propria individualità, che una volta emersa, provoca paura e sgomento. 

I personaggi sono uomini e donne comuni, spesso banali, caratterizzati da uno stile di vita solitario e dalla continua ricerca di qualcosa che possa portare un cambiamento significativo nelle loro vite. L’attenzione è concentrata prettamente sulla dimensione psicologica dei protagonisti, i quali, grazie a determinati eventi, riescono ad autoanalizzarsi entrando in contatto con i lati più viscerali e inesplorati del loro essere. Anche il tema della morte in relazione al significato della vita umana è uno degli aspetti che si ripresenta più volte all’interno delle narrazioni: solamente tramite un processo di grande sofferenza, in particolare modo emotiva, i protagonisti potranno raggiungere il loro lato più oscuro al fine di liberarsi dall’ opprimente giogo dell’esistenza.

I racconti, pur essendo brevi, sono ricchi di eventi inspiegabili, imprevedibili e a tratti anche umoristici: non è chiaro se ciò che stanno vivendo i personaggi sia effettivamente reale, poiché la narrazione si articola spesso lungo una dimensione che appare alienante e dai tratti onirici.

La scrittura di Murakami Haruki è sempre stata caratterizzata da un tratto ambiguo e lo si può notare anche in quest’opera. Le varie storie non presentano dei finali espliciti e concreti ma lasciano sempre libera interpretazione al lettore, che viene travolto da una catena di avvenimenti indecifrabili e quasi fiabeschi.

 

Recensione di Ludovica Vergaro

 

 

La voce delle onde – Mishima Yūkio || Recensione

Autore: Mishima Yūkio

 

Titolo originale: 潮騒 (Shiosai)

 

Editore: Feltrinelli

 

Collana: Universale economica Feltrinelli

 

Traduzione: Liliana Frassati Sommavilla

 

Edizione: 2022

 

È il 1954 quando Yūkio Mishima pubblica per la prima volta il romanzo “La voce delle onde”, per il quale vincerà dopo poco tempo anche il Premio Shincho, conferitogli dalla casa editrice Shinchosha. Il racconto è ambientato su un’isola, in un Giappone nel mezzo del periodo postbellico, ed esplora la storia d’amore tra due giovani. Su quest’isola di pescatori infatti, un giovane di nome Shinji si innamora di Hatsue, la figlia del più ricco uomo del villaggio. Tuttavia, il loro amore è ostacolato dalle divisioni sociali e dalle aspettative familiari. Mishima, noto per le sue profonde analisi dei sentimenti e delle relazioni tra esseri umani, ci racconta una storia senza tempo, quella di due giovani innamorati sfortunati, i quali dovranno affrontare diverse avversità per permettere al loro amore di prosperare. Nonostante i temi cupi affrontati nella maggior parte dei racconti di Mishima, oltre che alla natura intrinsecamente controversa dell’autore, questa storia, che può sembrare altrettanto cupa, si rivelerà essere più simile ad una favola e porterà ad un lieto fine.

 

 

TRAMA

 

Come per molti dei romanzi dell’autore, ci troviamo nel Giappone postbellico. A fare da scenario alla storia è l’isola di Utajima (歌島, lett. “isola del canto”), al largo della baia di Ise, dove il protagonista, il giovane Shinji Kubo, è un pescatore dotato di grande abilità e determinazione. Il ragazzo vive, con la madre ed il fratello minore, una vita abbastanza pacifica, nonostante il padre sia morto combattendo in guerra e sia obbligato a trascorrere la maggior parte del suo tempo in mare aperto, catturando pesce per sostenere la famiglia. Nonostante tutto, Shinji è soddisfatto della propria vita, anche perché ha creato con il mare un rapporto molto profondo.

 

Tuttavia, la vita di Shinji prende una svolta significativa quando si innamora perdutamente di Hatsue, la giovane figlia di Terukichi Miyata, un pescatore ricco e rispettato nel villaggio. La giovane era stata mandata dal padre su un’altra isola, dove la famiglia adottiva l’aveva cresciuta come una pescatrice di perle. Dato il ritorno della figlia, Terukichiintende darla in sposa ad un ragazzo che possa portare avanti l’attività di famiglia. Nonostante Hatsue provenga da una famiglia più agiata, lei e Shinji iniziano una relazione segreta.

 

Tuttavia, le loro speranze e il loro amore vengono presto messi alla prova. Yasuo, altro giovane dell’isola, diventa avversario di Shinji, poiché vuole mettere le mani su Hatsue e la fortuna della sua famiglia, arrivando quasi al punto di violentarla. A questo si aggiunge anche Chiyoko, la figlia del guardiano del faro, che, da sempre innamorata di Shinji, per gelosia, inizia a diffondere pettegolezzi su lui e Hatsue. Terukichi è furioso e si rifiuta di vedere il giovane Shinji e di considerarlo come un pretendente per la mano di sua figlia. Il ragazzo chiede aiuto a parenti ed amici per provare a convincere il padre di Hatsue, ma invano. Disperato, si sottopone a molte prove per dimostrare a Terukichi di essere degno della ragazza, rimanendo quasi coinvolto in un incidente in mare, che mette a repentaglio la sua vita e il suo futuro. 

 

Tuttavia, il sacrificio di Shinji convince Terukichi delle capacità e della bontà d’animo del ragazzo e la storia si conclude con un lieto fine.

Il romanzo si conclude con una riflessione profonda sulla natura mutevole dell’amore e sulla ricerca di significato nella vita, mantenendo intatta la suggestione poetica della voce costante del mare che accompagna i protagonisti lungo il loro percorso.

 

 

ANALISI

 

Per creare l’ambientazione dell’isola di Utajima, si pensa che Mishima abbia preso forte ispirazione da Kamishima (神島), una vera piccola isola nella baia di Ise, amministrata dalla provincia di Mie. Tutt’oggi sull’isola, si erge un monumento dedicato al romanzo e al suo autore: su una pietra è inciso l’incipit del racconto:

 

「歌島は人口千四百、周囲一里に充たない小島である。 歌島に眺めのもっとも美しい場所が二つある。一つは島の頂きちかく、北西にむかって建てられた八代神社である。」

 

– Uta-jima – Isola del canto – ha solo millequattrocento abitanti e una costa lunga meno di tre miglia.In due punti dell’isola la vista è di una bellezza incomparabile. Uno è quello dove sorge il santuario di Yashiro, che guarda verso nord-ovest e si trova nei pressi del crinale piú alto dell’isola. –

 

L’isola, in quanto limitata in termini di spazio, fornisce un ambiente circoscritto, letteralmente “isolato”, dove la vicenda può essere esplorata nella sua essenzialità. La vita degli abitanti dell’isola è rimasta quasi inviolata dagli avvenimenti del mondo esterno, un mondo lontano; la guerra non ha sconvolto più di tanto il ritmo di vita dei pescatori, i quali vivono una vita semplice, vicini alla quella tradizione e in quel rapporto di simbiosi con la natura che Mishima tanto apprezzava e trattava sempre nelle sue opere.

Il titolo, “Shiosai” (“潮騒”, lett. “il fragore delle onde”), tradotto in maniera molto azzeccata in italiano come “La voce delle onde”, sottolinea appunto la presenza costante e rassicurante del mare, che rappresenta sia la bellezza e la tranquillità della vita marina, sia la forza inarrestabile della natura. Le onde, nel contesto del romanzo, simboleggiano anche la fluidità delle emozioni umane e la ciclicità della vita stessa. 

 

Il libro è ammirato per lo stile di scrittura elegante di Mishima e per la sua capacità di catturare le complessità delle relazioni umane e dei conflitti interiori. Tuttavia, questo particolare romanzo presenta delle differenze interessanti rispetto al resto della sua produzione letteraria, dominata da temi cupi e controversi.

Come molti hanno infatti sottolineato, la storia presenta diversi parallelismi con il mito di “Dafni e Cloe”, romanzo ellenistico di Longo Sofista. In questo romanzo classico, si narra la storia di due giovani pastori sull’isola di Lesbo, i quali, anche tramite l’intervento, benefico o meno, di amici, parenti e persino di divinità, coltivano il proprio amore nonostante le difficoltà. 

 

– Contro Amore non esiste rimedio alcuno, né da bere, né da mangiare, né da recitare con canti, se non il bacio, l’abbraccio e il giacere insieme con i corpi nudi – (Le avventure pastorali di Dafni e Cloe, Longo Sofista)

 

Queste tematiche di amore e natura, centrali alla narrazione, fanno sì che la storia segua il “pattern”, l’insieme di schemi narrativi senza tempo della favola d’amore tra due giovani che giungono al lieto fine e dell’amore che trionfa su ogni avversità. Questa tesi viene supportata dalla presenza di un narratore esterno alla vicenda, il quale racconta i fatti a chi legge il romanzo come se fosse un cantastorie. “La voce delle onde” esplora quindi temi universali come l’amore impossibile, le divisioni sociali, il destino e la lotta contro le convenzioni. Mishima dipinge con maestria i paesaggi marini e le emozioni umane, offrendo ai lettori una storia avvincente e intensamente emotiva.

Sia la descrizione incredibilmente viva dell’isola, sia il riferimento classico, sono più che certamente sintomo del fatto che Mishima aveva da poco visitato la Grecia. Possiamo dunque supporre che lo scenario delle isole e delle loro acque cristalline, sia la grande tradizione letteraria ellenistica, avessero avuto un enorme impatto sullo scrittore, al punto da ispirarlo a trasporre la storia di Dafni e Cloe nella sua terra natia, quel Giappone in costante tensione tra l’essenzialità della natura e della tradizione e le necessità del progresso.

 

Vedere questo autore alle prese con quella che è sostanzialmente una favola, risulta rinfrescante e sorprendente, nonostante mantenga tutta la complessità del resto della sua opera. Per i suoi temi di amore, natura e speranza, il romanzo risalta all’interno della produzione di Mishima ed è stato sempre molto apprezzato, al punto da essere più volte adattato in forma di film, sia animato, rivolto dunque ad un pubblico giovane, sia live-action.

Questa è una storia adatta a tutti, sia a chi non abbia mai letto alcun libro di Mishima, sia a chi abbia già letto altre sue opere e cerchi di scoprire un nuovo ed inaspettato lato dell’autore.

 

Recensione di Lorenzo Bonfatti