
Autrice: Kirino Natsuo
Traduzione: Gianluca Coci
Editore: Neri Pozza Editore
Edizione: BEAT 2022
Nata nel 1951 a Kanazawa, Kirino Natsuo è una delle autrici giapponesi più conosciute a livello mondiale. I suoi romanzi sono noti per l’esplorazione dei più primordiali istinti umani e delle grezze, scomode verità che tendiamo a nascondere. Questi temi costituiscono anche alcuni dei fili portanti de L’isola dei naufraghi (東京島 Tōkyōjima), pubblicato per la prima volta nel 2008 e che, come è facile intuire dal titolo italiano, tratta della tortuosa vita di una comunità di naufraghi su un’isola precedentemente disabitata.
Una delle figure che detiene uno dei ruoli più singolari e catalizzanti dell’opera è Kiyoko, la cui storia apre il romanzo e ci porta subito nel vivo della narrazione. Kiyoko – unica donna dell’isola e per questo la sua regina indiscussa, si sta preparando al biennale sorteggio che le conferirà un nuovo marito. Il suo struggersi per la reclusione sull’isola, cui è confinata da cinque demoralizzanti anni, si alterna con un discutibile senso di appagamento, nato dalla consapevolezza di essere l’unica donna, figura insostituibile e di conseguenza oggetto del contendersi di una moltitudine di uomini più giovani di lei.
Kiyoko, quarantaseienne, era stata tra i primi due abitanti dell’isola; insieme a suo marito Takashi era naufragata durante un’ambiziosa e sfortunata crociera – il viaggio, che avrebbe dovuto portarli intorno al mondo, li aveva invece condotti su un’isola intatta dalla civlità umana. Si trattava, perlomeno, di un pezzo di terra privo di animali ostili o belve aggressive, dotato persino di una ricca vegetazione e di una lodevole profusione di frutta tropicale e di vari animali di piccole dimensioni, pesci e molluschi. In un contesto turistico, insomma, si sarebbe potuto definirla un vero paradiso; purtroppo per i due sposi, però, davanti a loro c’era una vita segnata dallo struggersi per la soppravvivenza.
Questo fatidico insuccesso dà il via alla storia della civiltà sull’isola. Essa verrà presto ribattezzata Tōkyōjima dalla sua prima comuità di abitanti, in ricordo della patria di cui non restano che miraggi e nostalgici ricordi di odori, sapori e persone. Tre mesi dopo al primo naufragio, infatti, si aggiungono alla realtà della coppia ventitré giovani giapponesi che, stanchi di fare ricerche sui cavalli bradi – raccogliendo e schiacciando il loro sterco in cambio di una misera paga – avevano deciso di scappare. Infine, il quadro sarà completato dopo due anni con l’arrivo di undici cinesi, presto etichettati come “hongkong.”
Il romanzo tratta il quotidiano – complesso, ermetico, spesso erotico – di questa comunità. Calandoci nella prospettiva di alcuni protagonisti, l’autrice ci farà strada nei loro pensieri più intimi. Quella che i naufraghi costruiscono è una vita non conforme alle norme della società in cui sono cresciuti – piena di conflitti e desideri irrequieti, e un’esistenza all’insegna di istinti, spesso segnata dalla brama di imporsi sugli altri e assicurarsi il meglio. C’è chi verrà isolato, chi sembrerà – o sarà? – impazzito, e chi tradirà di buon grado il prossimo in cambio del più piccolo beneficio. Ciò che governa silenziosamente i ritmi di questo piccolo e contorto mondo sembra essere proprio la volontà di Tōkyōjima, che riesce immancabilmente a portare alla luce gli estremi della psiche dei protagonisti. Con maestria, Kirino Natsuo ci invita dunque a interrogarci: qual è la natura innata dell’uomo?
Recensione di Martina Gruden
Commenti recenti