Autore: Murakami Ryū

Titolo originale: シクスティナイン Shikusutinain

Editore: Atmosphere Libri

Traduzione e postfazione: Gianluca Coci

Edizione: 2019

Pagine: 200

Un’eccellenza degli anni ’80

Il Giappone degli anni ’80 è una nazione all’apice del successo economico: dopo la prostrazione seguita alla sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale, la nazione del Sol Levante in pochi anni si ricostruisce e si afferma come potenza economica mondiale. Figlia degli anni ’70 e ’80 è una letteratura nuova, fresca: autori giovani trattano nuove tematiche per un nuovo pubblico. Il confine tra jun bungaku (letteratura pura) e taishū bungaku (letteratura popolare) va via via dissolvendosi sempre più. Scrittori come Murakami Haruki e Yoshimoto Banana si impongono su scala nazionale prima e mondiale poi. Ma una delle prime opere a rivoluzionare il panorama letterario giapponese è del 1976: Kagirinaku tōmei ni chikai burū (Blu Quasi Trasparente), del ventiquattrenne Murakami Ryū. Nonostante la scabrosità dei temi trattati (dipendenza da droghe, sesso promiscuo, suicidio), l’opera si aggiudica il Premio Akutagawa, il più prestigioso premio letterario giapponese, riservato agli autori di jun bungaku. Metà della giuria si dimette in segno di protesta, ma Murakami entra di diritto nell’albo delle eccellenze della letteratura giapponese di quegli anni. Oltre che come scrittore di romanzi, si afferma anche come saggista e, soprattutto, regista. Molte delle sue opere sono trasposte da egli stesso sul grande schermo. Nel 1987 esce Sixty-Nine, sesto romanzo dell’autore, che lo consacra come uno dei pilastri della letteratura giapponese contemporanea.

L’odio verso il potere

69 segue le vicende dello studente diciassettenne Yazaki Kensuke, soprannominato semplicemente Ken, voce narrante del romanzo. Ambientata in una città del Kyūshū occidentale dominata da una base militare americana, l’opera ritrae alla perfezione il fermento giovanile di fine anni ’60. Siamo in piena rivoluzione studentesca, le contestazioni sono all’ordine del giorno ed ogni pretesto è buono per creare scompiglio. In un contesto di dilagante sovversivismo, gli obiettivi principali di Ken sono lo shooting di un film, l’organizzazione di un festival e l’occupazione del tanto odiato liceo. Proprio così, perché il sentimento che domina il cuore dei giovani ribelli, protagonisti del romanzo, è l’odio verso l’ordine costituito, le istituzioni ed il potere. Un odio che il più delle volte si dimostra cieco, basato su ideologie frutto del “sentito dire” e della disinformazione. Tragedie come il massacro di Nanchino o la guerra del Vietnam, spacciate per cause contro cui nobilmente battersi, si rivelano in realtà un pretesto per scagliare la propria rabbia sulle vecchie generazioni.

“Li avrei massacrati di botte (i professori, ndr), pensavano solo alle regole e alle convenzioni. Università, lavoro, matrimonio: erano i loro dogmi, tutti i loro ragionamenti si basavano sulla certezza che quella fosse l’unica strada per raggiungere la felicità.”  

Una scrittura divertita

Murakami è lucido ed obiettivo nel mettere a nudo anche questo aspetto, il meno lodevole della rivoluzione hippie, vale a dire la protesta senza reali fondamenti ideologici. Ma è altrettanto abile nel trascinare il lettore dalla parte dei giovani combattenti schierati contro i poteri forti, in un impeto di rabbia adolescenziale senza limiti. Il tutto con una prosa divertita e divertente: Murakami manipola la lingua a suo piacimento, così come i suoi personaggi. Ken di norma si esprime in giapponese dialettale, ma per darsi un tono di austerità ricorre ad un perfetto giapponese standard. Non è raro, peraltro, che Murakami tenda a spiazzare il lettore, creando delle vere e proprie illusioni narrative. Scenari frutto dell’immaginazione dei personaggi, che sono smentiti nel giro di poche righe. Il risultato è una scrittura che diverte l’autore e, di conseguenza, il lettore. Lo stesso Murakami afferma, nella postfazione alla prima edizione del romanzo, di non aver mai scritto nulla di così divertente.

“Neanche il tempo di dirglielo e Shirogushi tirò fuori un coltello e me lo piantò nella coscia… No, non è vero, per fortuna accadde solo nella mia immaginazione, però mi afferrò per il colletto e a momenti mi alzava da terra.”

La citazione come ostentazione

Nel romanzo è molto più che frequente l’utilizzo della citazione: la maggior parte dei titoli dei capitoli sono rimandi ad artisti, poeti, album, attori, band. “Arthur Rimbaud”, “Claudia Cardinale”, “Alain Delon”, “Cheap Thrills, “Wes Montgomery”, “Led Zeppelin” sono solo alcuni di questi titoli. Murakami è strettamente connesso alla cultura occidentale dell’epoca e non lo nasconde. Lo stesso Blu Quasi Trasparente si muove sulla medesima lunghezza d’onda, raccontando le avventure di giovani scapestrati che trascorrono le loro giornate ascoltando dischi dei Doors e dei Rolling Stones. In 69, per giunta, la citazione ha un ruolo fondamentale per gli stessi protagonisti, in quanto ostentazione di cultura. Ken sfoggia ed esibisce con vanto le sue letture e i suoi ascolti, talvolta per apparire più maturo di quanto realmente non sia, talvolta per fare colpo sulla bellissima “Lady Jane” Kazuko. Godard e Rimbaud diventano pretesti per far sentire inferiore l’amico Adama, Bookends di Simon & Garfunkel un argomento di conversazione per approcciare Kazuko.

“E cosa pensi di fare? Lettere?”
“No, neanche per sogno”
“Ma allora perché leggi quelle poesie?”
 
Rimasi zitto per un attimo, non potevo mica dirgli che lo facevo per rimorchiare.                                                                                                                                                                       
                                                                                                                                                                

   

Riferimenti autobiografici

Murakami Ryū nasce nel 1952: nel 1969 ha perciò diciassette anni, così come il protagonista di 69. Da giovane suona come batterista in una band dal nome Coelacanth, esattamente come il protagonista di 69. Proprio nel 1969 Murakami e compagni si barricano sul tetto del loro liceo e lo occupano a suon di slogan pacifisti: lo stesso tipo di occupazione che avviene nel romanzo. Definire 69 un’autobiografia è certamente riduttivo, ma non mettere in luce i riferimenti autobiografici presenti nel testo risulterebbe altrettanto fuorviante. Murakami non è nuovo a questo genere di rimandi: il già citato Blu Quasi Trasparente (di cui consiglio caldamente la lettura) è pieno zeppo di riferimenti all’esperienza giovanile dell’autore. I richiami autobiografici, se vogliamo, sono ancora più palesi, dal momento che è proprio il protagonista del romanzo a chiamarsi Ryū. 69 è allo stesso modo un’opera semi-autobiografica, seppur in modo meno diretto e più velato. La vera differenza la fanno i toni, che in 69 sono sicuramente meno scuri e, come già detto, più divertiti. Blu Quasi Trasparente è tragico, nichilista; 69 è psichedelico, nostalgico, dominato dal Peace & Love. Il confronto tra i due romanzi e la veridicità dei riferimenti autobiografici sono approfonditi nell’interessante postfazione di Gianluca Coci, traduttore dell’opera.

Conclusioni

Certamente un romanzo coinvolgente sotto ogni punto di vista. Murakami Ryū ha purtroppo riscosso meno successo rispetto all’omonimo Haruki, soprattutto all’estero. È tuttavia un autore che sa trattare tematiche importanti in modo mai banale. Persino nei romanzi più “leggeri”, come nel caso di 69, lascia spazio ad importanti spunti di riflessione: bucando la sottile coltre di comicità con cui Murakami avvolge il romanzo, il lettore si può concentrare sull’analisi del contesto storico-sociale che l’autore gli presenta. È il romanzo della maturità, in cui Murakami sveste i panni del giovane scapestrato di Blu Quasi Trasparente ed indossa quelli dell’uomo adulto che guarda con disincanto al proprio passato. Il mio consiglio, perciò, è di leggere di entrambe le opere, al fine di ottenere una panoramica più vasta su questo straordinario autore.

— recensione di Pietro Spisni


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