Autore: Ibuse Masuji

Titolo originale: 黒い雨

Editore: Marsilio

Traduzione: Luisa Bienati

Edizione: 1995

Pagine: 364

La pioggia nera è un romanzo appartenente alla “letteratura della bomba atomica” dell’autore Ibuse Masuji, pubblicato in Giappone nel 1965 e, successivamente, in Italia nel 1993 dall’editore Marsilio.

È una mattina come le altre, quella del 6 agosto del 1945. Shizuma Shigematsu si trova alla stazione di Yokogawa, a meno di un chilometro, nel momento in cui la bomba esplode. In un istante la sua vita cambia completamente, l’uomo viene catapultato in un incubo che sembra non avere fine: la fuga dalla città ormai rasa al suolo e minacciata dagli incendi, l’esodo di decine di migliaia di persone che fuggono pur essendo ferite in modo gravissimo, gli ammassi di cadaveri carbonizzati caduti laddove erano stati colpiti dall’esplosione. La preoccupazione per le sorti di sua moglie Shigeko e di sua nipote Yasuko lo spingono a continuare le ricerche. Riunitisi, infine, dovranno affrontare la malattia dovuta all’avvelenamento acuto da radiazioni.

Il romanzo, narrato in prima persona da Shigematsu, è scritto tramite l’espediente del diario. L’uomo, infatti, è costretto a ricopiarne il contenuto per tranquillizzare l’ennesimo pretendente della nipote, la quale però viene costantemente rifiutata per paura che porti su di sé gli effetti delle radiazioni e che sia, quindi, impura. La narrazione è un intreccio tra il diario e la vita attuale di Shigematsu, che passa le giornate allevando carpe insieme a Shōkichi e Asajirō, anch’essi vittime dell’esplosione e impossibilitati per questo a svolgere lavori di fatica.

La pioggia nera offre un resoconto crudo, veritiero, che colpisce per la schiettezza e l’abbondanza di particolari e che porta alla luce la vera vittima del bombardamento: la natura umana. Tema centrale dell’opera, ripreso poi dal filone della bomba atomica, è la segregazione sociale a cui furono sottoposti i sopravvissuti ad Hiroshima e Nagasaki, etichettati come pericolosi per le persone sane e considerati colpevoli della loro stessa disgrazia. A questa diffidenza si somma poi la vita in una città ormai inesistente dove le consuetudini sociali si disgregano, in cui i forti prevalgono sui deboli, in uno scenario apocalittico che riporta l’uomo civile allo stato animale. Terminata la lettura, quel che resta è un senso di inquietudine mista a oppressione, come se l’autore, tramite l’abile scrittura, rendesse partecipe e quasi corresponsabile il lettore degli eventi accaduti quel terribile giorno.

 

—Recensione di Fausto Giunti.