Moe No Suzaku

 

(Giappone, 1997 )

Regia: Kawase Naomi

Cast: Jun Kunimura, Machiko Ono

Genere: Drammatico

Durata: 95 minuti

Nelle montagne di Nishiyoshino, nella prefettura di Nara, vediamo la quotidianità di una famiglia composta dal padre Kōzo, sua moglie Yasuyo, la nonna Sachiko e i due piccoli Michiru ed Eisuke, cugini. La costruzione di un tunnel dove dovrebbe passare il treno rappresenta un tema su cui si divide la comunità, formata soprattutto da anziani poiché i giovani sono scappati nelle grandi città. Kōzo è un fermo sostenitore di quest’opera e porta i due bambini a vedere il tunnel. 15 anni dopo, ancora nulla è cambiato. In un paesaggio che sembra essere sempre identico a se stesso, gli unici a cambiare sono i protagonisti della storia. Eisuke, ormai adulto, lavora; Michiru invece sta per finire le superiori. Il tunnel è inutilizzato, l’opera incompleta, l’orgoglio di Kōzo ferito.

“Suzaku è uno dei quattro grandi dei cinesi e controlla la zona sud dell’universo. Nishiyoshino è il luogo da sempre protetto da questo dio. Ho tentato, attraverso lo sguardo di questa divinità, di captare i rapporti fra i personaggi – il punto di vista della macchina da presa non appartiene nello specifico a nessuno dei personaggi – di descrivere le montagne e il vento che ha soffiato nel villaggio.”

Kawase Naomi, conosciuta in precedenza per i suoi documentari in 8 mm, pensa di girare un lungometraggio. Non avendo un budget adeguato, decide di cercare una piccola comunità rurale e di utilizzare i suoi abitanti come protagonisti. Questa è una scelta che bene si sposa con il cinema della regista; molto autentico, che trasuda familiarità e intimità. Una piccola comunità è il soggetto perfetto per un film tanto sincero, dove i contorni tra la realtà e la finzione si assottigliano. La vita che vediamo sullo schermo è all’apparenza monotona ma nasconde delle gioie che spesso, nella vita di città, dimentichiamo. Il contatto giornaliero con persone conosciute da sempre, la cordialità e l’aiuto reciproco; nonché l’utilizzo di prodotti della propria terra ed un attaccamento unico a questa. Qui la natura fa da protagonista, il vento è il respiro del dio Suzaku e la camera da presa sono i suoi occhi. Esso guarda il disgregamento della propria realtà e di tante altre zone rurali come quella. Il treno che non passerà rappresenta l’abbandono a sé stesso di un certo giappone rurale, con i giovani conseguentemente costretti ad inseguire il lavoro nelle grandi città. D’altra parte, però, è proprio in questo isolamento che questo paesaggio mantiene la propria integrità. Racchiusa tra le montagne, questa comunità vive un tipo di intimità unica, che la Kawase vuole comunicarci attraverso riprese agli abitanti della zona anche slegate dalla trama. Questi sono i visi che Suzaku porterà sempre con sé insieme ai ricordi di quegli abitanti, fondamentali nella struttura del racconto. Vi è una consequenzialità: la canzone che ricorda la vecchia Sachiko è la stessa che cantano i bambini quando giocano insieme. È una memoria collettiva in cui il singolo si può riconoscere. In questo contesto emerge l’importanza degli anziani, ultimi abitanti del contesto rurale e detentori della memoria.

Seguendo i due giovani protagonisti, vediamo come i ricordi siano il luogo dove ancora sono vive emozioni e legami con persone che, per diversi motivi, nella nostra vita non ci sono più. Lo stesso rapporto tra i due giovani è cambiato con l’arrivo dell’età adulta e solo ricordando possono ritrovare quel tipo di semplicità che vi è fra i due da bambini, quando non vi erano silenzi ed incomprensioni ed i sentimenti erano chiari. Gli esseri umani cambiano, si spostano, scompaiono e le uniche cose che rimarranno invariate sono la natura e quel tunnel di cui, passati gli anni, non si ricorderà neppure il motivo della costruzione; così come nessuno si ricorderà della lotta di Kōzo e di quei due giovani cresciuti sulle montagne. Solo lo spirito di quel luogo manterrà vivi i loro ricordi.

 

— recensione di Simone Lolli.


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