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Ritorna la sezione delle recensioni, ma questa volta ci addentreremo in un genere totalmente differente dai dischi analizzati finora. Oggi si parla di Math Rock, e vi verrà presentata quella che viene considerata dalla critica musicale una delle migliori e più influenti band di rock strumentale del Giappone: LITE, formati da Nobuyuki Takeda (chitarra), Kozo Kusumoto (chitarra e sintetizzatore), Jun Izawa (basso), Akinori Yamamoto (batteria). I LITE si sono formati a Tokyo nel 2003 e, dopo i primi demo d’esordio ed un EP self-titled, pubblicano il loro primo album Filmlets nel 2007. Da qui un’instancabile attività sia sul palco che in studio li porta ad incidere la bellezza di quasi un disco ogni anno fino al 2013 (tra EP e full-lenght) e soprattutto a farsi conoscere al di fuori del paese del Sol Levante, intraprendendo una serie di tour in America ed Europa.

Oggi ci occuperemo del loro secondo lavoro full-lenght, Phantasia (2008). La copertina ci anticipa quelli che saranno i colori predominanti di tutta l’opera, un disco lucido, matematicamente ragionato, dai toni squillanti e chiari, a volte freddi, e a volte contornati da momenti di tepore sonoro. Il disco si apre con Ef, una delle mie tracce preferite di questo lavoro dei LITE, dove la band giapponese fa subito intuire all’ascoltatore di che pasta sono fatti. L’uso di due chitarre, in generi come il Progressive Rock e il Math Rock, permette ai musicisti di creare atmosfere variegate, articolate, dove la prima chitarra mantiene il leitmotiv del brano e la seconda può lasciarsi andare in divagazioni tecniche dai risvolti interessanti. è proprio quello che succede in questa prima traccia di apertura, ed è facile intuire come questa soluzione vincente si ripresenterà nei brani successivi. Un gioco di suoni smorzati tra chitarra e batteria caratterizza l’opening della traccia numero due, Contra, in cui attimi di frenesia sono intervallati da momenti di riflessione più profonda. Come immersi in una stanza piena di specchi, il cui riflesso dell’uno cattura il riflesso di un altro, creando un loop di forme geometriche infinitesimali, Infinite Mirror, con un accompagnamento di chitarra terzinato e soluzioni ritmiche di batteria interessanti, teletrasporta l’ascoltatore all’interno di una dimensione escheriana. Con Shinkai, traccia numero quattro, si avvicina lentamente una batteria per giocare con il basso in un duetto in cui presto si inserisce la chitarra, che si diletta in un arpeggio dolce. Da qui si iniziano ad intuire le influenze della corrente più melodica del Math Rock americano e delle sonorità Post Rock, ma non ho neanche potuto fare a meno di pensare ai nordirlandesi And So I Watch You From Afar, altro gruppo Math/Post Rock attivo dalla metà degli anni 2000, mentre ascoltavo questo brano. Con Black & White invece, sentiamo le prime note malinconiche di Phantasia; le soluzioni di chitarre e batteria si rivelano anche qui geniali, toccando punte di fluidità estrema, che comunque si percepisce durante l’ascolto di tutto l’album. Il sesto brano, Interlude, è un breve interludio, appunto, di circa un minuto che, con un dolce arpeggio, segna la metà dell’opera. Ma i ritmi frenetici vengono subito ripresi nella traccia successiva, Ghost Dance, una traccia che è come se portasse l’ascoltatore all’interno di una sala da ballo, dove figure eteree dalle vaghe forme umane si abbandonano in una danza caotica, ma armoniosa allo stesso tempo. Con Solitude invece tornano i toni nostalgici, quel tipo di nostalgia che ti inonda quando sei solo, e lontano da casa. Anche qui regnano le sonorità melodiche, immerse in un’armonia matematica. A seguire il decimo brano, Phantasia, che dà il nome all’album. Esso si apre con un groove di batteria ed un accompagnamento di chitarra molto jazzati. L’intero brano è permeato da un’atmosfera che ricorda vagamente il Rockabilly. Un’aria nuovamente nostalgica, e a tratti sconsolata, torna a soffiare con la penultima traccia, Fade. I colori inizialmente si spengono rispetto al brano precedente, ma solo per poco, perché in realtà fanno nuovamente capolino a metà brano riscaldando l’animo dell’ascoltatore in quello che a mio parere è il miglior riff di chitarra di tutto l’album. Dulcis in fundo A Sequel to the Letter. Gli arpeggi di chitarra si intrecciano fluentemente tra loro come le dita di un prestigiatore di teatro di luci e ombre cinesi. Il suono dei violini dona alla chiusura del brano, e quindi dell’intero disco un tocco di profonda raffinatezza tipica della musica leggera.

Le impressioni finali su quest’opera sono state nel complesso positive: LITE è senza dubbio un ottimo gruppo di musica strumentale, che sa mescolare sapientemente la bravura tecnica con le sonorità melodiche tipiche di alcuni tra i gruppi capostipite del Math Rock melodico contemporaneo, come Tera Melos, Don Caballero, Battles. Unica nota di demerito va alla scelta del brano di chiusura, che non è stata di grande effetto come invece avrebbe potuto esserlo, a mio parere, se l’opera si fosse conclusa con Fade. Ma nonostante ciò, i LITE rappresentano sicuramente un baluardo della scena underground giapponese di questi ultimi anni e vale sicuramente la pena soffermarsi ad ascoltarli sia se si è appassionati del genere, che non.

Link Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=0VZOiIz-wtg

Recensione di: Enrico Maria Fiore