The Forest of Love — Sono Sion

愛なき森で叫べ

The Forest of Love

(Giappone, 2019)

Regia: Sono Sion

Cast: Shiina Kippei, Mitsushima Shinnosuke, Hinami Kyōko

Genere: crime, horror, drammatico

Durata: 151 minuti

Ai naki mori de sakebe è letteralmente “Urla nella foresta senza amore“, che probabilmente sarebbe stato un titolo assai meno accattivante. Nel suo essere meccanico, però, descrive perfettamente l’ultima fatica di Sono Sion. Il film è stato distribuito sulla piattaforma di Netflix (guarda il trailer) poco tempo fa (11 ottobre 2019) ed è considerato la sintesi di tutte le pellicole precedenti del regista. Il colosso dello streaming ha lasciato che lui esprimesse tutto sé stesso in questo progetto, infatti Sono lo dirige, lo scrive e lo edita, consegnandoci un prodotto finale a rating +18. Ma questo primo avvertimento potrebbe non essere sufficiente: è meglio che i deboli di stomaco — e di cuore — ne restino a debita distanza.

Un background da brivido

Le primissime scene si aprono mostrando un notiziario in TV che comunica la presenza di un serial killer in Giappone che sta uccidendo molte ragazze nelle foreste. Si serve ogni volta di una pistola diversa, ma che ruba sempre a un poliziotto. Poi, mano a mano, ci vengono presentati i personaggi: abbiamo Shin, il tipico ragazzo che spera in un futuro migliore perché appena trasferitosi nella grande metropoli di Tokyo; Jay e Fukami, due aspiranti registi che sognano di creare un film indie e con esso vincere un concorso, il cosiddetto “Pia Film Festival”; Joe Murata, un truffatore attorno cui si snoderà l’intera vicenda; infine, Taeko e Mitsuko, due ragazze che in passato hanno frequentato la stessa scuola femminile.

Tutto comincia con l’idea di un film. O meglio, l’idea di fare un film, perché nessuno dei cineasti ha un’ispirazione per la storia. A Mitsuko arriva una telefonata da Murata, che cerca di convincerla a incontrarsi per restituirle i 50 yen che una volta, molto gentilmente, gli aveva prestato. I due si incontrano e, casualmente, anche i tre ragazzi sono lì con una videocamera. Colpo di genio: il film sarà su Murata, che sospettano essere il serial killer. Con l’aiuto di Taeko cercheranno di mettere in guardia (senza successo) Mitsuko, che inizierà una storia con il truffatore.

Shin, Fukami e Jay mentre riprendono Murata e Mitsuko all’appuntamento.

Sono Sion e le ossessioni

Fin dall’inizio, dunque, è possibile percepire questa atmosfera malata in cui sono inseriti i personaggi, specialmente Mitsuko. I suoi genitori sono estremamente ossessionati dalla loro immagine sociale, mentre lei è ossessionata da una misteriosa ex-compagna di classe con cui avrebbe dovuto mettere in scena una versione di Romeo e Giulietta interpretata da sole ragazze. Murata stesso è ossessionato dalla truffa, tanto da impegnarsi ad essere ciò che racconta fino a renderlo il più possibile veritiero. Non è nuovo, certamente, il tema delle ossessioni, spesso ricorrente nei suoi lavori. Perfino in The Land of Hope troviamo l’ossessione per le radiazioni o per la devastata terra natia, nonostante sia il film che meno appare come firmato da Sono Sion perché distaccato dai temi più cruenti portati in scena dal regista.

Assuefatti dal dolore

Un altro aspetto caratteristico delle sue pellicole è la grande quantità di scene di violenza e di sesso che vi sono inserite. In The Forest of Love ha osato, senza ombra di dubbio, perché sono tante, forti e crude. Sembra non riuscire a raggiungere la qualità di Cold Fish, Why Don’t You Play in Hell?Antiporno, ma in realtà le sintetizza creando ancora una volta qualcosa di completamente nuovo che non può essere paragonato a niente di precedente. Sembra ridondante, ma si reinventa. Il film potrebbe sembrare lungo eppure, considerando la stretta allo stomaco che si percepisce fin dalle prime battute e il coinvolgimento emotivo che si instaura, non è troppo pesante.

Quello che potrebbe stancare sono le infinite scene di tortura, uguali e molte volte esagerate. Ma è proprio qui che ci accorgiamo della volontà di Sono Sion di mostrare — a colori su telo da proiezione — il dolore che stanno affrontando le generazioni, ognuna in un modo diverso. E sono tutte lì. La famiglia, lo stesso Murata, e chiunque faccia parte della vecchia generazione, causano dolore ai giovani — rappresentanti della generazione futura — che assimilano questa violenza e la coniugano in comportamenti aberranti. Perché il peggio è l’impotenza delle persone di liberarsi di questo dolore, unica cosa che ricorda loro di essere ancora vivi.

“Il cinema è vita, la vita è cinema”

Questa citazione ricorda lontanamente Oscar Wilde con la realtà che imita l’arte. Nei primi minuti, il cineasta Jay ci mette a conoscenza del fatto che in un film tutto è possibile. Anche le cose illegali diventano legali, le cose impossibili diventano possibili. Ma questo concetto si trasforma quando è Murata ad assumere il controllo della regia, perché il cinema diventa la vita e la vita il cinema, e porta la sua compagnia — ridotta a Taeko, Mitsuko, Jay e Shin — a commettere veri crimini per rendere veritiero questo pensiero. Sono Sion sembra descrivere così la sua poetica, perché quando gli è data la possibilità di essere sé stesso, non si pone limiti. Tanto, non è illegale. È solo cinema.

Riguardando il film una seconda volta si possono notare suggerimenti del regista riguardo lo svolgimento futuro della trama perché, conoscendone ormai gli sviluppi, ci si riesce a concentrare su tutti quei dettagli che inizialmente apparivano come indecifrabili o fuori contesto. Ma, a questo punto, una domanda ci sorgerà spontanea: “Ho il coraggio di guardare questo film una seconda volta?“. E starà a ciascuno di noi deciderne la risposta.

 

– di Francesca Panza