Radiance (2017)

Titolo: Radiance

Titolo originale: 光

Regista: Kawase Naomi

Uscita al cinema: 27 maggio 2017

Durata: 102 minuti

 

La Trama

Il cinema è un mezzo di comunicazione molto potente, che permette di vivere esperienze di altre persone, entrando in contatto con queste e creando un legame tramite un fascio di luce proiettato. Misako, la protagonista, con il suo lavoro di narratrice di film per non vedenti cerca di rendere accessibile questo scambio di emozioni a chi questa luce purtroppo non lo vede. Tuttavia tra il suo pubblico incontrerà una figura molto schietta di nome Nakamori, un fotografo che ha dovuto interrompere la sua carriera a causa di una progressiva cecità. Egli la accusa con modi scortesi di imporre le emozioni trasmesse nel lungometraggio non lasciando spazio all’immaginazione. Nasce quindi un confronto tra i due che li porterà a relazionarsi per lungo tempo. Un confronto tra un uomo che ha perso la speranza e una donna che nel minimo raggio di luce trova emozioni e voglia di continuare per la propria strada.

 

Luci e prospettiva

Già dai primi momenti il film mostra come le sensazioni provate da una persona tramite i propri sensi non siano banali. Nakamori comprende bene questa visione poiché ha sempre dato un’importanza speciale alla sensazione che la luce gli ha donato nel corso della sua carriera. Per questo non riesce ad accettare la sua condizione e trova fastidiosi gli eccessi di Misako nel rappresentare ciò che appare su schermo. Questo scontro tra due prospettive diametralmente opposte crea un interessante legame tra i due personaggi che scopriranno di essere accomunati da molte più cose di quanto potessero immaginare.

 

L’occhio cinematografico

Un elemento peculiare dell’opera è che la regista da una estrema importanza all’elemento visivo, che avvolge gli eventi e i dialoghi tra i personaggi. Questa forte componente visiva aiuta nella comprensione delle vicende e accompagna lo spettatore facendogli comprendere al meglio i sentimenti e le sensazioni dei protagonisti.

 

— recensione di Massimo Magnoni