TERRACE HOUSE : IL REALITY SHOW PER CHI ODIA I REALITY

“Buonasera. Terrace House è una serie su sei estranei che vivono insieme e che osserviamo interagire. Abbiamo messo a loro disposizione soltanto una splendida casa e delle automobili. Non c’è un copione.” È questo il refrain che si ripete all’inizio di ogni episodio e che descrive perfettamente l’essenza del programma.

La prima stagione di Terrace House (テラスハウス) è andata in onda soltanto in Giappone, mentre le tre successive sono state prodotte da Fuji Television per Netflix, che ne ha decretato il successo a livello internazionale. Si tratta infatti di un format vincente per il colosso dello streaming in abbonamento, in quanto distribuito a livello mondiale e la cui popolarità vede il continuo rinnovo per ulteriori stagioni.

Di seguito sono elencate tutte le stagioni andate in onda fino ad ora e ambientate rispettivamente nello Shōnan, a Tōkyō, alle Hawaii e a Karuizawa:

  • Terrace House: Boys × Girls Next Door (2012–2014)
  • Terrace House: Boys & Girls in the City (2015–2016)
  • Terrace House: Aloha State (2016–2017)
  • Terrace House: Opening New Doors (2017–2019)

La struttura dello show prevede la partecipazione di tre ragazzi e tre ragazze che decidono di trasferirsi in una villa da sogno e vivere insieme ad altri coinquilini per alcuni mesi. A differenza dei classici reality, Terrace House non prevede che i protagonisti abbandonino il loro lavoro o gli studi, coerentemente con la mentalità e l’etica lavorativa giapponesi. Questi ragazzi, pur accettando di vivere sotto i riflettori, possono continuare a vivere la loro vita regolarmente studiando, lavorando e incontrando famiglia e amici qualora lo desiderino. Inoltre, ogni concorrente può decidere liberamente di lasciare il programma quando preferisce, lasciando il posto ad un nuovo coinquilino.

L’età dei partecipanti varia dai 18 fino ai 30 anni e i motivi della partecipazione sono i più svariati: trovare l’amore, trovare lavoro, imparare la lingua, fare esperienza di convivenza, lanciare la propria carriera artistica o semplicemente ottenere visibilità attraverso la partecipazione al programma. Data la popolarità dello show, per molti si è trattato di un vero e proprio trampolino di lancio per una carriera nel mondo dello spettacolo, nella moda o nell’industria dei media giapponesi. Per citare due esempi: Lauren Tsai (21) modella, illustratrice e attrice e Shimabukuro Seina 島袋聖南 (32) modella e influencer.

Gli opinionisti

Da sinistra: Babazono Azusa 馬場園梓 (38), Tokui Yoshimi 徳井義実 (49), Yū ゆう (54), Triendl Reina トリンドル 玲奈 (27), Kentarō 健太郎 (21) e Yamasato Ryōta 山里亮太 (41).

A rendere lo show ancora più intrigante e divertente è la presenza di sei opinionisti che introducono le puntate e di tanto in tanto interrompono gli episodi, commentandoli. L’ironia e il forte coinvolgimento di questi attori e comici giapponesi conferiscono una marcia in più al programma. Senza troppi peli sulla lingua commentano le vicende dei protagonisti, alternando momenti di grandi risate e comicità, a momenti di emozione e serietà.

Ragioni del successo

Attenzione a non considerare Terrace House come la versione giapponese dei classici reality all’italiana o all’americana come Big Brother o Jersey Shore. I protagonisti non sono pedine pilotate da una mente superiore, non ci sono confessionali o televoti per eliminare i personaggi meno amati e nessuno si mette in ridicolo davanti alle telecamere.

È proprio l’assenza dell’elemento del dramma da reality a rendere lo show unico nel suo genere, genuino e piacevole. Talvolta vi sono discussioni e tensioni, ma non vengono enfatizzate e portate all’esagerazione perché tutto è bilanciato. Vi è un’alternanza di momenti di gioia e tristezza, così come avviene nella vita reale. Si tratta di persone ordinarie e probabilmente è questo il motivo per cui gli spettatori vi si affezionano così tanto.

Conclusioni

Se siete curiosi di conoscere aspetti della cultura nipponica in un modo diverso dai tradizionali anime o dorama, Terrace House è il programma che fa per voi. Inoltre, in particolare se siete studenti di giapponese, approfittate dell’occasione per guardare il programma in lingua originale. In questo modo potrete ascoltare il modo in cui vengono utilizzati vari registri linguistici, i diversi dialetti dei protagonisti e lo slang giovanile.

— di Vittoria De Bernardi


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Switched: quando la vittima diventa il carnefice

Erano gli anni ‘90 quando in America scoppiò il boom del format body swapping, dove i due protagonisti tramite eventi paranormali si scambiavano i propri corpi. Riproposto in chiave contemporanea in questa serie TV, anche il Giappone ne ripercorre la strada con le studentesse Ayumi e Zenko, in una sfumatura dark e spiazzante

Ayumi Kohinata (Kaya Kiyohara) e Zenko Umine (Miu Tomita) sono due studentesse con due vite diametralmente opposte: Ayumi è la ragazza più popolare della scuola, mentre Zenko ne è la pecora nera, dall’aspetto trascurato ed emotivamente distrutta. E fin qui tutto canonico: riprendendo il modello del body swapping dal primo episodio infatti, siamo già consci del fatto che le due studentesse vivranno la vita dell’altra, cercando di comprendere da una prospettiva differente due mondi all’apparenza inconciliabili. Dimostrare, in altre parole, come i poli opposti non siano alla fine così diversi. Ecco: prendete quello che avete appena letto e dimenticatevelo. Perché Switched non è questo.

The Dark Side of the Moon

Ispirato allo shōjo manga Uchuu wo Kakeru Yodaka (宇宙を駆けるよだか) di Kawabata Shiki, Switched è una serie di 6 episodi da circa 35 minuti l’uno di per sé oscura: siamo abituati a vedere il lato comico del body swapping, come nell’americano “Boygirl – Questione di… sesso” dove lo studente più popolare e belloccio della scuola fa a cambio con la ragazza più secchiona, ma qua da ridere c’è ben poco, a iniziare dal principio: lo scambio dei corpi avviene infatti in un tentativo di Zenko, la ragazza impopolare, di togliersi la vita, che chiede ad Ayumi di assistere al suo suicidio mentre questa era in giro a divertirsi. A fermare il tutto sarà però (e qui l’evento paranormale) un’insolita luna rossa che darà vita al fulcro della vicenda invertendone i corpi. E questo è solo l’inizio.

Desiderio di vendetta

Già dal primo episodio possiamo vedere come la narrazione non sarà rose e fiori, bensì procederà con atteggiamenti egoisti: Zenko, ora nel corpo di Ayumi, cerca tutte quelle attenzioni e divertimenti che in vita sua non ha mai avuto, lasciando che Ayumi, ora nel corpo di Zenko, si “diverta” con tutti gli eventi infelici che facevano parte della sua vita (una madre in burnout da troppo lavoro, una casa più simile a un buco, assenza di amici ecc.) voltandole del tutto le spalle. Ciò che muove Zenko è l’egoismo di assaporare tutto ciò che aveva sempre e solo visto da lontano: non vi è empatia verso il più debole, dacché da vittima che era diventa carnefice.

Possiamo biasimare Zenko? È nel giusto o nel torto? Nonostante i cliché da drama nei quali cade la serie, la linea che separa il bene dal male sfuma più e più volte. Una cosa davvero invidiabile e che abbiamo apprezzato moltissimo. Il non generalizzare, il non far empatizzare verso l’uno o l’altro personaggio spacciandolo per il beniamino della situazione, soprattutto su tematiche delicate quali l’ijime (una sorta di bullismo scolastico che vi invitiamo ad approfondire nel link).

Conclusioni

Se volete esplorare i lati un po’ più oscuri della società nipponica consci del fatto che sia un drama, Switched è decisamente la serie che fa per voi. Qualcosa che riscopre lo scambio dei corpi, portandolo però a un livello più tetro. Tuttavia, se non siete amanti del genere e cercate cose più verosimili (per esempio, senza reazioni esagerate dei personaggi o silenzi che, per uno non abituato, risultano alquanto imbarazzanti), la serie potrebbe provocarvi più fastidio che altro, con una buona probabilità di abbandonarla al primo episodio. A voi giudicare dal trailer sottostante se siete più il primo o il secondo tipo!

 

—di Marco Amato


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ATELIER (2015): UNA SERIE GIAPPONESE ALLA SCOPERTA DELLA MODA HAUTE COUTURE

Titolo originale: Underwear アンダーウェア

Anno: 2015

Prodotta da: Fuji Television per Netflix

Con: Kiritani Mirei, Mao Daichi

Prodotta da Fuji Television per Netflix, questa serie del 2015 si incentra principalmente sulla giovane Tokita Mayuko e segue la sua crescita personale e lavorativa dopo l’assunzione presso Emotion, esclusivo atelier di lingerie nel quartiere di Ginza a Tōkyō. Nei 13 episodi che compongono la serie la protagonista entra a far parte dello staff guidato dalla nota stilista Nanjō Mayumi, stringendo con tutti gli impiegati una profonda amicizia. In particolare grazie al rapporto con il suo capo, Mayuko (soprannominata Mayu, e interpretata dall’attrice Kiritani Mirei) comincia un viaggio alla scoperta della moda haute couture e muove i primi passi in un mondo (patinato) esclusivo e affascinante, ma anche competitivo e pieno di ostacoli. La sua trasformazione è  esteriore, visibile nel suo stile, che lungo gli episodi si evolve facendola brillare di una luce nuova, ma anche, e soprattutto, interiore, fino a renderla una giovane donna indipendente e sicura di sé.

Lo sfondo della maggior parte degli episodi è il quartiere di Ginza. Nota per essere una delle zone commerciali più in vista della capitale, Ginza si trasforma in una sorta di coprotagonista dei personaggi principali: la grande attenzione per la moda si traduce in inquadrature sulle numerose boutique, grandi magazzini, ristoranti e café di lusso che si susseguono lungo le strade. Al centro della storia non solo le vicissitudini dei singoli personaggi, ma soprattutto l’abbigliamento e la moda e tutti i processi creativi e decisionali che sottendono questa grandissima industria. I riferimenti al mondo della moda non sono esclusivamente a una moda di derivazione più europea, ma anche all’affascinante mondo delle tradizioni nipponiche: ad esempio, lungo il corso di alcuni episodi è il kimono, abito tradizionale giapponese per antonomasia, il principale protagonista, con le sue fogge, i suoi colori e la sua eleganza.

Gli episodi scorrono piacevolmente a fronte di una durata che supera i quaranta minuti, e, nonostante alcuni punti nei quali la narrazione rallenta, la serie riesce comunque a coinvolgere lo spettatore. A momenti di maggiore impatto emotivo si alternano momenti di leggerezza e risate, snellendo così il ritmo narrativo.

Nel complesso, si tratta di una serie davvero ben realizzata, leggera ma non banale, con un approfondimento psicologico dei personaggi principali piuttosto interessante e un’impeccabile cura dei dettagli per quanto riguarda la tematica dell’industria della moda. Tutti gli episodi sono disponibili su Netflix con audio originale e sottotitoli italiani.

—di Giulia Berlingieri


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ERASED – la città dove io solo non esisto

 

Buongiorno a tutti, con l’articolo di oggi ritorneremo a trattare i dorama giapponesi! Questa volta sotto i miei occhi è passata una serie che è nata come manga, che ha ha fatto parlare di sé con un live action in uno spettacolo televisivo prima e come serie tv poi. Figlia della collaborazione tra il colosso Netflix e la Kansai Tv, Erased narra le vicende di Satoru, un timido ed introverso ragazzo giapponese che all’apparenza vive una vita simile a quella di altri giovani della sua età. Fin da bambino sogna di diventare un mangaka e per mantenersi consegna pizze in tutta la città. Ciò che fa la differenza nella sua vita è una capacità involontaria di tornare indietro nel tempo. Difatti, ogni volta che qualcosa di brutto sta per accadere Satoru si vede catapultato indietro il tempo necessario affinchè possa risolvere la situazione. Dapprima, ciò accade soltanto per eventi di entità ridotta, fino a quando una sera, di ritorno dal lavoro, non si trova faccia a faccia con l’assassinio della madre. Per evitare che ciò accada viene catapultato 15 anni nel passato per cercare di prevenire alla base alcuni eventi che avrebbero portato a quel macabro omicidio. La commistione tra il genere mystery e il giallo rendono questa serie interessante agli occhi di chi apprezza questi generi. Ovviamente la provenienza Nipponica è visibilmente marcata in alcune caratteristiche tipiche del Dorama; caratteristiche che gli conferiscono però un taglio diverso dalle solite serie Giallo. Inoltre, la breve durata delle puntate la rende ancora più invitantee di facile approccio. Sperando di avervi dato un buon suggerimento, auguri a tutti una buona visione!

(Recensione di Giacomo Becchi )

Good Morning Call

Bentornati alla nostra rubrica dedicata ai dorama! La serie che ho in serbo per voi quest’oggi, “Good Morning Call“, disponibile su Netflix, è la trasposizione di un manga shojo ad opera di Yue Takasuka che fu pubblicato in 11 volumi dal 1997 al 2002. La prima stagione, composta da 17 episodi, ci catapulta nella dimensione dei teenager, delle grandi amicizie, dei primi amori e delle incomprensioni tra adolescenti ed adulti. (P.S. Su Netflix è disponibile anche la seconda stagione, ma per ora niente spoiler!).

Yoshikawa Nao è la protagonista diciassettenne che decide, per poter cavarsela da sola, di affittare un appartamento fino alla fine del liceo. Ragazza esuberante e generosa ma allo stesso tempo molto sbadata e ingenua, Nao è la tipica studentessa che trascorre la maggior parte del tempo con i suoi compagni di classe e migliori amici Marina e Mi-chan, senza nessuna esperienza amorosa alle spalle. L’unico che da tempo sembra mostrare interesse per lei è il suo amico di lunga data e senpai Daichi, uno dei tre studenti più ammirati di tutta la scuola. Questa situazione di apparente normalità viene stravolta all’arrivo di Nao nel nuovo appartamento, dove fa la conoscenza di un altro componente della top three, Uehara Hisashi. Per via della sua bellezza, intelligenza e bravura nello sport, Hisashi riceve quotidianamente sguardi sognanti dalle studentesse, che egli tuttavia ricambia con freddezza. Nessuno avrebbe potuto predire che proprio lui e Nao sarebbero caduti nella trappola del “doppio contratto” per il quale, dopo un iniziale sgomento, i due si ritrovano costretti a condividere lo stesso tetto su suggerimento dell’anziana affittuaria, dividendosi tutte le spese, almeno fino a quando non si libererà per Nao un alloggio al dormitorio femminile. Come è naturale, Hisashi impone subito una serie di regole, ribadendo a più riprese che nessuno dovrà mai venire a conoscenza della spiacevole situazione.
Il mondo adolescenziale che fin qui abbiamo delineato viaggia in parallelo con il mondo degli adulti, di cui Yuri rappresenta il primo esempio: donna bellissima ma con problemi di alcolismo, ella non è altro che la cognata di Hisashi, moglie di suo fratello maggiore Takuya. Nonostante la differenza di età, Hisashi è stato vittima di un tormentato innamoramento durato otto anni nei confronti della donna e ancora fatica a dimenticarla. La visita improvvisa della cognata, che tuttavia instaura un buon rapporto con Nao (nonostante quest’ultima non sopporti il suo essere ancora troppo “ragazzina” nei confronti della matura Yuri), non fa altro che innescare nel ragazzo sentimenti contrastanti. Come se non bastasse, il rapporto di fiducia tra Nao e i suoi genitori, venuti a farle visita al nuovo appartamento, si incrina non appena la convivenza balza inesorabilmente allo scoperto. Nonostante la madre dimostri una certa comprensività, il padre percepisce la situazione (almeno di primo impatto) come un vero e proprio tabù, soprattutto quando i due ragazzi coinvolti sono minorenni e di sesso opposto.

Cosa ha in serbo il futuro per questi personaggi? Sta a voi scoprirlo! In generale, però, “Good Morning Call” sta riscuotendo un enorme successo: i suoi temi light invogliano lo spettatore a divorare la serie in poco tempo e l’idea da parte dei creatori di inserire conversazioni SMS, telefonate incoming e stati d’animo in sovraimpressione (stile anime) rende il tutto colorato e divertente. Tuttavia, la rappresentazione dei rapporti interpersonali è purtroppo stereotipata e ciò è evidente soprattutto nella relazione tra Hisashi e Nao: molti hanno infatti criticato il comportamento di presunta superiorità e arroganza del ragazzo nei confronti della studentessa, marcando un forte distacco di gender anche nel momento in cui la convivenza si trasforma in qualcosa di più profondo. Oppure basti pensare al rifiuto del padre di Nao a cui abbiamo già accennato: questo comportamento potrebbe apparire come pura preoccupazione di un genitore nei confronti della figlia alle sue prime esperienze fuori della casa paterna, ma a priori vi è un problema radicato nel cuore della società giapponese. Avendo riflettuto su queste tematiche, posso concludere dicendo questo: chiunque decida di creare un dorama non dovrebbe concentrare i suoi sforzi pensando solamente al successo che questo potrebbe riscuotere a livello intraculturale, ma è fondamentale allargare gli orizzonti, vedere il Giappone attraverso gli occhi di uno straniero e creare trame e situazioni che possano uniformarsi con le altre culture. Un processo di immedesimazione interculturale di tale entità non sarà una passeggiata, ma è ormai giunto il momento di sradicare l’immagine stereotipata che questa meravigliosa nazione ci offre da tanto tempo. Detto ciò, vi consiglio caldamente di dare un’occhiata a “Good Morning Call” non solo in veste di amanti dei dorama, ma con occhio attento e critico ai problemi sociali che esso può offrire. Alla prossima!

(Recensione di Sara Martignoni)