Dal Giappone, una ventata di aria nuova nella scena Jazz americana. Takuya Kuroda, Trombettista Jazz Nato il 21 febbraio 1980 a Kobe

Takuya Kuroda non è decisamente il nome che ci si aspetterebbe di trovare in un volantino di un Jazz bar di Boston ma come ormai ci ha abituati a riconoscere in più di un secolo di stratificazioni e mix culturali il Jazz non parla una sola lingua e questo artista ne è la perfetta dimostrazione. Nato a Kobe e formatosi musicalmente assieme al fratello maggiore il giovane Takuya Kuroda ha avuto fin da subito una spiccata propensione per lo strumento che lo accompagnerà nella sua brillante carriera… la tromba, ed è proprio con il fratello maggiore (anch’egli trombonista) che muove i primi passi nella scena musicale locale giapponese suonando nelle big bands. Tuttavia la limitata scena locale giapponese comincia ben presto a stargli stretta.

Dopo aver studiato musica in Giappone infatti il giovane artista prende il primo volo per Boston e comincia a frequentare il Berklee College of Music dove, oltre ad affinare la propria tecnica, stringe uno stretto rapporto di collaborazione con gli altri artisti che militano nella scena Jazz underground di Boston tra i quali il cantante José James che lo invita a registrare con lui il proprio album ” Blackmagic” nel quale Kuroda si occupa degli arrangiamenti degli ottoni e ovviamente non manca di far sentire la voce della sua tromba. Mossi questi primi passi a Boston è il turno di New York nel 2006 dove si iscrive al New School’s Jazz and Contemporary Music program che gli permette di immergersi nella frizzante e cosmopolita scena Jazz newyorkese e che ovviamente porta con se grandi opportunità e collaborazioni con altri artisti fra i quali: Junior ManceGreg TardyAndy EzrinJiro YoshidaAkoya AfrobeatValery Ponomarev ed è proprio qui che l’artista riesce nel 2011 ad ultimare il suo primo album indipendente ” Edge” dove lascia esplodere tutta la sua creatività e dove sono fortissime le influenze tipiche delle big bands dove fin da giovanissimo aveva suonato con il fratello. Sempre a New York pubblicherà i successivi due album ” Bitter & High” e “Six Aces” nel 2012 che trasmettono un animo “vintage” ed influenze che spaziano dal Bebop al Soul ma è nel 2014 con il ritorno della collaborazione con José James che Kuroda riuscirà finalmente ad uscire dalla penombra della scena indipendente e ad attuare un’evoluzione stilistica che si rivelerà vincente.

“RISING SON” 2014

Con questo quarto album (pubblicato dalla Blue Note Records) Takuya Kuroda sperimenta con generi molto lontani dalle prospettive più tradizionali alle quali aveva abituato la sua audience andando a fondere elementi hip hop, afro-beat, funky e blues e soprattutto soul che portano un’impostazione decisamente più ritmica e “groovy” soffiando un vento di novità nella scena Jazz che lo aveva accolto e che per prima aveva fatto da palcoscenico al poliedrico artista di Kobe. In Rising Son queste forti influenze sono evidenti fin da subito ascoltando l’album che si presenta come una perfetta colonna sonora di ritmi avvolgenti e frizzanti legati assieme dall’incredibile e onnipresente voce sia soft che tagliente della tromba di Kuroda. Una tromba che permea ogni brano con fraseggi ed assoli dal sapore classico e moderno allo stesso tempo, senza in alcun modo eclissare gli altri strumenti e creando un perfetto equilibrio fra ritmo e melodia. Così si presenta l’album Rising Son.

Cover dell’album Rising Son, Takuya Kuroda. Blue Note Records 2014

In conclusione cosa aggiungere…  al di là di quelli che possono essere i tecnicismi sulla musica di questo artista, gli stili che la compongono o il suo apporto alla scena musicale newyorkese direi che tutto si può riassumere in una frase che lo stesso Kuroda ha rilasciato in una delle sue interviste: “I just wanna feel good when playing“. Insomma, non diventare “Big in Japan” ma negli States non è impresa facile e spero vivamente che Takuya Kuroda continui ad allargare il proprio cerchio di estimatori, se non altro spero almeno che questa breve recensione possa aiutare!

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(Marco Manfroni)