Autore: Kirino Natsuo
Editore: Giano
Traduzione: G. Coci
Collana: Blugiano
Anno edizione: 2011
Pagine: 235

Una lettera improvvisa da parte di Kenji.
Un evento che, dopo tanti anni, sconvolge la vita dell’ormai affermata scrittrice giapponese Koumi Narumi, riportando a galla i fantasmi di un trauma subito e mai veramente dimenticato. E poi un dattiloscritto intitolato “Una storia crudele” lasciato nel computer per il marito. Così Koumi fa perdere tracce di sé, lasciando soltanto quel racconto autobiografico in cui svela ciò che successe ad essa stessa molti anni prima quando era ancora una bambina, e il suo nome era Keiko.
Questo è l’espediente che Kirino Natsuo utilizza per rendere originale una storia morbosa e perversa che potremmo definire quasi un “metalibro”, un racconto nel racconto, in cui le voci narranti sono molteplici e si mescolano a creare un senso di sospensione tra finzione e realtà, in un gioco di bilance dove l’ago oscilla tra la verità romanzata di Keiko/Koumi, la verità espressa nella lettera di Kenji, e la verità del marito che, nel consegnare il dattiloscritto all’editore, ne svela l’inverosimilità dei fatti narrati.
Keiko ha soltanto 10 anni quando, finita scioccamente a vagare di notte in un quartiere di provincia ,viene rapita da un aberrante operaio venticinquenne di nome Kenji, che la terrà con sé per più di un anno. Un anno di prigionia raccontato in prima persona dalla scrittrice ancora bambina, Keiko, in cui alla fine dei conti è il gioco d’ombre tra realtà e fantasia a farne da protagonista e da collante per tutto il romanzo. Un anno in cui la ragazzina racconta le oscenità subite a causa dello psicopatico Kenji, il rapporto malsano che col tempo si instaura tra i due, nemici di giorno e amici di notte, e le speranze che aveva riposto in Yatabe, vicino di casa di cui la bambina era a conoscenza e che idealizzava come possibile salvatore. Speranze che vengono totalmente distrutte nel momento in cui scopre la complicità di Yatabe con Kenji, il quale lo lasciava spiare le atrocità commesse su di Keiko da un foro in una parete.
Un mistero che si infittisce pagina dopo pagina, che si intreccia in psicologismi a volte incomprensibili e a volte osceni, e che allo stesso tempo si riempie di buchi, colmati nel romanzo dalla fantasia della bambina, e nella realtà da quella del lettore. Dopo la liberazione, la bambina rifiuterà ogni forma di collaborazione nel rendere noti i fatti avvenuti durante quei tredici mesi, quasi a voler conservare in modo pudico gli ultimi stracci di dignità che sente rimasti. Il trauma e l’impossibilità di superarlo fa sì che la ragazzina veda ogni cosa come doppia, ambivalente: la madre, il padre, i vicini, i compagni. Tutti i personaggi hanno una doppia natura per cui è impossibile fidarsene del tutto. Persino i genitori, il medico, gli investigatori hanno due facce così come l’aguzzino era cattivo di giorno e buono di notte. Ma anche la bambina, io narrante, ha una doppia identità. Odia Kenji ma contemporaneamente lo ama, gli è amica. La vittima diventa anche lei inaffidabile per il lettore: è incapace di dire tutta la verità senza cambiarla. Una lettura dal meccanismo tortuoso, ma ben sviluppato, che vi terrà incollati dalla prima all’ultima pagina!

(Recensione di Gioia Pettinari)