Artista: Melt-banana
Anno: 2013
Formazione: Yasuko Onuki (voce), Ichiro Agata (chitarra, effetti)


Fetch è il settimo album che sancisce il ritorno alle scene dei Melt-banana: una delle band cardine della scena Japanoise a cavallo tra il millennio che, già dai primi anni, ha catturato l’attenzione degli appassionati occidentali. Il gruppo ricompare dopo sei anni dall’uscita di “Bambi’s Dilemma”, che costituisce una sorta di partentesi catchy della loro discografia. I motivi per questa lunga pausa sono principalmente due: alcuni tour all’estero, come quello negli Stati Uniti con i Tool, i Melvins e Lou Reed; ma soprattutto il disastro della centrale nucleare di Fukushima. Sebbene l’evento non abbia avuto delle ripercussioni evidenti sulla vita dei musicisti, la cantante Onuki ha affermato che quell’evento ha provocato un blocco creativo nella scrittura delle canzoni e di conseguenza ha ritardato la lavorazione in studio. Per quest’occasione il duo di Tokyo effettua un ritorno alle origini, agli stessi Melt-banana che negli anni ‘90 si sono fatti conoscere nel panorama underground internazionale.
Il disco, pubblicato dall’A-ZAP Records, è composto da dodici tracce che variano da una durata di un minuto e mezzo a quasi cinque minuti, sperimentando in questo modo sulla forma canzone.
Il primo brano, che è anche il più streamato sulle piattaforme, è “Candy gun”: si apre con un lungo intro della chitarra di Agata, che simula il rumore delle onde del mare, in puro stile noise e shoegaze, per poi essere infranto dal cavalcante groove di basso.
Altri brani degni di nota sono “My missing link”, la sesta traccia, che spicca per le atmosfere dark e inquiete (“Where to find that peaceful factor?”) e “Zero”, una ballata dance dalle venature post- punk con cui si conclude il disco.
Ci viene presentato un noise-core caotico e frenetico, che riprende il filo del discorso lasciato in sospeso con “Cell-scape” (2003); ma questa volta il sound complessivo è più pensato ed elaborato, con una produzione che si dimostra di alto livello rispetto ai precedenti dischi.
Agata sperimenta ulteriormente con l’effettistica della sua chitarra: in molte tracce sovrappone tre riff apparentemente inconciliabili costruendo un disorientante muro sonoro che avvolge la canzone, in linea con l’industrial-rock degli anni ‘80.
Batteria e basso, programmati al computer dallo stesso Agata, creano improvvisi cambi di dinamica: il flow si spezza e ricomincia ripetutamente dando un senso di allegra instabilità e, talvolta, di apnea. Se la batteria è una raffica di spari che alterna rullate a frenate brusche, il basso è forse lo strumento che più si preoccupa di riallacciarsi all’hardcore-punk classico dei Fugazi e dei Black Flag, e allo stoner-rock dei Fu Manchu.
La voce di Onuki contribuisce a dare un’anima selvaggia a tutto il disco con il suo timbro squillante e alieno.

Per quanto può essere assurda la musica che il duo propone, l’ascoltatore viene inevitabilmente catturato e coinvolto nel loro turbine nevrotico e gioioso.
In sostanza i Melt-Banana si rinnovano, si evolvono per rimanere sempre coerenti con sé stessi, riconfermando così il posto che gli spetta nella scena j-rock.

Recensione di Martino Ronchi