House in the tall grass || Recensione
Artista: Kikagaku Moyo
Anno: 2016
Formazione: Kurosawa Go – voce, batteria, percussioni
Katsurada Tomo – voce, chitarra
Kotsu Guy – basso
Daoud Popal – chitarra
Kurosawa Ryu – sitar, tastiere
Sicuramente i Kikagaku Moyo sono uno dei gruppi più internazionali che il Giappone abbia tirato furori negli ultimi quindici anni. Fondati nell’estate 2012, il quintetto ha iniziato come busker per le strade di Tokyo. Ha riscontrato già dai primi lavori un riscontro positivo sia da parte del pubblico che dalla critica, suscitando oltretutto la curiosità degli appassionati oltreoceano. Nel corso di pochi anni sono stati in grado di evolversi e di maturare le loro idee musicali.
A differenza dei primi lavori – l’omonimo “Kikagaku Moyo” (2013) e “Forest of Lost Children” (2014) – dal sound avvolgente, sperimentale ma ancora acerbo, il consolidamento è avvenuto nel 2016 con l’uscita, per la label indipendente Guruguru Brain, di House in the tall Grass.
Basterebbe solo il titolo e la copertina per capire in che mondo veniamo immersi: la “casa” che rappresenta noi ascoltatori e “l’erba alta”, ovvero la musica che ci accompagnerà in una piacevole ed elegante perdizione.
Rispetto ai dischi precedenti il sound pare più strutturato e meno confusionario con canzoni, sebbene molto diverse, perfettamente coerenti tra di loro dando un senso di linearità all’interno del discorso musicale.
Quello che fanno i Kikagku Moyo in sostanza è ripensare in chiave moderna il mondo prog/psichedelico anglosassone degli anni ’60/70, per poi contaminarlo con il dream pop e l’indie del nuovo millennio, dando così vita non a un banale omaggio ai classici ma a un’opera con una propria identità.
La band si diverte a ripensare la forma canzone, con l’obiettivo non tanto di creare singoli di grande impatto o necessariamente accattivanti ma di proporre un’atmosfera rarefatta e lo fa prendendosi il loro tempo, diluendo il più possibile le composizioni, attraverso arpeggi di chitarra e sitar trasognanti e una ritmica tribale; una formula che ricorda i grandi gruppi americani come i Velvet Underground, i Doors e i Mazzy Star. In tutto ciò la voce androgina di Katsurada Tomo è un bisbiglio che sbiadisce nella melodia, uno spettro gentile che si aggira nella “Tall Grass”.
Tra le canzoni che spiccano ricordiamo: Kogarashi (una parola giapponese che sta ad indicare il freddo e pungente vento autunnale) con la voce di Katsurada che si ripete all’infinito come un mantra; la lunga Silver Owl che dondola lentamente fino a esplodere con riff zeppeliniani – gli stessi guizzi di hard rock che ritroviamo nella più compatta Dune. Infine, Melted Crystal è un brano che porta quasi all’ipnosi perché è costituito da un unico tema di chitarra che si ripete per oltre cinque minuti, dove l’unico elemento di variazione sono i lenti cambi di dinamica delle percussioni.
I Kikagaku Moyo realizzeranno successivamente altri tre album di ottima fattura, ma questo “House in the tall grass” rimane un’opera cardine della loro carriera che li ha consacrati come una delle realtà più rilevanti di tutto il panorama neo-psichedelico.
Recensione di Martino Ronchi
Commenti recenti