Sukiyaki Western Django || Recensione

Regia: Miike Takashi

Anno: 2007

Cast: Quentin Tarantino, Itō Hideaki, Kimura Yoshino et al.

Durata: 2 ore

Genere: Spaghetti Western

Colorato, originale e anarchicamente caotico, “Sukiyaki Western Django” rappresenta uno dei capolavori indiscussi dell’ampia produzione cinematografica di Miike Takashi. Con tinte ispirate ai classici Spaghetti Western, il regista ci propone un’inaspettata rivisitazione di un epos centenario saldamente radicato nella tradizione nipponica: lo storico scontro tra i Genji e gli Heike, calato nel film in un piccolo villaggio che pare uscito direttamente dai migliori film di Sergio Leone, fa infatti da sfondo e rappresenta il motore principale della trama. Dopo due secoli di battaglie, l’arrivo di un abile e misterioso pistolero sconvolgerà drasticamente i sottili equilibri del conflitto tra le due fazioni, riportando alla luce misteri dal passato e rancori apparentemente sopiti.

Dopo un inizio relativamente lento, il film è caratterizzato da un ritmo che si fa sempre più incalzante, in un turbinio di eventi contrastanti che si sovrappongono e si intrecciano senza tregua quasi sopraffacendo lo spettatore. Dietro la polvere di truculente battaglie, espressione cruda di un gusto tutto takashiano per uno splatter ai confini con il comico, emergono personaggi bizzarri, titanici nel loro essere ridicoli, veri e propri monumenti alla follia. Alla violenza onnipresente, agli eccidi volontariamente esagerati, alle risse da saloon e alle generose profusioni di litri di sangue delle sparatorie si affiancano senza nessun contrasto le tematiche dell’amore e del sacrificio.

Si tratta di un’opera fortemente autoironica che conosce e gioca con i limiti e con i topos del genere Western, portandoli alle loro estreme conseguenze: elementi tipici come la vendetta sono presenti e hanno un ruolo centrale nella trama ma sono manovrati con sapienza e con consapevolezza comica dal regista, che li svuota della loro valenza tipicamente drammatica e li spinge fino all’estremo, li deforma ben oltre il limite del risibile.

Elemento costante e unico dell’opera evidente già dal titolo è un tentativo costante di nipponizzare il genere, di avvicinare e fondere la tradizione prevalentemente occidentale del Western con l’elemento tipicamente giapponese. In questo modo si spiega una delle scelte stilistiche più evidenti e marcanti dell’intera opera: l’uso di un particolarissimo e sperimentale impasto linguistico, un inglese dall’accento e dalle forme marcatamente giapponesi, incrocio di due mondi che pur rendendo a tratti difficoltosa la comprensione contribuisce a dare ai dialoghi una connotazione particolarissima e rafforzare di volta in volta le possibilità drammatiche o comiche del linguaggio. Così come contribuisce ad avvicinare i due mondi il frequente riferimento alla Guerra delle Due Rose, autentica ossessione del personaggio di Kiyomori, vero esteta che vive (e muore) irriducibilmente fedele all’affinità che sente con il personaggio shakespeariano di Enrico IV.

Elemento d’eccezione è poi la presenza in qualità di attore di un inaspettato Quentin Tarantino, che apre il film e contribuisce in maniera decisiva alla sua conclusione.

“Sukiyaki Western Django” è quindi una pellicola estremamente singolare, movimentatissima, figlia unica e irripetibile dell’incrocio tra la tradizione tutta italica degli Spaghetti Western e il genio cinematografico di Miike, difficilmente dimenticabile nel suo sperimentalismo e sinceramente imperdibile per tutti gli affezionati e gli amanti del genere.

Recensione di Mattia Natali

Miike Takashi parte 2 || Meijin Film Directors – I Registi di JFS

Benritrovati! Questa è Meijin Film Directors, la rubrica Takamori sui registi giapponesi, e oggi continuiamo a parlarvi di Miike Takashi.

Il primo successo internazionale di Miike arriva nel 1999 con Audition: all’inizio il film ci viene presentato come una storia d’amore per poi sfociare in un thriller con atmosfere stranianti e una narrazione labirintica. Tratto dall’omonimo romanzo di Murakami Ryū, il regista ci conduce nei meandri della psiche umana riflettendo oltretutto sull’oggettificazione del corpo femminile.

“Ichi the killer” del 2001, uno dei pulp classici di inizio millennio, ruota attorno a due personaggi: Ichi, un ragazzo molto timido che quando si arrabbia diventa un assassino spietato, e Kakihara, uno yakuza sadomasochista mai soddisfatto. Mescolando il genere yakuza con l’azione e l’horror, Miike crea un ‘opera completamente folle e gioiosamente sanguinosa che porta lo spettatore ad essere contemporaneamente divertito e disgustato dalla violenza mostratagli.

Nello stesso anno gira, come parte di un progetto per la tv chiamato “Love Cinema”, “Visitor Q”: il ritratto di una famiglia allo sbando e di un misterioso visitatore che ripristinerà la pace all’interno della casa. Di forte ispirazione pasoliniana il film muove un’aspra critica alla disfunzionalità dei rapporti familiari e alla televisione giapponese, divenendo probabilmente l’opera più controversa di tutta la carriera del maestro.

Se volete scoprire le vite e le opere di altri registi giapponesi, continuate a seguirci! A presto!

Miike Takashi parte 1 || Meijin Film Directors – I Registi di JFS

Bentrovati! Questa è Meijin Film Directors, la rubrica Takamori sui registi giapponesi, e oggi vi parleremo di Miike Takashi.

Nasce nel 1960 a Yao, nella prefettura di Osaka; a 18 anni si iscrive alla scuola di cinema e televisione di Yokohama, fondata dal celebre regista Imamura Shōhei. In questo periodo comincia a lavorare come assistente volontario alla serie tv Black Jack e ad altre produzioni televisive, per poi nel 1987 diventare assistente alla regia proprio di Imamura.

In seguito Miike inizia la sua carriera nell’ambito del V-Cinema, ovvero nella produzione di film destinati all’home movie, per poi esordire sul grande schermo nel 1995 con “Shinjuku Triad Society”. Inaugura così la sua prolifica e variegata carriera da cineasta che lo consacrerà come uno dei registi cardine del genere splatter e uno dei più importanti autori nipponici viventi.

Se volete saperne di più su Miike Takashi e la sua filmografia, continuate a seguirci! A presto!

13 Assassini (2010)

13 Assassini, 十三人の刺客
(Giappone, 2010)

Regia: Miike Takashi

Cast: Yakusho Kōji, Inagaki Gorō, Yamada Takayuki

Genere: drammatico, storico

Durata: 125 minuti

13 Assassini è un film del 2010 diretto da Miike Takashi. Si tratta di un remake del lungometraggio del 1963 con lo stesso titolo, diretto da Kudō Eiichi. La pellicola ha da subito riscosso un grande successo di critica in patria, ricevendo ben dieci candidature al 34° Japan Academy Prize e vincendone quattro. Inoltre, è stato presentato al Yokohama Film Festival, dove ha vinto i premi come Miglior Film e Miglior Sceneggiatura. L’opera ha riscosso un notevole successo anche all’estero, ricevendo critiche positive in Europa e Nord America, che lo avvicinano alla produzione di Kurosawa Akira.

Siamo nell’anno 1844, lo Shogunato Tokugawa è ormai in declino e il sadico Signore di Akashi, Matsudaira Naritsugu, commette indisturbato le più indicibili atrocità sulla popolazione e sui nobili delle altre casate. Dato che il suo fratellastro è niente meno che lo Shogun, nessuno sembra essere in grado di mettere un freno alle sue barbarie, e quando egli diventerà membro del consiglio shogunale, sarà guerra civile.

La pellicola si apre sul cortile di una residenza nobiliare dove un uomo, che si scopre essere il Signore di Mamiya, commette pubblicamente seppuku (una forma di suicidio rituale) in protesta al rifiuto dello Shogun di punire Naritsugu per aver massacrato la sua famiglia. Quando lo Shogun insiste nel volerlo promuovere nonostante tutto, il suo vecchio consigliere, Doi Toshitsura, decide che è arrivato il momento di intervenire. Egli va in cerca di una vecchia conoscenza, il samurai Shimada Shinzaemon, e lo ingaggia in segreto per assassinare lo spietato Signore. Shinzaemon riunisce altri undici samurai e insieme pianificano l’attacco, che dovrà compiersi nel corso del viaggio di ritorno di Naritsugu da Edo ad Akashi. I fedeli sottoposti di Naritsugu non rimangono certo con le mani in mano e, venuti a conoscenza del piano segreto, si preparano al contrattacco. Però, non hanno idea di cosa gli aspetta.

In 13 Assassini, l’assoluta spietatezza e apatia di Naritsugu si contrappongono ai saldi principi e alle forti passioni del piccolo gruppo di samurai. Siamo ormai al crepuscolo dell’epoca Tokugawa, un tempo periodo di splendore della classe samuraica, e questa decadenza si riassume proprio nella figura di Naritsugu, crudele ed efferato, per cui l’unico valore da perseguire è l’assoluta e indiscriminata obbedienza al proprio signore. Il sadismo, la ferocia, la perversione e la totale disumanità che caratterizza il Signore di Akashi lo rende una presenza a schermo assolutamente ripugnante, grazie all’eccezionale performance di Inagaki Gorō. 13 Assassini è un film avvincente, emozionante e a tratti scioccante, in grado di catturare l’attenzione dello spettatore per la sua durezza e la sua travolgente drammaticità.

 

—recensione di Matteo Aliffi.

Akushon! – I registi di JFS: Miike Takashi parte 2

Ben ritrovati con il consueto appuntamento con Akushon, la rubrica dei registi di JFS! Riprendiamo il filo parlando di 4 pellicole della variegata produzione di… Miike Takashi!

In Big Bang Love, Juvenile A, opera del 2006, si mette in luce la capacità di Miike di costruire il set cinematografico e di renderlo iconico. Il giallo e il nero dominano, la prigione in cui si svolge la trama è scarna, dura e rude come chi tra quelle sbarre è condannato a risiedervi per un tempo indefinito. Per motivi diversi giungono in quel luogo due giovani, Jun e Shiro, accomunati dall’accusa di omicidio. I due instaureranno un legame stretto e ambiguo, che li renderà apparentemente distanti ma inseparabili nel difficile ambiente del carcere. Nel racconto di Miike lo spazio e il tempo corrono intrecciati, confondendosi, ripetendosi, in una circolarità esasperata che porta lo spettatore nel mondo interiore dei personaggi. Esso infatti assume concrete immagini esteriori: navicelle spaziali, piramidi e arcobaleni, che tratteggiano le tensioni, le aspirazioni e i destini dei due protagonisti. 

Nonostante il periodo di splendore dello “spaghetti western” sia ormai terminato, Miike realizza un film che è sostanzialmente un tributo a Sergio Leone con una fortissima impronta autoriale: Sukiyaki Western Django. La storia che racconta è un forte richiamo a Per un pugno di dollari del regista italiano e a Yojinbo di Akira Kurosawa: uno straniero, interpretato da Hideaki Itō, arriva nelle terre del west e si ritrova nel bel mezzo di uno scontro tra due famiglie che si contendono un tesoro probabilmente sepolto nel villaggio. Le due famiglie sono però il clan Heike e il clan Genji, si viene quindi a creare una sorta di seguito della rinomata guerra Genpei del tardo periodo Heian, sebbene in stile western. Il fatto che il film sia recitato in inglese mette poi in evidenza come il regista riesca a spaziare e mescolare i generi con cui è cresciuto, con un risultato veramente particolare. 

Samurai, clan nobiliari, seppuku. In altre parole, passato: con esso si confronta Miike nel film Ichimei, ripresa del passato storico e cinematografico giapponese. Difatti, il film si rifà ad una pellicola del 1962 di Kobayashi Masaki che trattava il medesimo intreccio: il rōnin Hanshiro, un samurai decaduto, vuole commettere il suicidio rituale, come vuole la rigida tradizione del bushidō. Interpella per questo gli esponenti del casato nobiliare degli Iyi, affinché, secondo il rituale del codice samuraico, possa compiere il gesto estremo nel giardino della loro dimora. Similmente, con alcune variazioni sul tema, si snoda la trama del remake di Miike: si aggiungono un’attenzione quasi maniacale alla fotografia; l’egregia interpretazione di Ichikawa Ebizō, attore di kabuki che impersona il protagonista; e la vividezza delle musiche del compositore Sakamoto Ryūichi. Il risultato è un film dove il melodramma raggiunge notevoli picchi di umanità, conservando il messaggio sociale e politico sull’anacronismo del codice samuraico che il predecessore Kobayashi aveva ben impresso alla sua opera.

Tra film d’autore e western, il cineasta ci propone anche As the Gods will, che è l’adattamento cinematografico dell’omonimo manga scritto e illustrato dalla coppia Fujimura – Kaneshiro. Miike, con la peculiare esagerazione della violenza tipica del suo stile, mette su pellicola la storia di Shun Takahata, interpretato da Sōta Fukushi, studente delle superiori che vorrebbe una vita alla larga dalla noia, la quale invece lo travolge nella monotonia della quotidianità. Un giorno Shun verrà accontentato in una maniera molto particolare, ritrovandosi in un gioco mortale architettato da una divinità sconosciuta con altri studenti, che da ora in poi verranno considerati “神の子” (kami no ko), ovvero figli di dio. Il povero Shun sarà costretto a veder morire molti suoi compagni e cercherà di sfuggire alla sua stessa morte, pagando però un prezzo molto alto. 

Qui vi abbiamo presentato alcuni lungometraggi di Miike Takashi, ma la sua carriera cinematografica composta da più di 100 opere è molto più vasta e varia, difficilmente riassumibile in una manciata di film. Per guardare il nostro video cliccate qui. Vi invitiamo quindi ad approfondire la produzione di questo regista a tutto tondo, inoltre potete continuare a seguirci qui su YouTube e sui nostri profili social per approfondire la carriera di molti altri registi giapponesi!
Alla prossima!