Shiga Izumi – Quando il cielo piove d’indifferenza || Recensione
Autore: Shiga Izumi
Traduzione: Veronica De Pieri
Edizione: 2021
“Quando il cielo piove di indifferenza” (無情の神が舞い降りる) è un romanzo di Shiga Izumi, pubblicato nel 2017.
La storia si sviluppa all’interno del primo mese dal triplice disastro di Fukushima.
Yoshida Yōhei è uno scapolo quarantenne che ha vissuto il disastro della centrale di Fukushima.
Il suo villaggio, dal quale non si vuole allontanare, si trova entro un raggio di 20 km dalla centrale. Nonostante l’esortazione ad evacuare come tutti gli altri residenti, decide di rimanere nella sua casa insieme alla madre, rimasta disabile in seguito ad un ictus. Yōhei non la vuole spostare per via delle sue gravi condizioni ed è convinto che se evacuasse lui stesso diventerebbe la causa della sua morte.
Nonostante le radiazioni, la sera fa spesso una passeggiata fuori casa, di solito in direzione della casa di una sua amica delle elementari, Yasaka Misuzu, morta per un incidente del quale lui si sente responsabile: i due bambini stavano inseguendo il pavone dell’amica che Yōhei stesso aveva liberato.
Durante una di queste passeggiate, dove entrata nel giardino della casa dell’amica d’infanzia, incontra una volontaria di recupero gatti, randagi o dispersi dai padroni durante l’evacuazione, Mimura Reiko, alla quale racconta di stare soccorrendo il labrador nero che è legato nel pollaio dentro al giardino.
Pochi giorni dopo il loro primo incontro, si rincontrano casualmente in un “conbini” e decidono di prendere un caffè. Questo rivela all’uomo che ha bisogno del contatto umano, in quanto si trova solo a curare la madre in stato vegetativo. La freddezza con cui viene trattato dalla ragazza, gli fa criticare i volontari come lei, che hanno più a cuore la salvezza degli animali piuttosto che degli esseri umani.
Alla morte della madre saranno solo il figlio e Reiko ad assistere al funerale, ma sarà per Yōhei motivo per rimettersi in carreggiata: il funerale diventa il tasto di reset, il primo evento quotidiano dal fallout nucleare che gli fa prendere la decisione di allontanarsi finalmente dal suo villaggio, al quale è legato ma che non lo porta a nulla di fatto, per andarsene a Tokyo. Per via dell’opportunità che gli dà, la sua morte viene presa con un senso di sollievo, ma anche con colpa perché è un sentimento che non si dovrebbe provare nei confronti della dipartita di un genitore. Lui la accudiva ma non per amore filiale, ma perché era come se la dovesse ripagare del fatto di averlo fatto nascere. Inoltre prova dei sentimenti contrastanti per la madre. Per tutta la vita l’ha accusata di non essersi interessata della morte di Misuzu, di non averla pianta.
Nonostante l’incidente nucleare sia lo sfondo della nuova quotidianità di Yōhei, è molto forte la sua presenza. Il nucleare stesso viene paragonato al pavone, maestoso, ma che man mano che abbellisce il suo piumaggio per attrarre le femmine, va incontro a tanti pericoli: prima di tutto diventa più visibile da parte dei predatori. Lo stesso è il nucleare, che provoca disastri in nome del progresso tecnologico.
Shiga Izumi esprime il suo dissenso nei confronti dell’uso del nucleare fin dalle primissime pagine del romanzo, quando affianca Fukushima non solo ai più grandi incidenti nucleari come Three Mile Island o Chernobyl, ma anche ai più grandi errori dell’uso del nucleare, ovvero Hiroshima e Nagasaki. Fukushima è come un nuovo bombardamento, che provoca di nuovo disagio sociale per coloro che erano nei dintorni della centrale nucleare al momento dell’esplosione, trattati di nuovo come gli hibakusha dei due bombardamenti.
Le conseguenze sociali del disastro nucleare sono il tema principale anche del secondo racconto contenuto nella stessa edizione: “La mia sedia vuota” (私のいない椅子).
Itō Kana è una ragazza delle superiori costretta ad abbandonare la sua città sul mare per rifugiarsi dietro alla catena montuosa che si trova alle spalle.
La narrazione della storia principale, ovvero la realizzazione di un film di studenti liceali di cui Kana dovrebbe svolgere il ruolo di protagonista, si alterna ai ricordi della ragazza al momento del disastro: ha perso entrambi i nonni materni per colpa dello tsunami, è stata sfollata per giorni insieme alla madre in una palestra finché la zia, la sorella materna, non se n’è presa carico e l’ha portata oltre catena montuosa.
Il padre è stato spostato in un’altra centrale e la madre è rimasta sconvolta dal disastro, rendendola incapace di qualsiasi reazione. Kana risponde a questa mancanza di reazione da parte della madre con la rabbia e il completo distacco.
La catena montuosa diventa per la ragazza un limite visivo insopportabile: vuole vedere il mare, nonostante sia stato la causa di tutto quello che sta passando. Sarà proprio la sua voglia di vedere l’oceano a dare inizio al progetto del film del laboratorio di fotografia, che verrà proiettato nelle sale cinematografiche di tutto il Giappone, a testimonianza del disagio provato da tutti gli sfollati.
A fare da tutore agli studenti, è il regista di film horror Koguma Yasuo, col quale Kana instaurerà un rapporto particolare.
Sarà l’atteggiamento scostante della protagonista e un incidente di natura conflittuale durante un giorno di riprese a far sì che la ragazza venga espulsa definitivamente dal progetto. Accanto a lei, rimarranno solo la zia e Akimoto Akio, anche lui sfollato. È proprio per la loro natura di sfollati che i due ragazzi legano molto, messi da parte dagli studenti che invece non hanno subito direttamente le conseguenze del triplice disastro.
Essendo stata il motivo di slancio alla produzione del film e dovendone essere la protagonista, era convinta che quello fosse il suo film, non realizzando che doveva essere un esempio della vita condivisa da tutti gli evacuati.
Attraverso atteggiamenti, pensieri e discussioni con Akio, sembra che Kana voglia sabotare la prima del film, ma alla fine, farà solo quello che ha portato alla conclusione del progetto: vedrà il mare e riinstaurerà legami umani.
Commenti recenti