I casi del detective Aoyama – Ōsaka Keikichi || Recensione
Autore: Ōsaka Keikichi
Traduzione e curatela: Sara Saventi
Editore: Luni Editrice
Edizione: 2024
Per la prima volta edito in Italia, esce per la collana Arcipelago Giappone “I casi del detective Aoyama”, una raccolta di racconti gialli di Ōsaka Keikichi, scrittore della prima metà del Novecento e tassello imprescindibile della storia del poliziesco giapponese.
A legare i racconti è, come da titolo, la figura di Aoyama Kyōsuke: brillante investigatore le cui conoscenze sembrano spaziare ogni campo scientifico, capace di analizzare al microscopio la scena del crimine e risolvere il caso più intricato senza concedersi il minimo margine di errore.
I racconti proposti seguono l’originale ordine di pubblicazione e i casi affrontati dal detective si fanno gradualmente più complessi, offrendo uno spaccato della produzione più caratteristica di Ōsaka Keikichi, purtroppo poco conosciuto anche in patria. Ōsaka segue la scuola Doyle (tanto che cita direttamente la sua creazione più famosa, Sherlock Holmes), imperniando i suoi racconti sulla deduzione logica, l’indagine tramite indizi, le prove tangibili del crimine. In “Il boia dei grandi magazzini”, il primo episodio della raccolta, è Aoyama stesso ad affermare:
“Va bene ricercare il movente, è ovvio, ma vorrei oppormi alle menti semplicistiche e mediocri che si ostinano a ritenere tale prassi l’unico strumento a disposizione nell’investigazione di un crimine.”
L’infallibilità e la prontezza con cui Aoyama viene a capo di ogni apparentemente insolvibile enigma spiazza non solo il lettore, ma in primis gli altri personaggi coinvolti nelle vicende, che non possono in alcun modo reggere il confronto con il detective. È questa sicurezza e talvolta spavalderia che conferisce al personaggio un certo fascino, e l’invidia si unisce all’ammirazione. Il narratore di turno si trova sempre a seguire in silenzio Aoyama, e anche quando ha delle intuizioni corrette è comunque sempre un passo indietro rispetto all’infallibile detective, che allora gli sorride e procede a snocciolare un’analisi degli indizi raccolti decisamente più puntuale.
A fare da padrone ne “I racconti del detective Aoyama” non è solamente il nostro protagonista, ma anche la varietà di ambientazioni in cui questo si muove. Così facendo Ōsaka mostra un certo gusto realista, ritraendo le realtà del Giappone a lui contemporaneo. Come sfondo per le vicende sceglie ora un cantiere navale o una stazione ferroviaria, ora un tribunale. L’intreccio dei racconti è semplice ma mai banale, e nel caso c’è sempre un risvolto imprevedibile che solo Aoyama è in grado di decifrare e smascherare, per giungere alla sua risoluzione. È questa la freschezza nella scrittura di Ōsaka Keikichi che rimane intatta tutt’oggi, nonostante i quasi cento anni che ci separano da lui.
Recensione di Elena Angelucci
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