Musica – Yukio Mishima || Recensione

Autore: Mishima Yūkio

 

Titolo originale: 音楽 (Ongaku)

 

Editore: Feltrinelli

 

Collana: Universale economica Feltrinelli

 

Traduzione: Emanuele Ciccarella

 

Edizione: 2023

 

Pubblicato originariamente nel 1965, il romanzo dell’autore Mishima Yūkio “Musica”, tratta la storia di una giovane ragazza di nome Reiko, la quale è afflitta da un male peculiarissimo: non riesce a sentire la musica. Per questo motivo la giovane si reca dal Dott. Kazunori, psicanalista, il quale si pone di scavare a fondo nella mente di Reiko per scoprire l’origine di questo disturbo. Ben presto la bizzarra condizione della giovane si rivelerà molto più complessa, finendo per affrontare temi intricati, come la salute mentale, l’abuso e la sessualità femminile nella cornice di mondo maschile. Mishima, in quello che appare tra i suoi ultimi capolavori, intreccia la psiche umana al mondo sempre più in veloce mutamento, quale quello del Giappone degli anni 60’ verso la modernità.

 

 

TRAMA

 

Il dott. Shiomi Kazunori racconta di un recente caso clinico in cui una giovane impiegata d’azienda si è presentata nel suo studio in cerca di aiuto: Reiko Yumigawa. La ragazza sente benissimo i suoni e le normali conversazioni, ma sembra incapace di sentire la musica, o così afferma. 

Nel corso delle sedute la maschera presto cade e la giovane rivela come il “non poter sentire la musica” sia invero solo una metafora. Non riesce, in realtà, a raggiungere l’orgasmo. Da qui la giovane inizia a raccontare in diversi tratti la propria situazione ed il rapporto con la propria sessualità.

 

Reiko, nonostante sia ufficialmente fidanzata con il cugino Shun, responsabile di averle tolto la verginità, era fuggita a Tokyo, dove aveva iniziato una relazione con un collega, Egami Ryūichi. È da allora, sembrerebbe, che la ragazza soffre di questa patologia.

Qualche giorno dopo una seduta, lo stesso Ryūichi si reca infuriato dal dottore, accusandolo, secondo quanto raccontatogli da Reiko, di aver sedotto la propria paziente ed aver approfittato di lei sessualmente. Kazunori, giustamente irritato dalla bugia di Reiko, capisce la gravità del caso di nevrosi della giovane e di come la situazione sia ben più complessa e oscura di quello che sembri.

 

Non servono molti altri incontri perché Reiko inizi a raccontare, tramite dettagli sparsi e frammenti di memoria, altri dettagli del proprio passato. Molti indizi sembrano puntare al fratello maggiore della ragazza, per il quale Reiko, da bambina, nutriva grande ammirazione. Egli era poi fuggito dopo essere stato scoperto dal padre durante un rapporto sessuale con la propria zia, fatto al quale la piccola Reiko dice di aver assistito.

 

Tra la ricerca del fratello perduto, sentimenti complicati tra medico e paziente, nonché incontri con altri uomini, Kazunori accompagna Reiko in questo viaggio nell’interiorità più intima, quella dell’inconscio e della sessualità, provando a riappacificare la sua mente e a guarire questo suo male.

 

Il romanzo termina con un telegramma di Ryūichi per il dott. Kazunori: 

 

“La musica si sente. La musica non smette mai.”

 

 

ANALISI

 

Durante gli anni 60’, Yukio Mishima era un autore già da tempo affermato e acclamato, non solo in Giappone, ma in tutto il mondo. Grazie ai suoi romanzi, racconti e opere teatrali era considerato una delle figure letterarie più importanti del Sol Levante e si vociferava spesso, in quegli anni, che un premio Nobel avrebbe potuto molto probabilmente premiare un tale genio letterario. Negli anni precedenti alla pubblicazione di “Musica”, d’altronde, titoli quali “Confessioni di una maschera” (1949), “Il tempio del padiglione d’oro” (1956) e “Il rumore delle onde” (1954), avevano riscosso enorme successo.

 

Nel 1965 Mishima pubblica il romanzo “Musica” su una rivista indirizzata ad un pubblico femminile, per via del quale, mantiene ancora oggi la sua struttura episodica.

Rispetto agli altri suoi romanzi, “Musica” utilizza uno stile di scrittura più immediato. Tuttavia, i temi affrontati nel corso della narrazione non peccano certo di semplicità e, anzi, è tramite un lessico relativamente agevole che Mishima esplora temi complessi come quello della psiche umana e della sessualità. L’autore aveva infatti chiesto aiuto allo psicologo Shiomi Kazunori, omonimo dello psicanalista protagonista del romanzo, per la stesura del racconto. Tramite i resoconti in prima persona, il narratore ci offre un personale sguardo sulla vicenda, uno che riflette a pieno la soggettività di opinione su quanto accade e di quanto gli viene raccontato da Reiko. Leggendo pagina dopo pagina, la sensazione è proprio quella di trovarsi nello studio, grazie al punto di vista unico del terapeuta, con tutte le difficoltà che l’analisi delle informazioni e del soggetto di studio possono presentare.

 

La complessità della psiche della protagonista rivela un profondo interesse dell’autore per la psicologia e per l’inconscio, specialmente per i suoi lati più oscuri. Non solo questo, ma anche il complesso contesto in cui una nevrosi può svilupparsi.

È da ricordare come questi siano gli ultimi anni della vita di Mishima, prima del suo tentato colpo di stato e del suo suicidio nel Novembre del 1970.

 

“Anche i giapponesi che, a differenza degli americani, non vivono conflitti interiori suscitati da una severa coscienza puritana, manifestano sempre di più, in particolar modo quando vivono nelle metropoli, i sintomi della nevrosi.”

 

Negli anni ’60 il Giappone viveva un periodo politico tumultuoso caratterizzato da significativi cambiamenti sociali, crescita economica e attivismo politico. Il Partito Liberale Democratico (LDP), tra scandali di corruzione, dominava la scena politica con politiche conservative. Con la nascita di un movimento sindacale più forte e crescente, nonché nuovi movimenti giovanili e proteste studentesche violente contro trattati internazionali, la nuova cultura del Dopoguerra, marcata da profonde trasformazioni e sfide alle norme tradizionali, veniva creandosi. È in questo contesto della ricrescita del Giappone post-guerra che Mishima critica la modernizzazione e l’asservimento e la conseguente perdita dei valori tradizionali al pensiero occidentale. L’autore analizza, tramite i suoi romanzi, la formazione di questa nuova realtà dominata dall’individualismo e da valori estranei e come essi possono avere impatto sulla psiche. Inoltre, le teorie di Freud sulla mente inconscia e sul ruolo della sessualità nel comportamento umano risuonavano con l’esplorazione di Mishima di argomenti tabù e desideri nascosti.

 

In ultimo, questo romanzo offre uno sguardo su un mondo coinvolto in cambiamenti importanti; cambiamenti talmente radicali da scuotere le stesse fondamenta della società e, così facendo, anche le menti delle persone che la abitano. Questa capacità di sentire la “musica” può, secondo molti critici, non essere altro che la ardua, in questo nuovo mondo, capacità di stabilire profonde connessioni tra esseri umani.

Recensione di Lorenzo Bonfatti

Jambinai – Estragon, 11 Maggio 2024 || Live Show

Jambinai, la sensazionale band coreana che mescola rock, metal, shoegaze e strumenti tradizionali, ARRIVA FINALMENTE IN ITALIA!

L’associazione è lieta di collaborare con l’Estragon club per annunciare la data italiana del tour. Il concerto si terrà Sabato 11 Maggio alle ore 21.30, con apertura della band giapponese Moja.

Vi informiamo che potrete ricevere una riduzione del costo del biglietto da 15€ a 10€ inserendo il codice promo TAKAMORI durante l’acquisto su https://www.mailticket.it/manifestazione/Q538/jambinai-moja

Per tutte le altre informazioni relative al concerto vi rimandiamo al link dell’evento: https://www.estragon.it/it/events/2024-05-11/jambinai-moja

Drive my car – Ryūsuke Hamaguchi || Recensione

Regia: Ryūsuke Hamaguchi

Anno: 2021

Durata: 179 minuti

Genere: Thriller/Drammatico

Attori principali: Hidetoshi Nishijima, Toko Miura, ReikaKirishima, Masaki Okada, Perry Dizon

“Drive My Car” è una pellicola del 2021 di Ryūsuke Hamaguchi,tratta da un racconto di Murakami Haruki facente parte della famosa raccolta “Uomini senza donne”. Il film, pluripremiato (vincitore anche di un Oscar), vede come protagonista Kafuku, un attore di teatro che dopo la morte della moglie deve fare i conti con sé stesso, il suo passato e il suo futuro.

 

Dopo due anni di lutto, Kafuku ricomincia la sua attività attorialedecidendo di mettere in scena “Zio Vanja” di Cechov, ma nel suo singolare stile: ogni attore parlerà la sua lingua madre. È così che sul palco ci si ritrova in una mescolanza di giapponese, cinese, coreano e addirittura lingua dei segni. Kafuku ha un rapporto speciale con la sua macchina, una Saab Turbo Rossa, e non permette mai a nessuno di guidarla, tanto gli è cara. In questa nuova compagnia teatrale di Hiroshima, tuttavia, vige la regola secondo cui ogni attore deve avere un autista personale. Inizialmente, il protagonista è restio a lasciare la guida a questa nuova ragazza, ma con il passare del tempo si rende conto di quanto sia una brava guidatrice, oltre ad essere un’ottima ascoltatrice. Insieme, i due riapriranno questioni passate (lutti, traumi, colpe) rielaborandole e cercando di comprenderle meglio in modo tale da alleggerire quel peso sul petto che ormai da troppo tempo si portano addosso. 

 

L’intera storia principale è fatta di tante altre storie secondarie, tra cui quelle della moglie di Kafuku, una famosa sceneggiatrice; queste sonostorie macabre, grottesche, misteriose, che ci lasciano con la voglia di saperne sempre di più. Il tono di mistero lasciato dagli abbozzi delle sceneggiature viene mantenuto anche dai personaggi stessi che, molto spesso, oltre a essere attori sul palco lo sono anche nella vita, nascondendo informazioni riguardo alla loro personalità o alla loro storia. È forse per questo che molto spesso risultano freddi, distaccati, come se stessero interpretando un ruolo che non gli appartiene.

 

La macchina è sicuramente uno dei personaggi principali. Silenziosa, si muove per tutta la città e ascolta i segreti senza mai rivelarli. Ogni spostamento è effettuato tramite il suo utilizzo, permettendo ai protagonisti di intraprendere un cammino non solo materiale, ma anche spirituale. Essa fa da filo conduttore per tutta la storia, e la sua importanza è così rilevante da meritarsi delle inquadrature silenziose, intime. Per Kafuku, cedere la guida della sua macchina, equivale a fidarsi pienamente di qualcun altro, a mettere la propria vita, le proprie abitudini (come quella di ascoltare sempre la cassetta dello spettacolo) nelle mani di qualcun altro. La ragazza, pian piano, ricambia questo gesto condividendo con lui parti della sua vita, dandogli il coraggio di aprirsi a sua volta. 

 

Entrambi, quindi, intraprendono questo viaggio verso l’elaborazione del lutto, con la consapevolezza che “Coloro che sopravvivono continuano a pensare ai morti”, perché questa è l’essenza stessa della sopravvivenza. 

Recensione di Sara Orlando

 

L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio -Haruki Murakami || Recensione

AUTORE: Murakami Haruki

TRADUTTRICE: Antonietta Pastore

EDITORE: Einaudi

EDIZIONE: 2014

I cuori delle persone vengono uniti ancora più intimamente dalle ferite. Sofferenza con sofferenza. Fragilità con fragilità. Non c’è pace esente da grida di dolore, non c’è perdono senza sangue sparso sul terreno, non c’è accettazione che non nasca da una perdita. Perché alla radice della vera armonia ci sono dolore, sangue e perdite.

“L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio” vede come protagonista un ragazzo qualsiasi. Tsukuru non è speciale, non ha niente di più rispetto agli altri, se non che è arrivato sull’orlo del baratro e ne è uscito.

Alle superiori faceva parte di un gruppo molto affiatato formatosi durante un’attività di volontariato e composto da cinque persone. Ognuno di loro possiede la particolarità di avere all’interno del loro nome un colore: Ao (blu), è l’atleta bravo a incoraggiare gli altri; Aka (rosso), il ragazzo dal bell’aspetto; Kuro (nero), la musicista con la passione per l’insegnamento; Shiro (bianco), la studiosa che ama la scrittura. Tutti hanno dei colori, tranne Tazaki Tsukuru. “Tsukuru”, però, significa “fare, creare” ed è proprio ciò che si addice a lui; è, infatti, affascinato dalle stazioni, dal capire come si intersecano tra di loro, come delle reti così fitte riescano a lavorare in modo così preciso, tanto che da adulto diventerà ingegnere. Questa felice combriccola riesce per molto tempo a mantenere un equilibrio tramite delle regole che in realtà non vengono mai espresse, ma che tutti sentono di dover in qualche modo rispettare. Principalmente, si cerca di incontrarsi sempre tutti insieme senza escludere nessuno, ma ancora più importante: niente relazioni all’interno del gruppo. La stabilità viene interrotta improvvisamente quando durante i primi anni di università Tsukuru riceve una chiamata che gli cambierà completamente la vita: i suoi amici non vogliono più avere niente a che fare con lui. Senza ricevere spiegazioni e senza neppure chiederle, egli accetta silenziosamente questa sorte. Questo è l’evento scatenante della depressione di Tsukuru, che non tenta di togliersi la vita, ma piuttosto aspetta che la vita termini da sola.

Con il passare degli anni la ferita comincia a rimarginarsi, Tsukuru riprende a mangiare e trova sfogo nel nuoto. Si innesca, però, un circolo vizioso in cui la paura di essere abbandonato nuovamente non gli permette di instaurare rapporti veri con qualcuno. Sara è la prima donna che gli fa venire il desiderio di aprirsi, di rendere un altro essere vivente partecipe della sua vita, ed è proprio lei che gli consiglia di parlare con quei suoi vecchi amici per venire a capo della faccenda e scoprire qual è il motivo del loro improvviso abbandono. Tsukuru si imbarca così in questa esperienza che lo porterà addirittura in Finlandia, da cui vengono fuori notizie sconvolgenti, se non addirittura agghiaccianti, sulla vita di un membro del gruppo in particolare.

Nonostante il dolore provato, Tsukuru non prova odio verso questi ragazzi che per tanto tempo sono stati al suo fianco e cerca di mettersi nei loro panni, di capire quali sono state le condizioni che li hanno portati a tale decisione. Dopotutto, non si possono cancellare anni di amicizia e di affetto in modo così semplice. Risolvere questo trauma, a detta di Sara, è l’unico modo per stare insieme senza che l’ombra di altre quattro persone si metta tra di loro. Per tutto il libro Tsukuru, che ha una mente molto analitica, effettua delle auto-indagini psicologiche, analizzando sogni, pensieri e situazioni in modo lineare, molto spesso distaccato. Si riesce a percepire una sorta di impedimento all’emotività, come se non fosse pienamente capace di abbracciare le sue emozioni e i suoi stati d’animo. Anche quando ha pensieri pesanti, quando non fa altro che aspettare la morte, tutto è asettico. Benché la trama sia intrigante e la struttura scorrevole e chiara, il modo che Murakami ha di parlare delle donne appare talvolta fastidioso. Sono personaggi femminili che, seppur avendo un loro spessore psicologico, vengono di frequente ridotte alla mera dimensione del corpo e della sessualità, anche in momenti che alcuni lettori potrebbero considerare del tutto inadatti.

Recensione di Sara Orlando

Helter Skelter – Okazaki Kyōko || Recensione

AUTRICE: Okazaki Kyōko

TRADUTTRICE: Susanna Scrivo

EDITORE: Dynit Manga

EDIZIONE: 2018

Nei frenetici quartieri della moda di Tokyo si alzano squillanti le voci delle giovani ragazze che affollano i caffè e i negozi più in per discutere i nuovi trend e i gossip più succulenti con cui restare categoricamente al passo. Ovunque echeggia il nome di Ririko. Lei è la regina di questo mondo. È su ogni copertina, su ogni schermo, tutte vorrebbero essere come lei e tutti vorrebbero averla.

Tuttavia, la fama di una modella non può durare per sempre. Ririko non sa recitare, non sa cantare, non è adatta alla televisione. Tutto ciò che possiede è il suo corpo, frutto però di numerosi interventi estetici, e appena si manifesta il primo effetto collaterale della chirurgia, il castello di carte crolla e Ririko precipita vertiginosamente in una spirale senza via di fuga.

“L’esterno era magnifico, ma l’interno era come un frutto divorato dai vermi.”

Basta un passo falso e la favola finisce, la carrozza torna a essere una zucca, i cavalli tornano a essere topolini, e non si riesce più a trovare il principe azzurro. Ririko però non ha intenzione di arrendersi, non rinuncerà al suo posto, e per restare sulla vetta arriverà ad atti sempre più estremi, trascinando con sé in un baratro di manipolazione, violenza, sesso e droghe chi la circonda.

Il tratto pulito, spesso minimalista, che caratterizza lo stile di Okazaki, rende ancor più brutali le espressioni di Ririko e i suoi repentini scatti di rabbia, ancor più sinuose le pose plastiche delle modelle e i petali dei fiori che Ririko riceve in regalo dai suoi ammiratori.

La nostra protagonista si perde nel divario tra due dimensioni: non appartiene a nessuno perché si è costruita da sola ed è lei a raccontare la propria storia. Al contempo però la sua immagine è proprietà pubblica, Ririko non è nessuno senza un pubblico che la guardi e che parli di lei. Per questo la narrazione adotta più voci; seguiamo la trama dal punto di vista di Ririko, ma non manca mai l’opinione di chi veramente è giudice finale della sorte delle donne nello showbiz: le fan.

Okazaki lascia parlare l’opinione pubblica in forma di trafiletti di giornali e titoli scandalistici, ma soprattutto tramite le voci delle giovani studentesse sempre in cerca di un nuovo idolo da seguire, una nuova incarnazione della moda più fresca e appariscente, e che trattano le proprie icone come fossero bambole, con cui a un certo punto si stancano di giocare e le dimenticandole in un angolo.

Ogni giorno nasce una nuova piccola Ririko, pronta a prendere il posto della precedente, in un ripetersi nichilistico di sostituzione e crudele consumismo della figura femminile.

Recensione di Elena Angelucci