Gesu no Kiwami Otome || Recensione

Gesu no Kiwami Otome (ゲスの極み乙女) è una band giapponese formata nel maggio 2012 da Kawatani Enon, frontman degli indigo la End. Kawatani, con il ruolo di compositore, produttore e arrangiatore delle canzoni e in parte minore come chitarrista e cantante, ha formato la band con persone che rispettava e con cui aveva apprezzato suonare insieme, tra questi abbiamo: il bassista Kyūjitsu Kachō, ex membro degli indigo la End, insieme a Chan Mari come tastierista e Hona Ikoka come batterista, provenienti rispettivamente dalle band Crimson e Microcosm. I membri si conoscevano sin dal 2010, quando si esibivano insieme in diversi eventi presso il Live House Shimokitazawa Era a Tokyo. Il progetto è stato concepito come un’attività divertente, separata dai loro impegni musicali abituali e il nome della band deriva da una borsa di tela realizzata da un amico di Chan Mari che frequentava la scuola d’arte che la tastierista aveva portato con sé in studio di registrazione. 

Inizialmente, molti li consideravano strani a causa del loro insolito nome, tuttavia, le loro tecniche di alta qualità e la loro abilità musicale hanno colpito molte persone e li hanno resi uno dei gruppi più importanti nella scena del “next generation rock”. Uno dei motivi per cui sono diventati così popolari così velocemente è la loro strategia di marketing basata principalmente sui social media, in particolare per la pubblicazione dei video completi su YouTube prima della data di uscita del CD e anche per il fatto che le tracce principali dei loro lavori sono sempre legate a progetti di alto livello. Enon Kawatani afferma che i Gesu no Kiwami Otome si concentrano sulla creazione di “melodie arrugginite” e canzoni che non si limitano al pubblico giapponese, ma che hanno anche un’influenza occidentale. Le diverse radici musicali dei membri si fondono insieme e nasce un’identità musicale unica.

Descrivendosi come “hip-hop/progressive”, la band debutta nel 2013 con l’etichetta indipendente Space Shower Records con il loro primo EP, “Doresu no Nugikata”, registrato in soli due giorni. Hanno successivamente tenuto numerosi concerti dal vivo in tutto il Giappone nel 2013 e a settembre sono diventati i musicisti ufficiali del programma radiofonico The Kings Place su J-Wave. A dicembre dello stesso anno pubblicano il loro secondo EP “Odorenai nara, Gesu ni Natte Shimae yo” e nello stesso periodo firmano con l’etichetta unBORDE all’interno di Warner Music Japan e pubblicano ad aprile il loro primo album per una major: “Min’na nōmaru”. Seguiranno altre pubblicazioni nei mesi e anni successivi:

  • Agosto 2014: pubblicano un doppio lato A, “Ryōkiteki na Kiss o Watashi ni Shite” / “Asobi”, con la prima canzone come sigla di apertura del drama “Around 30-chan: Mushūsei” e la seconda in una campagna pubblicitaria per au.
  • Ottobre 2014: pubblicano l’album “Miryoku ga Sugoi yo”.
  • Nel corso del 2015 pubblicano tre singoli: “Watashi Igai Watashi ja Nai no”, utilizzata per la campagna “Coca Cola Name Bottle”, “Romansu ga Ariamaru”, incluso il secondo doppio lato A “Otonatic” / “Muku na Kisetsu”. “Romansu ga Ariamaru” è stata utilizzata nel film di fantascienza del 2015 “Strayer’s Chronicle”. 
  • Gennaio 2016: pubblicano il loro secondo album “Ryōseibai”, che ha raggiunto la vetta delle classifiche di vendita di Oricon con oltre 100.000 copie vendute.

Nell’ottobre 2016 la band è entrata in pausa a causa delle questioni personali del cantante e compositore Kawatani Enon e riprende poi le normali attività:

  • Maggio 2017: pubblicano il terzo album “Daruma Ringo”
  • Ottobre 2017: pubblicano il singolo digitale “Anata ni wa Makenai”.
  • Gennaio 2018: pubblicano il loro quinto singolo “Tatakatte Shimau yo”, la cui traccia principale è stata utilizzata nelle pubblicità giapponesi del videogioco per cellulare Clash Royale.
  • Maggio 2018: pubblicano un altro singolo digitale, “Mou Setsunai to wa Iwasenai”, in occasione del loro sesto anniversario e annunciano il loro quarto album “Suki nara Towanai”

Ad agosto 2018 fanno la prima pubblicazione sotto la nuova etichetta della band, TACO RECORDS, fondata dal leader della band Kawatani, dopo aver lasciato l’etichetta precedente. L’album include la canzone “Sasso to Hashiru Tonegawa-kun”, che è stata utilizzata come sigla di apertura della serie animata giapponese “Mr. Tonegawa: Middle Management Blues”. Pubblicano svariati singoli negli anni a venire fino al loro quinto album nel 2020, “Sutorīmingu, CD, Rekōdo”.

L’11 maggio 2022 il gruppo pubblica il suo primo greatest hits Besuto arubamu “Maru”. Il 18 giugno si tiene il concerto per il 10º anniversario della band che durante l’esibizione dal vivo toglie il “。” dal proprio nome e successivamente annuncia sulla propria pagina ufficiale di Twitter di aver cambiato il proprio nome da Gesu no Kiwami Otome. (ゲスの極み乙女。) a Gesu no Kiwami Otome (ゲスの極み乙女). L’8 luglio annunciano che la loro nuova canzone “Akumu no omake” sarà il tema del film “Kono-ko wa jaaku”.

Recensione di Chiara Girometti

Tra incubo e visione: Labirinto d’erba di Izumi Kyōka

L’Associazione Takamori è lieta di proporvi il seguente articolo, pubblicato di recente sul blog della casa editrice Luni:

di Mattia Natali

Associazione Takamori

Arcipelago Giappone

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Avvolta da una spessa atmosfera onirica, Labirinto d’erba di Izumi Kyōka è un’opera densa e complessa, in cui mondi apparentemente diversi e distanti – il naturale, l’umano e il sovrannaturale- si intersecano costantemente e si influenzano vicendevolmente in maniere imprevedibili, mutando con la velocità di un battito di ciglia.

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La natura labirintica dell’opera è data dallo stesso procedere della narrazione, articolato su più livelli e soggetto a frequenti cambi di prospettiva. La narrazione si apre con la descrizione dello Ōkuzure, un promontorio a picco sul mare, e dei suoi dintorni.

La dettagliata presentazione di uno spazio naturale talvolta minaccioso ma anche di enorme bellezza estetica, popolato da arcane presenze sovrannaturali capaci all’occorrenza di procurare danno agli umani, sarà un elemento che ricorrerà frequentemente nell’intera opera in un binomio che oppone la paura per l’ignoto all’attrazione. In una piccola casa da tè nella provincia di Sagami, il bonzo Kojirō si ferma a riposare e ascolta, tra una tazza e l’altra, la lunga storia che gli viene narrata dall’anziana proprietaria. In questo modo viene a conoscenza degli oscuri eventi che stanno avvenendo nella regione; in sequenza sono narrate la sfortunata vicenda del giovane Kakichi, l’incontro del vecchio Saihachi con una misteriosa e potente figura femminile, lo strano comportamento dei ragazzini del villaggio che ripetono in processione, i volti coperti da foglie di taro forate, una strana filastrocca che sembrano aver imparato proprio da questa sconosciuta presenza femminile.

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Si arriva così al centro nevralgico dell’intera narrazione: la Porta Nera.

A seguito di eventi nefasti, questa residenza è temuta da tutti ed evitata dagli abitanti del villaggio, che la ritengono un luogo infestato. Solo il vecchio Saihachi vi si reca ancora; per questo la moglie chiede al bonzo di visitarla e di recitarvi un sūtra. Presentato al lettore in strane circostanze, la villa ha da poco un nuovo inquilino: il giovane Akira, uno studente venuto da lontano. Con il suo arrivo, l’opera inizia ad esprimere più concretamente la propria vocazione onirica.

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Finora limitati al racconto indiretto e percepiti come lontani, gli eventi inspiegabili si moltiplicano per numero e per intensità; non più narrati dalla voce esterna dell’anziana, sono ora raccontati dai diretti interessati e si manifestano nel loro svolgersi, rivelandosi gradualmente agli occhi increduli dei lettori.

La Porta Nera è un Non-luogo, dove il tempo scorre diversamente e dove anche la natura sembra comportarsi in maniera differente. Il sole cala prima, le foglie degli alberi proiettano strane ombre e lo scroscio della pioggia può essere udito anche quando il cielo è sereno.

Le assi dei tatami si muovono da sole, gettando nel panico gli uomini; le lanterne vorticano in maniera inspiegabile, generando strane luci e deformando i contorni delle cose; gli oggetti spariscono…

Nell’oscurità di una di queste stanze, al calar della sera, Akira rivela al bonzo Kojirō la ragione del suo viaggio.

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Izumi Kyōka

Orfano di madre, il giovane ha viaggiato per cinque anni alla ricerca di una filastrocca che cantava quando da bambino giocava a palla con le amiche.

Il ritrovamento di una palla identica a quella che possedeva da piccolo nel ruscello che attraversa il giardino della Porta Nera e le filastrocche cantate dai bambini del villaggio lo hanno indotto a restare in quel luogo, convinto che tra le mura di quella strana casa sarebbe riuscito a sentire per la prima volta dopo tanto tempo ciò che cercava, unica maniera di riportare in vita, seppur brevemente, la memoria della madre. L’oralità sembra quindi fornire una delle chiavi di lettura dell’intera opera. Non solo gran parte della narrazione avviene nella forma del racconto orale, ma anche i canti e le filastrocche vi ricoprono un ruolo rilevantissimo.

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L’ opera si apre proprio con una filastrocca e queste sembrano essere una vera e propria ossessione per il personaggio di Akira, che annota tutte quelle che ascolta. In diverse occasioni queste nenie sembrano poi ricoprire un ruolo quasi magico; la misteriosa figura femminile ne intona una nella notte dell’incontro con Kakichi, che viene modificata e ripetuta dai bambini che sfilano in un’occulta processione.

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Nella parte finale, le filastrocche lette dal monaco sembrano addirittura riuscire a materializzarsi nel presente.

In generale, il canto sembra capace di aprire un varco, schiudendo il passaggio tra il mondo degli umani e quello delle presenze sovrannaturali. E anche nel caso di Akira quello che il giovane studente ricerca è una sorta di varco: il potere della filastrocca sembra in grado di riportare alla luce il volto ormai dimenticato della madre e quindi violare il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti. In un atto di effimera necromanzia, lo studente cerca in un certo senso di riportare in vita la figura materna; al tempo stesso, la filastrocca e la palla rappresentano i mezzi principali di un tentativo di regressione all’infanzia.

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Il ricorrere a numerosi simboli femminili nell’opera, l’abbandono totale del giovane agli eventi e l’ambiente buio della casa della Porta Nera suggeriscono quasi una volontà di tornare al grembo materno, di risalire non tanto alla propria madre “reale” quanto a una più archetipica figura di Madre e a una più generale volontà di essere accudito. In quest’ottica sembra emblematica quindi la scelta di una casa in cui sono avvenute due morti di parto e che si vocifera essere infestata da Ubume, spiriti di donne incinta, come luogo prescelto di ricerca. Ancora più significativa sembra poi la disponibilità di Akira, nella visione profetica presentata nella parte finale dell’opera, ad accettare una madre “altra” ; questo rapporto si tramuta presto in un erotismo proibito, nonostante gli sforzi della madre reale che, contravvenendo alla legge dei Cieli, prova a intervenire per portare in salvo il proprio figlio. In questa ricerca del calore materno potrebbe essere ricercato il nucleo tematico dell’intera opera.

Ciò trova una parziale corrispondenza con la biografia dell’autore; orfano, a seguito di alcuni profondi lutti familiari si era ritirato nei pressi del luogo in cui è ambientata l’opera, in una casa in affitto.

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Più in generale, la maternità (e la paternità) sono vissute in maniera travagliata all’interno di tutta l’opera.

Tutti i personaggi principali non hanno figli. L’anziana proprietaria della casa da tè regala a tutti gli avventori sassolini provenienti da una roccia che si dice capace di donare fertilità; tuttavia, con rammarico dichiara di non essere riuscita ad avere prole. Le due gravidanze riportate nel racconto finiscono in tragedia, con la morte di entrambe le partorienti e dei nascituri oltre che il suicidio del padre; a rendere ancora più angosciante la relazione con la maternità contribuiscono le inquietanti presenze delle ubume e la terribile visione nel giardino.

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I bambini compaiono nell’opera solo come presenze di passaggio, irriconoscibili a causa delle foglie di taro che coprono e mascherano il loro viso, entità al confine tra l’umano e il soprannaturale; anche le figure dei genitori sono a malapena tratteggiate e nessun volto si riesce a distinguere nella massa indistinta.

Ciò contribuisce a dare maggiore rilievo e centralità alla figura di Akira, la cui infanzia è al contrario descritta con precisione e le cui figure materne rappresentano dei personaggi importanti: non solo la madre, la cui memoria muove le azioni del giovane, ma anche figure di maternità “complementare”, come la zia e le amiche di infanzia, ricoprono un ruolo importante nella sua ricerca. Sebbene l’opera sembri animata da una tensione costante verso l’archetipo, essa mantiene tuttavia un carattere tipicamente nipponico che ne pervade qualunque aspetto. Frequentissimo è il rimando al teatro kabuki, di cui l’autore era grande esperto e che contribuisce a fornire a molte pagine un notevole effetto drammatico; l’influenza degli interessi letterari dell’autore si nota poi anche nei contenuti, fortemente ispirati dalla letteratura fantastica di epoca Tokugawa. Le apparizioni e le entità sovrannaturali che si avvicendano nel romanzo sono profondamente radicate nella tradizione giapponese e in primo luogo nelle credenze popolari: le figure di yōkai si affollano tra le pagine del romanzo, contribuendo a rendere l’atmosfera più viva e sinistra.

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Anche lo Shintoismo e il Buddhismo forniscono numerosi spazi, suggestioni e figure. Spiriti piangenti, demoni e compassionevoli entità celesti si addensano soprattutto nella parte finale del romanzo, in cui i confini tra realtà e sogno sembrano farsi sempre più sfumati, fino a scomparire del tutto.

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La vita umana non sembra qui troppo lontana dal sogno stesso e lo scorrere degli eventi si fa incerto, si frammenta, sfugge al controllo e alla percezione dei protagonisti, rendendo impossibile distinguere gli eventi concreti dall’illusione e dalla visione.

Dipinto minuziosamente, lo spazio naturale è il luogo privilegiato dove le apparizioni si manifestano, che sia nella forma di una palla trascinata dolcemente da un ruscello o di una voce che risuona imperiosa sul mare. La natura appare sempre minacciosamente sul punto di irrompere nell’elemento umano e vincerlo: potrebbe essere questo il senso della pioggia che penetra dentro la casa dalla Porta Nera, delle erbacce che crescono rigogliose fino a coprirne il sentiero, delle strane ombre proiettate dalle foglie all’interno della residenza e, soprattutto, delle inquietanti maschere ricavate dalle foglie di taro usate dai bambini del villaggio. Quando le indossano essi appaiono irriconoscibili alle loro stesse famiglie, quasi come se l’applicazione dell’elemento naturale li tramutasse, sottraendoli alla sfera umana e trasformandoli indistintamente in qualcosa di Altro.

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Palcoscenico di eventi inspiegabili è soprattutto la montagna, in linea con la tradizione nipponica che da lungo tempo la percepiva come uno spazio Altro rispetto a quello antropico dei campi e dei villaggi, che sfuggiva al controllo umano.

Non è un caso quindi che la Porta Nera si trovi alle pendici dei monti, quasi a voler simboleggiare il luogo d’incontro tra i due mondi. Anche il percorso del monaco Kojirō sembra significativo. Bonzo itinerante, egli deve ancora prendere i voti e ha appena effettuato la sua prima tonsura. Il racconto degli eventi della Porta Nera da parte dell’anziana riesce però a fargli provare autentica compassione; conscio dei suoi limiti, non esita ad ammetterli al giovane Akira; nei momenti di paura, egli fa appello al Buddha con vera fede. Proprio lui riceverà quindi, nel finale del romanzo, la visita dei demoni e interagirà con essi; a lui verrà illustrata la visione profetica riguardo al destino di Akira e proprio lui cercherà di trattenere il giovane dal seguire la presenza femminile nel suo volo. Sebbene non culminante nell’Illuminazione, il suo percorso lo porta quindi a ricevere una rivelazione sovrannaturale e a prendere parte al mistico evento che chiude l’opera, che sembra voler rappresentare un evento risolutivo e di portata universale, coinvolgendo il Cielo e la Terra. Tanto quanto Akira, anche per il monaco quest’avvenimento rappresenta il culmine e il punto di arrivo del suo viaggio.

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“Labirinto d’erba” è dunque un’opera policentrica, in cui punti di vista e tempi si alternano costantemente e in cui il rapido fluire degli eventi si alterna alle modalità del racconto e si diluisce nell’atmosfera densa della visione e dell’onirismo.

Radicata saldamente nell’universo immaginativo giapponese, l’opera offre numerose chiavi interpretative ed è pervasa da una costante tendenza universalizzante che punta a raggiungere l’archetipo. Con la sua atmosfera intrisa di mistero e la sua simbologia complessa, si propone al lettore come un intricato enigma fatto di piante, presenze inafferrabili e drammi individuali, lo trascina in un alternarsi apparentemente caotico di lucidità e sogno, lo spinge a interrogarsi sulla realtà stessa delle cose.

Favole del Giappone || Luni Editrice

L’Associazione Takamori è lieta di annunciarvi una nuova pubblicazione. Edita da Luni Editrice, “Favole del Giappone” di Niimi Nankichi porta in scena l’affascinante universo immaginifico dell’arcipelago nipponico.
Sospesa tra realtà e fantasia, l’opera racchiude alcuni tra i racconti più noti dell’autore, uno degli scrittori più emblematici della letteratura giapponese per l’infanzia e spesso descritto come l’ “Andersen” giapponese. Tratteggiando l’immagine di un Giappone rurale, le sue favole aprono al lettore occidentale una finestra privilegiata sul folklore giapponese e sul suo complesso sistema di valori: fortemente allegoriche, queste favole forniscono profonde suggestioni e personaggi memorabili destinati a rimanere impressi nella mente del lettore.
Continuate a seguirci per altre novità sulla letteratura giapponese!