Giappone Misterioso || Castroreale Mystery Festival

L’associazione Takamori è lieta di invitarvi al Castroreale Mistery Festival, terza edizione del festival del giallo e del noir che si terrà in P.zza Pertini – Castroreale (ME) nei giorni 21/22/23 Luglio 2022.

In particolare, il 22 Luglio alle ore 20:00, per l’evento Giappone Misterioso, verranno presentati i gialli La locanda del gatto nero e Fragranze di morte di Yokomizo Seishi, tradotti dal professor Francesco Vitucci per Sellerio Editore.

A seguire potrete visionare gli ulteriori eventi, le date e gli orari nelle locandine qui sotto.

Vi aspettiamo in numerosi!

Labirinto d’erba di Izumi Kyōka | Arcipelago Giappone – Luni Editrice

L’associazione Takamori e’ lieta di presentarvi la nuova collana Arcipelago Giappone della casa Luni Editrice, che apre al lettore una nuova dimensione nella quale ogni opera, proposta in traduzione dalla lingua giapponese originale, è un’esperienza letteraria orientata verso il Giappone moderno e contemporaneo nella sua complessità.
La line-up iniziale della collana comprende Labirinto d’erba di Izumi Kyōka, che introduciamo oggi in questo articolo, La maledizione di Oiwa e altri racconti di Tanaka Kōtarō e Il libro dei morti di Orikuchi Shinobu.

Traduzione e curatela: Alessandro Passarella
Postfazione e Glossario: Alessandro Passarella
Cura delle tavole ed illustrazioni: Yamamoto Takato
Numero di pagine: 224
ISBN: 9788879848169

IL LIBRO:

Dopo anni di ricerca in tutto il Giappone, il giovane Hagoshi Akira crede di aver trovato nella Porta Nera, una vecchia residenza situata presso un promontorio maledetto, il luogo dove potrà finalmente trovare l’unica persona che ricordi la filastrocca cantatagli un tempo dalla defunta madre.
Quella che sembra solo una casa fatiscente si trasformerà nel teatro di eventi inesplicabili e crudeli cui Akira resisterà come un novello Teseo proiettato in un labirinto mentale da cui, tuttavia, non vorrà fuggire.

La presente edizione è arricchita dalle raffinate illustrazioni dell’artista giapponese Yamamoto Takato.

In una vorticosa alternanza di voci e personaggi dominata dall’uniforme, implacabile mistero che aleggia su tutto il villaggio di Akiya, la narrazione di Izumi Kyōka ricorda un’opera di dove ogni gesto ha l’inequivocabile nitore di una stampa, mentre, incastonati come gemme, brillano per tutto il testo raffinati richiami alla letteratura giapponese classica e alle arti figurative: è un tripudio visionario dove l’elemento fantastico risulta essere talmente concreto nella sua meticolosa evocazione da suscitare nel lettore una sincera sospensione dell’incredulità.

L’AUTORE:

Izumi Kyōka (Kanazawa, 1873 – Tōkyō, 1939) è stato uno dei maggiori esponenti letterari del Giappone fra il tardo periodo Meiji e gli anni immediatamente prima del secondo conflitto mondiale.
La sua vasta produzione abbraccia romanzi, racconti brevi, componimenti poetici e opere del teatro kabuki.

Apprezzato soprattutto per il suo contributo nell’ambito della letteratura fantastica, Kyōka perseguì con coerenza estrema un ideale letterario in perfetto equilibrio fra suggestioni provenienti dalla letteratura classica, rifiutate dalla maggior parte dei suoi contemporanei negli anni del dibattito naturalista, e tecniche narrative di respiro internazionale.
Oltre a Labirinto d’erba (1908), fra le sue opere maggiori si ricordano Il racconto degli abissi del drago (1896), I commedianti girovaghi (1896), Il monaco del monte Kōya (1900), Un giorno di primavera (1906) e Canzone alla luce della lanterna (1910).

Per altre informazioni riguardo il libro vi invitiamo a visitare la pagina web dedicata sul sito della casa editrice, accessibile premendo qui; per avere ulteriori informazioni riguardo la collana, invece, vi invitiamo a visitare la relativa pagina web premendo qui.
Vi ricordiamo che nelle prossime settimane usciranno altri due articoli riguardanti la collana Arcipelago Giappone, quindi seguiteci sui social per non perdervi tutte le novità !


Collana Arcipelago Giappone – Luni Editrice:

La collana Arcipelago Giappone apre al lettore una nuova dimensione nella quale ogni opera, proposta in traduzione dalla lingua giapponese originale, è un’esperienza letteraria orientata verso il Giappone moderno e contemporaneo nella sua complessità.
Un accurato apparato di note e postfazioni guida il lettore in questo lungo viaggio, in cui ogni opera è unica e al tempo stesso, anche specchio delle altre.
Ne risulta un ampio affresco di generi e concetti che sorprendono tanto per la loro originalità quanto per le profonde, imprevedibili analogie con correnti letterarie di respiro mondiale.

Collana diretta da Francesco Vitucci
Comitato Scientifico (Arcipelago Giappone)
Paolo La Marca, Stefano Lo Cigno, Alessandro Passarella, Bonaventura Ruperti, Marco Taddei, Francesco Vitucci

Il primo caffè della giornata – Toshikazu Kawaguchi

Autore: Kawaguchi Toshizaku

Titolo originale: 思い出が消えないうちに (lett. Prima che i ricordi scompaiano)

Editore: Garzanti

Collana: Narratori moderni

Traduzione: Claudia Marseguerra

Edizione: 2022

Pagine: 180

Dopo il successo di Finché il caffè è caldo e del successivo Basta un caffè per essere felici, Kawaguchi Toshikazu torna con una terza opera dedicata alla sua caratteristica caffetteria. Al centro delle vicende de Il primo caffè della giornata vi è infatti un locale tutto particolare, in cui si serve una bevanda altrettanto speciale in grado di rievocare le emozioni dal passato dimenticate o mai affrontate: si tratta del caffè delle seconde opportunità. Un tuffo nel passato quello permesso dall’aroma del caffè, che inizia nel momento in cui viene versato e dura finché esso non si raffredda, a patto però che vengano rispettare alcune regole. Per poter usufruire dei suoi effetti è infatti necessario che il caffè venga gustato con calma, seduti a uno specifico tavolino. Soprattutto, ai clienti viene ricordato che, qualunque sia il ricordo vissuto o l’esperienza rinnovata, non vi sarà alcuna possibilità di modificare il presente. A queste condizioni, chi decide di immolarsi nei propri ricordi e rievocare esperienze o emozioni spesso dolorose sono solo i più coraggiosi, coloro quali il passato è ancora in sospeso e il presente in stallo. Ed è proprio a loro che il romanzo è dedicato, suddiviso in quattro racconti tra loro legati e rispettivamente intitolati: “La figlia”, “Il comico, “La sorella minore” e “L’uomo che non sapeva dire «ti amo»”.

Senza mai perdere il proprio aroma speciale, e con uno stile delicato dai toni gentili che ben concilia temi quali il passato, la nostalgia, i rimorsi e le occasioni perse, Kawaguchi invita nuovamente il lettore a immergersi nel magico rituale di un caffè.

Il primo caffè della giornata è la raccolta di quattro racconti toccanti, caratterizzati da un forte timbro emotivo, in grado di coinvolgere ogni potenziale lettore catapultandolo nelle proprie personalissime memorie. Ognuno dei protagonisti ha una ragione diversa per voler affrontare il passato, ma nel tempo di un caffè, ciò che davvero verrà offerta loro è la possibilità di comprendere sé stessi, accettare i propri errori e imparare dalle proprie esperienze, perdonandosi e andando avanti senza rimpianti.

Soprattutto, il romanzo è l’ennesima dedica che, sapientemente scritta, lo scrittore fa alla vita, alle emozioni e avvenimenti che essa comporta, ai piccoli piaceri del tempo presente e alle possibilità di quelli futuri.

— Recensione di Claudia Ciccacci.

Underground – Murakami Haruki

Autore: Murakami Haruki

Titolo originale: アンダーグラウンド (parte prima), 約束された場所で (parte seconda)

Editore: Einaudi

Traduzione: Antonietta Pastore

Edizione: 2014

Pagine: 503

Underground è una romanzo a più voci scritto da Murakami Haruki e pubblicato per la prima volta in Giappone nel 1997 e in seguito anche nel 1998. È arrivato in Italia nel 2003 e ha avuto due riedizioni, una nel 2011 e una del 2014. Underground è un romanzo che si discosta completamente dallo stile dello scrittore, il quale spesso ci racconta di avvenimenti fantastici e ci fa staccare dal mondo reale che viviamo tutti i giorni. In Underground, si potrebbe dire che avviene il contrario, Murakami ci riporta con i piedi per terra raccogliendo in questo romanzo una serie di interviste a persone sopravvissute all’attentato al sarin avvenuto nella metropolitana di Tokyo nel 1995.

Il 20 marzo 1995 su diverse linee della metropolitana di Tokyo ci fu un attacco terroristico con l’impiego del gas nervino sarin, il quale provocò 14 morti e oltre 6200 intossicati, gravi e meno gravi. L’attentato fu organizzato dalla setta religiosa Aum Shinrikyō, in particolare 10 membri della setta divisi in coppie, una persona si occupava di guidare e l’altra persona portava con sè delle sacche piene di sarin avvolte in dei giornali e una volta sul treno doveva bucarle con la punta di un ombrello appositamente affilata. I sintomi più comuni dell’intossicazione da sarin sono difficoltà respiratorie, affaticamento, restringimento delle pupille, tosse. Tra gli intossicati ci fu anche uno degli attentatori.

Nella prefazione, Murakami Haruki ci racconta tutto il processo di creazione del libro. Dal cercare la lista dei sopravvissuti al momento di trascrizione delle interviste. Le parole che leggiamo in Underground, sono le stesse che hanno pronunciato gli intervistati, l’autore si è limitato a scriverle in modo che il lettore potesse leggerle senza difficoltà e, come ci dice, ogni intervista prima di essere pubblicata è stata riletta dall’intervistato. Prima delle interviste, Murakami ci dà una breve spiegazione sulla linea di cui poi sentiremo parlare, inoltre, in molte interviste compaiono i veri nomi e le età al giorno dell’attentato dei sopravvissuti. Tuttavia, in alcune interviste Murakami ha dovuto utilizzare un nome fittizio.

In Underground emerge sicuramente la capacità di scrittore di Murakami Haruki, ma è un romanzo molto forte, in quanto sono i sopravvissuti in prima persona che ci raccontano quello che hanno vissuto, sentiamo la voce di gente comune che va a lavoro, del personale ferroviario, di persone rimaste gravemente intossicate, come di quelle che non hanno quasi avuto sintomi. Ognuna di queste persone ha vissuto l’attentato in modo diverso, ma nessuna di loro vuole che ciò che è successo venga dimenticato e ciò è stato reso possibile grazie a Murakami Haruki in Underground.

—Recensione di Marta Bonfiglio.

Ōe Kenzaburō – Insegnaci a superare la nostra pazzia

Autore: Ōe Kenzaburō

Titolo: Insegnaci a superare la nostra pazzia

Editore: Garzanti

Traduzione: Nicoletta Spadavecchia

Edizione: 2009

Pagine: 203

“Insegnaci a superare la nostra pazzia” è una raccolta di quattro brevi romanzi dai tratti semiautobiografici, appartenente allo scrittore Ōe Kenzaburō (大江 健三郎) insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1994; scritti in periodi differenti, condividono come leitmotiv la follia che può affliggere ogni uomo, l’inquietudine esistenziale e una realtà cruda e opprimente. Gli stilemi linguistici adottati dallo scrittore e la ricchezza lessicale per nulla casuale reiterano nel lettore un senso d’angoscia che rende la lettura a tratti impervia. Una lettura folle e perturbante, come la realtà rappresentata, che mira a mettere in subbuglio i moti dell’animo.

“Il giorno in cui lui mi asciugherà le lacrime”, racconto pubblicato nel 1972, esordisce con un io narrante inaffidabile: protagonista è un paziente affetto da cancro al fegato che, alla vigilia della sua morte, ripercorre i “giorni felici” della sua vita e l’influenza che “quell’uomo” ha avuto su di essa, una “storia contemporanea” che egli detta ad una “esecutrice testamentaria” in cui riemergono rancore per la madre e folli e mendaci rivelazioni di cui egli stesso è vittima. Difatti il protagonista si scopre essere un paziente ricoverato nel reparto neurologico dell’ospedale, affetto da una curabile cirrosi, ma che brama la morte come azione di rivalsa nei confronti della madre. Una trama tortuosa in cui il punto di vista del narratore vacilla tra menzogne e verità; pagine che rispecchiano la psiche di un folle in cui la realtà risulta fallace e priva di appigli. Magistralmente Kenzaburō emula il pensiero di un folle, addentrandosi nella sua mente, districandosi nella selva di mistificazioni da lui create, fino a giungere al trauma infantile che ha provocato tutto ciò: un padre invasato che non accettava la disfatta del Giappone nel 1945 e la conseguente resa dell’imperatore. Lo shock arrecatogli da “quell’uomo” e il rapporto conflittuale con la madre sono le premesse del baratro.

“L’animale d’allevamento”, racconto del 1958 grazie a  cui lo scrittore ricevette il premio Akutagawa, narra il trauma di un passaggio repentino e violento dall’infanzia alla vita adulta che il protagonista, bambino di un anonimo villaggio, subisce durante la guerra del pacifico in Giappone. La guerra, apparentemente lontana, irrompe nella quotidianità arretrata e misera del villaggio con la cattura di un “soldato negro”, a cui il titolo dell’opera fa riferimento. Gli epiteti che contrassegnano il soldato simbolizzano l’evoluzione del rapporto che intercorre tra lui e il villaggio, nonché il processo di deumanizzazione del nemico in tempo di guerra, che viene decostruito da essere umano a “preda”, “animale d’allevamento”  e infine “animale domestico”, quando gradualmente egli entra a far parte della vita dei bambini del villaggio. Un rapporto in cui lo scrittore ci illude che possa esserci un lieto fine e che invece tronca con la presa in ostaggio dell’io narrante da parte del soldato, non appena la sua incolumità viene messa a rischio. L’intesa iniziale viene spezzata dalla guerra che sembra solo una cornice lontana e che, al contrario, frantuma con veemenza il quadro delineato: “Tutto il sotterraneo fu un ululare di adulti e sentii lo sfracellarsi della mia mano e del cranio del soldato negro”.

“Insegnaci a superare la nostra pazzia”, scritto nel 1969, si ricollega al primo racconto, con una collocazione cronologica antecedente rispetto a quest’ultimo, e pone i preamboli che condurranno il protagonista alla pazzia. Emergono fin da subito due rapporti antitetici tra loro: l’antagonismo madre-figlio e il binomio morboso tra un padre apprensivo e il figlio malformato. Saranno proprio la frattura del rapporto con il figlio, quando il protagonista comprende che egli può vivere senza di lui, e la guerra dichiarata alla madre attraverso il desiderio di voler scrivere una “biografia rivelatrice” sul padre, a creare una scissione interna liberatoria, ma foriera della sua follia. Un racconto che rimanda palesemente il lettore alla vita privata di  Ōe Kenzaburō e al rapporto con il figlio Hikari, affetto fin dalla nascita da una gravissima lesione cerebrale.

“Aghwee il mostro celeste”, pubblicato nel 1964, conclude la raccolta riproponendo il tema della pazzia scaturita dal rimorso di un padre:  Aghwee, la creatura immaginaria dalle sembianze infantili, “grande come un canguro con una camicia di cotone bianco”, che solo egli  riesce a vedere, si scopre altro non essere che il fantasma di suo figlio. Quando alla nascita gli venne diagnosticata erroneamente un’ernia cerebrale, il padre lo fece morire, non disposto “ad accudire un figlio che avrebbe avuto soltanto funzioni vegetative”. Quando poi dall’autopsia si rivelò essere un semplice tumore benigno, il padre cominciò ad avere allucinazioni. Ciò è punto di partenza per un cielo di esseri fluttuanti che ogni tanto fanno una visita in terra, come Aghwee, nome che probabilmente si riferisce al mugolio del bambino, unico verso che gli fu permesso emettere nella sua breve esistenza. Un uomo segnato dalle sue scelte, che afferma di non vivere nel “tempo presente”, e che si condanna all’espiazione finale, ovvero la sua morte.

“Insegnaci a superare la nostra pazzia” è una raccolta in cui si annidano le peggiori inquietudini dell’uomo e in cui la follia si erige  quasi come una condizione contagiosa in cui ognuno di noi può precipitare e soccombere. Un’opera  che non soltanto lascia il lettore in uno stato d’amarezza, ma lo mette a confronto con timori e riflessioni sulla precarietà della vita. Ōe Kenzaburō conferma, con tale opera e le tematiche scomode da lui sviscerate, la fama di massimo scrittore del ventesimo secolo  attribuitagli indiscussamente.

 

– di Riccardo Peron


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